1. Mei

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In quella stanza scura, senza alcuno spiraglio di luce, una candela, consumata per metà, faceva scintillare un paio di catene scure che stringevano i polsi di una bambina dai lunghi capelli corvini e una miriade di cicatrici, alcune ancora fresche di giornata. Se ne stava lì, nel silenzio, seduta per terra, nuda con la testa contro il muro gelido, gli occhi chiusi, le ciglia bagnate dal pianto, la gola in fiamme per le urla, la pelle bruciante e i polsi dolenti.

Alcune risate, al di là della camera, fecero sobbalzare la bimba inerme, che continuava a piangere. La porta si aprì sinistramente, rivelando una donna bionda dall'aria frivola ed un uomo grasso, decisamente ubriaco. La bambina strozzò un urlo, prima di pentirsene, tramutandolo in un gemito. Gli occhi sbarrati dal terrore.

«Ehi, dolcezza. Ti va di festeggiare? È  il compleanno del tuo papino» disse l'uomo, cingendo con un braccio la vita della biondona tutta curve.

La donna rise, chiaramente sbronza anche lei. «Pronta, mocciosa?»

«N-non vi avvicinate... p-per favore...» singhiozzò la bambina.

Un ghigno si allargò sul volto dell'ubriaco, che ad ogni passo si faceva sempre più vicino. «Mei, ti avverto: non fare la bambina capricciosa. Lo sai che preferisco le brave bambine! Su, adesso non piangere, vogliamo solo divertirci»

Mei implorò i due di starle lontano ma, ad ogni parola, la sua vocina perdeva di intensità. In preda al panico, cercò di strattonare le catene, ma quelle rimasero ferme al muro, senza staccarsi.

La donna la guardò in cagnesco. «Eh, no... Questa volta, non te ne andrai di qui, piccola stron...»

L'uomo la zittì con un movimento deciso della mano e si posizionò proprio davanti agli occhi terrorizzati di Mei. «Non spaventarla, Malva! Ha già pagato per la sua piccola fuga e sono convinto che abbia imparato la lezione.» rise, mettendosi faccia a faccia con la piccola. «Che ne dici, zuccherino?»

Un forte odore di alcol penetrò ferocemente nelle narici della bambina, che disperata, si sottomise alla malvagità dei suoi interlocutori continuando a piangere.

«Che cazzo hai da piangere? Ora te lo do io un buon motivo, sta' a guardare!» disse la donna. Dopodiché, sollevò una mano per aria e la scaraventò con forza sul suo visino. Il colpo la costrinse a sbattere la schiena contro il muro ghiacciato. Il dolore fu nulla, in confronto allo schiaffo.

 «Finiamola qui: odio i piagnistei.»

«Ma... caro, vuoi già andartene? Non vuoi...?» fece la donna languidamente.

L'uomo rise e le schiaffeggiò il sedere. «Certo, ma prima, facciamola tacere» rispose lui.

A quelle parole, Mei inorridì e tacque all'improvviso, seppur scossa dai singulti. Anche le lacrime sembrarono gelarsi sulle guance rosse e smunte. L'uomo la fissò avidamente, sganciandosi i bottoni dei jeans, troppo stretti per la sua immensa stazza. 

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