XXVII. - Senza via di uscita

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- Perché non si fa mai la doccia con noi? – chiesi a Claudia. 

- Non lo so, forse si vergogna – disse, facendo spallucce. – Lo fa da sempre, anche quando siamo nel loft. Si chiude sempre in bagno e si cambia lì -

Io e Claudia rimanemmo lì per un po'. Capitava che ci fermassimo nella saletta per riprenderci dagli allenamenti estenuanti o per sistemare qualcosa. Lei in quel momento stava svuotando il borsone usato. Con la coda dell'occhio notai che teneva sempre le sue cose con cura. 

Il completino usato era stato piegato e nella busta di plastica trasparente con le sue iniziali, che poi aveva gettato nel contenitore in metallo destinato alla lavanderia. Una serie di bottigliette di plastica con ancora qualche goccia di Power erano allineate per terra; gli asciugamani riposti in un angolo più lontano. 

Prese le racchette, ad una ad una, e iniziò a sistemare le corde e a controllare il coprigrip metodicamente. Sulla macchinetta all'angolo verificò il peso e il bilanciamento. Era sempre molto precisa sulle sue cose.

Guardai il mio divanetto. Il borsone giaceva aperto ai suoi piedi, e nonostante fosse nuovo sembrava lo usassi da vent'anni. Il completino usato era gettato in un angolo, accanto alla bottiglietta di Power accartocciata. I vestiti erano accatastati lì vicino. Dal borsone un paio di racchette minacciavano di uscire e cadere. Avrei dovuto migliorare anche l'ordine.

Mi sedetti, prendendo coraggio, e cominciai a slacciarmi le scarpe.

- Posso chiederti una cosa? – le chiesi all'improvviso.

Lei si girò, un po' sorpresa: - Dimmi –

- Perché non sono la benvenuta in questo gruppo? – buttai fuori le parole tutte d'un fiato.

Claudia si sedette, continuando a sistemare il coprigrip azzurro della prima racchetta. Il ciondolo a forma di tartaruga agganciato al borsone dondolava lentamente dopo lo scontro con suo braccio. Sembrò sorpresa all'inizio, ma poi la sua espressione si fece comprensiva, come se si aspettasse una domanda del genere. In fondo, in quello spogliatoio alla fine dell'exhibition, non eravamo che due ragazze che avevano appena giocato a tennis. Improvvisamente non mi sembrava più così algida e altezzosa.

- So che è difficile da credere, dopo quello che è successo al lago, ma non è qualcosa di personale... -

Fece una pausa, continuando a guardare la racchetta come se cercasse le parole.

- ...Un nuovo membro è sempre una potenziale minaccia per gli altri –

- Minaccia? In che senso? –

Ero sbalordita. Erano tutti molto più forti di me, non ero una minaccia per nessuno.

- Pubblicità, attenzioni, cose del genere... Capisci che intendo – ribatté criptica. Continuò a lavorare alle sue racchette senza guardarmi, poi si girò, forse per controllare che fossi ancora lì, visto che non le avevo risposto. Ma io la stavo guardando inebetita.

- L'attenzione è concentrata su di te, e gli altri si sentono minacciati. Non ti conoscono, non sanno cosa aspettarsi. Potresti essere un'alleata, o un personaggio che potrebbe oscurarli –

Scoppiai a ridere. Non poteva dire sul serio.

- Io? Ma mi avete visto bene? Sono imbranata, disordinata – dissi indicando la mia panchina – in fotografia esco sempre male e non so gestire i miei capelli. Voi avete sempre una piega perfetta, sapete sempre cosa dire, cosa fare. Non potrei mai rappresentare una minaccia per qualcuno –

- Nessuno lo sapeva fare prima, Beatrice. Imparerai anche tu a farlo – rispose con un sorriso.

– E' questo quello di cui hanno paura. Che potresti diventare troppo brava una volta capito il meccanismo –

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Where stories live. Discover now