Capitolo centoventidue

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Enola

Controllai il rossetto nello specchietto retrovisore. Applicai il correttore una terza volta visto che i precedenti tentativi di coprire le occhiaie e gli occhi venati di rosso si erano rivelati inutili. Applicai con cura il mascara e diedi un'ulteriore passata di rossetto. Ero in ansia e per un attimo provai l'impellente desiderio di mettere in moto ed andarmene. La notte fonda faceva da padrona e, sebbene mi trovassi in una zona centrale, non vi era anima viva per le strade. Forse avevo indossato un abito troppo corto, ma era il primo che avevo trovato nell'armadio e non avevo abbastanza lucidità mentale per scovare qualcosa di meno provocante, di più opportuno.

I miei ultimi giorni si stavano traducendo in un supplizio. Enea non mi avrebbe lasciato andare, non aveva pietà. Torturarmi dal giorno del giuramento era diventato il suo passatempo preferito. Saltava fuori ogni tanto, come un fungo velenoso dopo un temporale. Il povero boscaiolo, una volta salvatosi dalla pioggia incessante rifugiandosi sotto le fronde di una quercia secolare, raccoglieva ai piedi di essa quello che sembrava un tartufo prelibato. Una volta tornato nella sua dimora che sapeva di legno e muschio, metteva sul fuoco una bella pentola in cui cuocere il tartufo. Il boscaiolo moriva, dopo una lunga agonia. Il fungo era tossico.

Nella busta di Enea c'era una chiave. Raggiunsi il più in fretta possibile il portone di un palazzo e lo aprii con quel pezzo di ferro. Finsi di non sentire i complimenti di alcuni ubriaconi che ciondolavano lungo la strada alle mie spalle, avevano più alcol che buon senso in circolo.

Salii le scale lentamente, con il cuore in gola e prossima alle lacrime.

Interno 15.

Citofonai.

Sentii i suoi passi dietro la porta, sempre più vicini. Uno scatto e la serratura cedette.

«Mia regina.»

«Enea.» balbettai.

Mi prese per mano e mi attirò dentro l'appartamento avvolto nell'oscurità. La luce dei palazzi e delle stelle rischiarava a giorno alcune zone di quell'immobile spoglio. Un astro si innamorò dei tratti meschini di Enea e li illuminò rivelandoli anche a me.

Mi guardava enigmatico. Mentre io ero attanagliata dal terrore, Enea si diresse verso la porta blindata, la chiuse e mise in tasca la chiave.

«Non puoi scappare.» mi avvisò.

«Cosa vuoi Enea?» chiesi titubante.

Si avvicinò e mi accarezzò una gota con le sue mani bollenti.

«Voglio tante cose. Sarebbe bene andare con ordine... come prima cosa, Enola, desidererei presentarti...Enola.»

Enea allargò le braccia come a volermi presentare quell'appartamento in cui ci trovavamo.

«Chi?» chiesi.

«Voglio presentarti Enola. È il nome che ho dato a questo immobile. È una carogna come te. È stato visto da almeno trenta potenziali acquirenti, ma per un motivo o per un altro nessuna trattativa è stata mai conclusa. Si innamorano tutti di questo locale, ma spunta sempre fuori un imprevisto per il quale non riesco a sbarazzarmene.»

Era davvero un bell'appartamento. Il soffitto alto, esposto a Sud, dotato di un ampio terrazzo, l'ingresso era ovale, incorniciato da colonne ioniche in gesso. Un vero gioiello.

«Questo appartamento è in mano alla mia agenzia da nove anni. Gli ho dato il tuo nome dopo il diciannovesimo rifiuto. Nessuno lo vuole. È stato il primo immobile di cui mi sono occupato non appena ho iniziato a lavorare. È maledetto. È la mia maledizione.»

Diego si avvicinò a me, le mani in tasca e un labbro nella morsa dei suoi denti bianchissimi.

«Tu, sei la mia maledizione.» Disse.

Ogni alba rimasta (Ex ANCHE ORA- Il castello del tempo)Where stories live. Discover now