- Come vedete non vi stavo evitando. Ma visto che non vi fidate più di me, forse è stato un errore venire qui - 

Mi alzai. – E' la mia vita. Ho fatto sacrifici per questo –

- Per una volta sono d'accordo con te – Angela fece lo stesso.

- Ora basta! – Marina richiamò l'attenzione – Risolviamo questa cosa prima che degeneri completamente. Becs, parla –

Mi sedetti di nuovo. - Volevo chiederti di non pubblicare la foto mia e di Orlando –

- Perchè, non sei contenta di apparire con il tuo amichetto? –

- Dicevi che non potevo giudicarlo perchè non lo conoscevo, ma ora posso farlo: Orlando non è una brava persona. Se la foto esce, lui mi metterà tutti contro. Non posso lasciare che accada –

- Certo! Beatrice dice una cosa e le sue stupide amiche obbediscono! Beatrice cambia idea, ed ecco che le amichette cambiano idea con lei! Non siamo le tue schiavette! –

- Sei davvero un'ingrata! – la guardai infuriata – Ogni giorno faccio del mio meglio per dimostrarvi che non è cambiato niente e tu, che potresti fare una cosa per aiutarmi, decidi di fregartene solo perché mi hai visto parlare per un secondo con uno che hai visto una volta nella tua vita, che si è imbucato alla tua festa e che non sapeva neanche il tuo nome? –

Angela mi guardò colpita. Ci pensò un secondo. 

- Non rinuncerò a far vedere che Orlando era alla mia festa. Non posso e non voglio. –

- Quindi la pubblicherai comunque! – Mi alzai, certa di non avere più nulla da dire.

- Sì – chiuse lei decisa, facendo lo stesso, e allontanandosi dal nostro tavolo. Stavolta Marina non provò neanche a fermarla. Avevo perso.

- So quello che stai passando Becs, anche lei lo sa. Deve solo farsela passare - disse - Ci parlerò di nuovo - 

- Ehm, scusami per disturbo, Beatrice – la voce maschile ci costrinse a voltarci. Era il cameriere.

- Potremmo farci una foto insieme? -

Abbandonai i campi A da sola. Era una giornata ventosa alla Fenice e non una delle migliori per me. La partita contro Giulia era stata orribile: le traiettorie modificate dal vento avevano reso la palla imprendibile. Avevo perso il set con un severo 6 - 1. Più giocavo, più mi innervosivo. Intorno a me avevo avvertito tutto il tempo la presenza di coach, vice, preparatore atletico, referente e cameraman. Un vero controsenso per uno sport così solitario.

Poi Cresci aveva dato lo stop.

- Tu non hai ancora finito – aveva detto sbarrandomi la strada.

- Che gioco credi di avere – mi aveva chiesto.

Avevo fatto un colpo di tosse nervoso: - In che senso? –

- Attacco, difesa, atletico. E' tanto difficile rispondere –

- Di attacco – avevo risposto. Un sorriso maligno gli si era formato sul volto.

– Credi davvero di essere un'attaccante –

- Vado a rete quando posso, cerco di spingere dietro l'avversario. Io... credo che sia un gioco d'attacco questo –

- Andare a rete perché il tuo avversario tira più corto non è attaccare. Attaccare è andare a rete quando lo decidi tu. Perché tu decidi di farlo, perché costruisci il punto così. Torna in campo –

Maurizio aveva preso la macchina sparapalline e mi aveva costretto a provare di nuovo la costruzione di ogni singolo punto, a tutto campo, centinaia di volte. Avevo ripetuto la stessa sequenza di diritti e rovesci fino a quando non avevo perso la forza per stringere la racchetta. Il dolore alle gambe mi aveva bloccato, ma lui aveva continuato ad urlare, notando i miei errori ad ogni colpo, non dandomi tregua, non dandomi il tempo di pensare, ignorando la pioggia che cominciava a cadere. E più urlava, più sbagliavo. E più sbagliavo, più mi teneva lì, a colpire palline.

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Where stories live. Discover now