Circe

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Il locale di Samuele oggi è strapieno, per lo più hipster con barbe lunghe e ben curate, impiegati in qualche azienda grafica, avvocatesse rampanti, pseudo fashion-victim in carriera con scarpe di Gucci, ventiquattrore di pelle e borsette di Prada; i nostri soliti posti sono occupati da alcuni studenti del Politecnico, il pub infatti si trova nel centro nevralgico di città Studi, a due passi da Piazza Leonardo Da Vinci e, il nostro illustre scienziato, è stata la fortuna di Sam, altrimenti in questa bettola non ci metterebbe piede nessuno. Gli studenti universitari che si raggruppano qui, normalmente sono fuori sede, pulcini usciti da poco dal loro nido, svolazzano qua e là, senza un piano di volo preciso, alla ricerca di un focolare cui appoggiarsi, un luogo di ritrovo qualunque, un centro di aggregazione che li faccia sentire al sicuro e meno soli, la parola disperazione non è solo un termine, ma una ragione di vita ormai, ed è qui che entra in ballo Samuele, con le sue lusinghe e moti fanciulleschi, il suo modo di fare da eterno ragazzo, li intrattiene e stende la ragnatela, una rete appiccicosa, un groviglio, dal quale quei poveretti non riusciranno più ad uscire. Effettivamente i ragazzi sembrano soddisfatti dei loro hamburger bruciacchiati e delle patatine molli, sospetto sia una sorta di sindrome di Stoccolma; fanno commenti assurdi, lodi spropositate, manco il cuoco fosse Carlo Cracco e non Furio Cadore, diplomato alla scuola Alberghiera di Strette sull'Adda, un posto che non compare neanche su Google Maps. Mia zia ed io ci siamo a lungo interrogate sulla veridicità di questo fantomatico luogo, convenendo solo l'Adda esista e Strette sia un posto inventato come il regno di Oz. 

In tutta onestà, Furio Cadore ricorda uno di quei bizzarri e piccoli personaggi del libro di L. Frank Baum, i Munchkin, la testa a forma di uovo un po' schiacciato, sproporzionata, la faccia lunga da cavallo, decorata da sopracciglia folte piegate in un eterno cipiglio, una nasone alla Gerard Depardieu sotto il quale crescono come licheni baffoni incolti, piegati in riccioli alle estremità. Tutto è bizzarro in Furio:  i capelli alla Einstein, rigorosamente blu, credo siano neri con i riflessi, ma è difficile dirlo, alla luce sono di un purissimo blu inchiostro, la bocca lunga e sottile, una virgola, posizionata asimmetricamente sopra quello che dovrebbe essere il mento (dovrebbe perché scompare misteriosamente nel collo); tutto il suo essere ricorda  un burattino, le braccia magre e lunghissime, le ginocchia appuntite, il corpo legnoso, talmente minuto da chiedersi come non oscilli o stramazzi a terra vista la grandezza della testa (forse Geppetto lo muove con fili trasparenti, è la teoria di zia). Dovrebbe essere lo chef di origini anglosassoni che spiega il pub inglese, in realtà tutto ciò che ha di inglese Furio è l'espressione tonta alla Mr. Bean, la fissa per l'ora del tè, per cui, ferma tutto e smette di lavorare, l'italianizzazione di parole inglesi, le frasi infarcite di parole inglesi (senza senso, la maggior parte delle volte) nonostante sia nato e cresciuto in Italia, infine la tipica parlata alla Super Mario.

Sollevo lo sguardo dal libro, mia zia oggi sta dietro il bancone del "bar", è un'anima in pena, odia con tutta sé stessa il ruolo da barman, perché non può estraniarsi e pensare ai fatti suoi, deve concentrarsi e dare retta a tutta questa folla di cui non le importa niente e che vorrebbe mandare al diavolo; Samuele è stato costretto a metterci lei, è a corto di cameriere che sappiano fare di conto, non ha avuto molta altra scelta, l'ho visto letteralmente struggersi nella decisione e tuttora, quando si avvicenda fra cucina e sala, portando piatti fumanti o bevande, scuote la testa, osservandola. «Cate, ti prego, se sparecchio e stendo i panni per un mese, al posto tuo, mi dai i venti euro che mi servono per comprare il videogioco di Batman?» piagnucola Jacopo, è riuscito non so come ad estorcere soldi alla nonna, più le mance dell'altro giorno, gli mancano questi benedetti venti euro e non ha trovato nessuno disposto a darglieli. «Mamma, che palle, tu e Batman. Manca poco alla fine del mese e mamma ti darà la paghetta, aspetta lei.» ribatto scocciata, infilando fra le pagine del mio libro una cartolina pubblicitaria.

Il Popolo delle OmbreWhere stories live. Discover now