prologo

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Pov. Crystal

Il corpo di mio padre si trovava a pochi passi da me, potevo sentire chiaramente i suoi respiri affannosi.

Un liquido caldo continuava ad allargarsi sul terreno, macchiando il mio vestito e rendendolo viscido al tatto, ma i miei pensieri erano rivolti solamente a lui: un proiettile aveva trapassato il suo corpo, lacerandogli la carne del petto.

"Non può accadere veramente.
Non deve accadere. È soltanto un incubo e fra un po' mi sveglierò, trovandomi in un suo abbraccio."

Non riuscivo a pensare a nient'altro se non a queste futili parole.

Il mio corpo era come paralizzato, ma ben presto un urlo agghiacciante squarciò il silenzio della notte: il mio.

Mi accasciai in lacrime sul suo corpo.
Cercai di premere, con quella poca forza che avevo, le mie mani tremanti sulla sua ferita, cercando di fermare l'emorragia, ma due braccia apparvero all'improvviso e mi trascinarono via dal suo involucro privo di vita.
Era una presa ferrea e non riuscivo in alcun modo a liberarmi per correre nuovamente da lui e salutarlo un'ultima volta, come avrei dovuto fare.

Mi arresi.

Le forze venivano sempre meno, ma prima di chiudere completamente gli occhi e abbandonarmi alla stanchezza, vidi la mia povera casa avvolta da spire di fuoco: da lì a poco, sarebbero rimaste solo delle ceneri.
E, infine, vidi lui.
Era stato lui a uccidere tutto ciò a cui tenevo, a distruggere persino me stessa.
Non avrei mai più dimenticato quegli occhi colore smeraldo.

Come ogni notte, mi svegliai in allerta del rumore di qualche sparo, aspettandomi la stessa scena del sogno, ma l'unica cosa che riuscivo a sentire, oltre i battiti accelerati del mio cuore, era un silenzio assordante.

Nonostante avessi 17 anni e da allora ne fossero passati cinque, quella scena continuava ancora a tormentare ogni mia notte.

Dopo essermi calmata, mi alzai dal letto e, toccando il pavimento freddo, potei constatare di essere veramente sveglia.

Allora mi tranquilizzai e andai a specchiarmi, com'era mia abitudine dopo un incubo.

Come se potessi avere il potere di ritornare indietro ed essere la me stessa bambina, come se niente di tutto quello fosse mai successo...

E, invece, ritrovai il mio solito riflesso.
Ormai ero divenuta una ragazza con le forme nei punti giusti, i capelli lunghi fino alle spalle colore rosso fuoco, che facevano risaltare le mie lentiggini e gli occhi di un gelido azzurro.
La bambina che aveva conosciuto tempi migliori, era scomparsa del tutto.

Mi stropicciai gli occhi, constatando di essere stanca e di avere bisogno di dormire.
Perciò presi la mia vestaglia e, cercando di fare il minore rumore possibile, uscii dalla mia camera, per andare in quella di mio fratello.

Per quanto fossi cambiata, lui era l'unico che riusciva a farmi sorridere e ritornare bambina.

Infondo nella vita non si è mai da soli, per quanto tu possa convincerti di esserlo.

Questo mi disse una volta il mio babbo.
Al solo ricordo la malinconia cominciò a prendere possesso del mio corpo, facendomi accelerare il più possibile, per raggiungere mio fratello.

Una volta varcata la soglia della sua porta, lo trovai seduto sul letto come se stesse aspettando qualcuno.
Si girò verso di me e mi stupii di vedere i suoi occhi lucidi.

Di solito, lui era quel tipo di ragazzo che, piuttosto di farsi vedere triste, sorrideva in qualsiasi tipo di situazione.

Da quando era mancato nostro padre, era stata molto dura per tutti e la responsabilità di tenere unita la famiglia, era ricaduta su di lui.
O perlomeno lui si sentiva in dovere di farlo perché, fra noi, lui era il primo a trovare qualcosa di positivo nelle situazioni difficili.

Mi avvicinai lentamente, non sapendo esattamente come comportarmi.

Da quel giorno, mi ero rinchiusa in me stessa e non mi importava più di nessuno, ma , forse, avevo fatto male.
Infondo non ero l'unica che stava soffrendo.

Cameron, non lasciandomi neanche il tempo di attraversare la stanza, si alzò e mi corse incontro, abbracciandomi forte, come se fossi la sua unica ragione di vita e senza sarebbe potuto crollare, come un castello di carte abbattuto dal vento.
Adesso era arrivato il mio momento di aiutare lui.

Con fatica cercai di ricambiare il suo abbraccio e, per alcuni istanti, ci guardammo negli occhi.

A volte uno sguardo poteva dire più di mille parole. Non c'era bisogno di nessuna spiegazione: era distrutto, come tutti infondo.
Però, a differenza di me e nostra madre, lui si era sempre preoccupato di noi.

Invece io e lei, da vere egoiste, non ci siamo mai domandate se dietro a tutti quei sorrisi, si potesse nascondere del dolore.

Pian piano lo avvicinai al letto, ci sdraiammo e, rimanendo abbracciati, ci addormentammo, lasciandoci cullare dal cinguettio degli uccelli notturni.

-Sveglia!-
Presa dal panico, tirai un calcio a vuoto e beccai qualcosa di morbido.

Mio fratello mi tolse le coperte di dosso.
- Ma sei impazzita? Mi hai fatto male!-
Urlò.

Lo guardai allibita e cominciai a sbraitargli contro.
- Scherzi?
Sei te che mi sei saltato addosso e hai cercato di soffocarmi sotto le coperte!-

Ogni mattina era la solita storia.

Cameron progettava, sempre, varie torture per svegliarmi e finivamo, sempre, con il discutere.

-Non potete svegliarvi silenziosamente come tutte le persone normali?-

E poi, ovviamente, si aggiungeva anche nostra mamma, Jennifer Cooper.

Da quando mio padre era venuto a mancare, era diventata una donna forte in grado di farsi rispettare anche in una società maschilista come quella dei nostri giorni, facendosi carico dell'amministrazione di tutte le aziende di lui.

Anche se in molti, all'inizio, avevano dubitato che sarebbe riuscita nell'impresa, lei, invece, aveva superato ogni aspettativa.

Tranne le mie, ma per altre ragioni.

Dopo solo pochi anni dall'incidente mia madre si fidanzò con James, un uomo conosciuto ad una riunione di lavoro.

Rimasi delusa, perché in poco tempo era riuscita a dimenticare nostro padre e a iniziare una nuova vita.
Ero gelosa di lei, ma una parte di me era fiera di come aveva reagito, perché anch'io volevo essere in grado di riuscire a superare quella storia.

Mi alzai svogliatamente dal letto, buttando giù mio fratello che non si era ancora spostato.

-Gentile come sempre, ingrata-.
Lo sentii borbottare a bassa voce.

Mi girai e gli feci una linguaccia,
scappai il più velocemente possibile, e mi rifugiai in bagno, l'unico posto tranquillo della casa.

-Intanto, non puoi rifugiarti lì per molto. Lo sai che oggi cambierà tutto-. Mi urlò mio fratello attraverso alla porta.
-Di nuovo.- Aggiunse sussurando.

Crollai per terra e mi misi a fissare il soffitto: oggi avremmo lasciato Londra, per andare a vivere in California.

Il Rumore Delle Ombre #wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora