6. Come la fine di una galassia

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Il vento persistente di quella giornata tipicamente autunnale continuava a scompigliarmi i capelli mentre camminavo spedita verso il cancello del Liceo Volta, stretta nel mio montgomery nero, con tanto di sciarpa a tentare di scaldarmi il collo.

Stavo tornando dentro quell'infernale scuola per la lezione di coro di quello schifoso venerdì in cui avevo già dovuto subire un'interrogazione di fisica che mi aveva beccato impreparata, facendo comparire un bel quattro di un rosso vivo sul registro elettronico.

Sospirai, per l'ennesima volta in quella giornata funesta, gettando la carta della pizza che avevo finito da poco dentro il secchio, posizionato poco prima del cancello.

I miei pensieri vorticosi non facevano che soffermarsi sul viso di Michele che, non seppi il perché, quel giorno mi era sembrato più attraente del solito.

Forse erano gli occhiali da vista che aveva inforcato durante l'ora di disegno a farmelo apprezzare in maniera particolare o il pullover verde militare che indossava quel giorno, pullover che stava terribilmente bene con la sua carnagione olivastra.

Pensai, attraversando il cancello per proseguire lungo il viale d'ingresso, completamente deserto, che quella settimana non avevo fatto altro che guardarlo: guardare le sue Instagram Stories cercando qualcosa che non sapevo neanche io, guardare i suoi abbracci a Greta dalla finestra della mia classe perché dal giorno in cui lei mi aveva accusato mi ero ripromessa di non scendere per la ricreazione, qualsiasi cosa fosse successa. Mi ero ritrovata ad immaginare Michele in mille modi diversi ed in mille situazioni diverse.

Tentai invano di arginare la mia immaginazione cercando di smettere di ascoltare i Thegiornalisti, che mi ricordavano così tanto quei momenti con lui. Purtroppo mi riscoprivo sempre più vogliosa di chiudermi in camera e cantare a squarciagola ogni loro canzone finché non mi avrebbero fatto male le corde vocali e non sarei crollata esausta sul letto, di nuovo a fissare il soffitto mentre quelle immagini nella mia mente si susseguivano ininterrottamente.

Controllai l'orario dal mio orologio da polso e notai che mancava ancora un'ora e mezza all'inizio della lezione. Sbuffai contrariata ma entrai lo stesso all'interno dell'edificio, notando il bar ancora aperto. Decisi di non comprare ulteriore cibo perché avrei finito per mangiare due pacchetti di caramelle e ne avevo ingurgitate anche troppe in quegli ultimi giorni, facendo fuori l'intera scorta che avevo in casa.

Piuttosto mi incamminai verso l'aula magna in un silenzio surreale; la scuola sembrava deserta ed era una goduria essere lì dentro in quell'atmosfera così anomala. Nessuno che chiacchierava o urlava, niente schiamazzi e spintoni ed i corridoi ampi e liberi da sudati e puzzolenti studenti.

Svoltai sulla sinistra verso il corridoio che portava all'aula magna e mi arrestai subito, guardando dritto davanti a me: Michele era seduto per terra, appoggiato con la schiena alla porta dell'aula magna, lo sguardo su di me ed un piccolo sorriso ad animargli le labbra.

Aveva abbandonato il suo chiodo di pelle accanto a lui, poggiato sopra lo zaino nero.

"Matilde" mi chiamò, forse vedendomi ancora impalata a pochi metri da lui, forse auspicando un mio saluto che tardava ad arrivare, visto che realizzai proprio in quel momento che la scuola era appunto deserta e che eravamo soli. Io e Michele, come quel venerdì della settimana prima.

"Ciao Michele" farfugliai, facendogli un sorriso imbarazzato per poi avanzare verso di lui, prendendo finalmente coraggio e sistemando lo zaino accanto al suo, accompagnato dal mio montgomery che mi lasciò spoglia, solo con una camicetta bianca addosso. Camicetta bianca infilata nelle mie culottes di velluto bordeaux che arrivavano fino al polpaccio, polpacci coperti da calzini a scacchi bianchi e neri che scomparivano nei mocassini di pelle scura che portavo ai piedi. Quel giorno ero più sobria del solito, un fiocco tra i miei capelli lunghi ed esageratamente mossi e la frangetta che stranamente non si era scomposta e spettinata a causa del vento - a differenza della mia chioma che avevo dovuto sistemare. I miei occhi scuri erano messi in risalto solamente dal mascara, come ogni giorno in cui mi truccavo per andare a scuola, e il rossetto rosa che avevo applicato sulle labbra quella mattina era ovviamente scomparso, portato via dall'olio nel quale era affogata la pizza margherita che avevo mangiato per pranzo.

Can You Chase Me? |Mike Bird|Where stories live. Discover now