La politica del terrore e la corsa agli armamenti

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Nell'agosto del 1945 il lancio delle due bombe atomiche sul Giappone aveva destato grande impressione in tutto il mondo. Superato lo sconcerto per la devastazione suscitata dai due ordigni, l'opinione pubblica americana cominciò a cullarsi in uno stato di sicurezza apparentemente insuperabile, visto il primato atomico americano.
Questa superiorità fu però di breve durata, già alla fine del 1945, Stalin aveva ordinato ai suoi scenziati di affrettare al massimo la ricerca per controbattere e neutralizzare la supremazia strategica dell'alleato.

Il programma intensivo per la produzione della bomba atomica, guidato da Lavrentij Berija e denominato in codice "Operazione Borodino" si avvalse di tutte le risorse disponibili messe a disposizione da Stalin, dei migliori ricercatori sovietici sotto la direzione di Igor' Vasil'evič Kurčatov, ed anche dell'apporto della scienza tedesca (grazie all'enorme quantità di materiale confiscato nel complesso scientifico di Zossen, alle porte di Berlino) e delle informazioni fornite da spie occidentali che, per motivi ideali, appoggiavano l'Unione Sovietica. La prima bomba atomica sovietica venne fatta esplodere con successo il 29 agosto 1949 a soli quattro anni dalla bomba americana.

La fine del monopolio atomico americano colse di sorpresa i governi occidentali e mutò radicalmente le prospettive delle relazioni internazionali. Improvvisamente lo scontro ideologico e politico tra le due superpotenze sembrò potersi trasformare in un aperto conflitto nucleare. Tutti gli uomini e le donne, a Ovest come ad Est, avevano la sensazione di una catastrofe imminente e ciò rendeva ancora più difficile i rapporti tra i due blocchi. Le tecnologie che si erano sviluppate da ambo le parti, erano tali da potersi annientare istantaneamente a vicenda.

Paradossalmente però, fu proprio la consapevolezza dell'enormità del potenziale distruttivo delle armi, accumulate da ambo le parti, ad impedire di fatto lo scoppio di un conflitto nucleare aperto. Tale situazione di stallo verrà poi più volte citata, da entrambe le parti, con il nome di "politica della deterrenza".

Nessuno dei due contendenti aveva però rinunciato alla ricerca, la speranza era per entrambi quella di poter sviluppare un'arma talmente potente da risultare definitiva in un eventuale conflitto mondiale. All'inizio del 1952, gli USA riconquistarono, anche se per pochissimo tempo, la supremazia nucleare con la costruzione e la sperimentazione della prima bomba ad idrogeno, che sarà poi chiamata "bomba H". Questa bomba aveva una potenza distruttiva mille volte superiore a quella della bomba di Hiroshima. L'illusione americana durò pochi mesi, visto che il 12 agosto dello stesso anno nel poligono di Semipalatinsk, fu fatta esplodere la prima bomba all'idrogeno sovietica.

Nessuno dei due paesi aveva però interesse a combattere una guerra nucleare sul proprio territorio e perciò divenne evidente che un eventuale scontro diretto si sarebbe potuto svolgere soltanto in Europa, vista la sua posizione strategica e viste ...

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Nessuno dei due paesi aveva però interesse a combattere una guerra nucleare sul proprio territorio e perciò divenne evidente che un eventuale scontro diretto si sarebbe potuto svolgere soltanto in Europa, vista la sua posizione strategica e viste le, ancora, insufficienti tecnologie per il trasporto delle bombe di cui disponevano USA e URSS. La principale conseguenza di questo fu che i paesi europei membri della NATO affidarono a Washington ogni decisione sulla loro difesa, ottenendo in cambio il cosiddetto "ombrello atomico americano". La corsa agli armamenti era ormai cominciata.

Sia gli USA che l'URSS cominciarono a investire gran parte dei loro capitali nella ricerca e nella costruzione di armi e sistemi sempre più all'avanguardia e più potenti ed è lecito affermare che furono gli USA, che mantennero sempre una certa superiorità tecnologica fino al 1957, quando questa posizione di preminenza venne seriamente minacciata dalla messa in orbita da parte dei sovietici dello "Sputnik", il primo satellite artificiale in orbita attorno alla terra. La sua importanza per la scienza sarebbe stata enorme ma agli occhi degli occidentali questo incredibile successo preoccupava soprattutto per il fatto che da quel momento i sovietici avrebbero potuto disporre di propulsori talmente potenti da consentire di lanciare missili dal suolo russo direttamente sul territorio americano.

La risposta americana non si fece attendere. Venne lanciato un costosissimo programma spaziale, che aveva l'obiettivo di superare quello sovietico nella "corsa allo spazio". In risposta al lancio del satellite sovietico gli USA lanciarono nel 1958 il loro primo satellite orbitale: "Explorer". Da questo momento in poi fu un costante rincorrersi e superarsi per le due superpotenze, con obiettivi sempre più mirabolanti, fino a che addirittura non si cominciò a parlare di portare un uomo sulla Luna. Nel 1961 gli americani svilupparono i primi missili intercontinentali che presero il nome di "Atlas", ai quali si aggiunsero in seguito i primi sottomarini a propulsione nucleare, non intercettabili ed in grado di restare in immersione per parecchi mesi percorrendo migliaia di chilometri.

Dal 1945 al 1990, sono state costruite più di 130.000 testate nucleari: 75.000 dagli americani e 55.000 dai russi. Secondo una stima pubblicata nel 1995 nel "Bullettin of the atomic scientists", gli USA da soli hanno speso dal 1940 ad oggi circa 3900 miliardi di dollari per il loro programma nucleare. L'URSS probabilmente spese una cifra simile il che, insieme con le spese delle potenze nucleari "minori" ( Francia, Gran Bretagna, Cina, Israele, India e Pakistan ), porta la spesa complessiva a qualcosa come 9000 miliardi di dollari.

Un esempio significativo della distorsione economica e sociale prodotta dalla corsa agli armamenti è stata la creazione in Russia di intere città chiuse al mondo esterno e dedicate alla produzione di materiale fissile e di altri prodotti per le armi nucleari, la cui popolazione totale superava le 700.000 unità.

Esse vennero fondate a partire dalla fine degli '40, con l'eufemistico nome di "caselle postali", in riferimento alla pratica di indirizzare la posta per esse tramite caselle postali in altre città. Queste strutture erano di due categorie: la prima comprendeva comunità che ospitavano strutture militari, industriali o scientifiche sensibili, come fabbriche di armamenti o siti di ricerca nucleare. La seconda consisteva di città di confine chiuse per motivi di sicurezza. Aree chiuse paragonabili esistevano anche al di fuori del blocco sovietico, come per esempio, quelle site in una consistente area che si trovava lungo il confine tra le due Germanie, e un'altra situata tra il confine della Cecoslovacchia.

La scelta di queste città chiuse veniva fatta sulla base delle caratteristiche geografiche del luogo. Venivano spesso fondate in luoghi remoti nel profondo degli Urali e della Siberia, al di fuori dalla portata dei bombardieri nemici. Esse erano sempre costruite vicino a laghi e fiumi utilizzati per fornire grandi quantità di acqua, necessaria all'industria pesante ed alla tecnologia nucleare. Gli insediamenti civili preesistenti situati nelle vicinanze venivano spesso usati come fonte di lavoro (spesso forzato) per la costruzione delle strutture. Anche se la chiusura delle città venne stabilita come misura strettamente temporanea, nella pratica le città chiuse fecero perennemente vita a sé stante diventando una peculiare caratteristica istituzionale del sistema sovietico.

Gli spostamenti da e verso le aree chiuse erano strettamente controllati. Agli stranieri era proibito entrarvi ed i cittadini sovietici erano sottoposti a forti restrizioni. Necessitavano di permessi speciali sia per recarvisi, che per andarsene, e a chiunque avesse voluto rimanere, veniva richiesto di sottoporsi ad una verifica da parte della NKVD o delle agenzie successive istituite per il controllo.

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