Capitolo centoventotto

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Enola

Stavamo guardando le stelle. Solo quattro erano quelle ben visibili. Eppure ci bastavano. Eravamo in silenzio. Eravamo soli.
Dovevo solo salire su di lui e inchiodarlo con il peso del mio corpo. Lo avrei spogliato lentamente. Avremmo fatto l'amore lì, in quell'appartamento. Nascosti al mondo. E avremmo chiuso gli occhi per nasconderlo anche a noi stessi. Perché era sbagliato. Perché avevamo promesso di non fare sciocchezze, ma lui...aveva parlato... mi aveva amato. Era sincero? Era finita? Indicativo imperfetto anche per lui?
Se avessimo fuso i nostri corpi, se fossimo esplosi l'uno nell'altro, l'uno per l'altro, avrebbe ancora usato il passato? E io?

Volevo sentirlo, farlo mio, lavorare ogni angolo delle sue membra come un ragno che tesse la tela, come una formica che setaccia il territorio alla ricerca di cibo. Precisa come il tempo che non sbaglia mai. I secondi rimangono tali. Non aumenta la durata di un secondo. Rimane così. Precisa e minuziosa volevo portarlo dove mai eravamo stati, in quel luogo buio fatto solo di gemiti e perdizione.
Cosa avrebbe fatto se fossi salita su di lui? Se avessi infranto la promessa di non provocarci?  Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo di un respiro lento e profondo. Cosa c'era sotto quella camicia? Sotto quel petto? Sotto quel cuore?

Cosa avrei provato a fare l'amore con Diego?

-Quando te ne sei accorta?- chiese.

- Non capisco.- ammisi.

-Quando hai capito di amarmi? Ci sarà stato un momento preciso. Un momento in cui lo hai detto ad alta voce.-

Volevo mordere le sue labbra e sentire che sapore avessero. Erano amare come le parole che spesso mi riservava? Erano dolci per compensare la sua cattiveria?

-In quarto liceo. Ad una delle feste di Rebecca. Tu?-

Diego si voltò verso di me.

-In quinto liceo. Nove anni fa-

Ogni alba rimasta (Ex ANCHE ORA- Il castello del tempo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora