Capitolo 2: Lora - Dieci anni dopo (aggiornato)

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Lora

Dieci anni dopo

    

Mi guardo di nuovo intorno.

«Stupenda», ripeto ammirando gli alti soffitti, le modanature in legno e l'imponente scalinata dell'ingresso.

«È stata ristrutturata da poco», mi fa eco con orgoglio l'agente immobiliare.

Mi sposto nel soggiorno. «Oh, ma è davvero...incantevole!», esclamo indicando il camino in mattoni, immaginandomi accoccolata là davanti nelle sere d'inverno.

Passo una mano sulla mensola incurante della polvere, sfiorandone con le dita tutti i dettagli.

«Venga, andiamo al piano di sopra, sono sicuro che le piacerà», mi invita l'uomo in tono gentile ma leggermente sbrigativo.

Osservo estasiata ogni particolare della casa, le finestre, i quadri, gli arredi, tutto sembra appartenere a un'altra epoca. «Forse primi del Novecento?»

«Come scusi?», mi chiede l'agente voltandosi appena.

«Mi domandavo se questa casa fosse dei primi del Novecento».

Lui si dà una rapida occhiata introno. «Sì, può essere. Ora giri alla sua destra, potrà ammirare...»

«La camera da letto padronale», lo anticipo affacciandomi col busto all'interno.

«Esatto. Come potrà notare, è dotata di un balconcino da cui qui può godere di una magnifica vista sul ponte di Brooklyn».

«Posso vedere?», chiedo come attratta magneticamente da quella portafinestra chiusa da pesanti imposte di legno.

«Certo. Purtroppo il precedente proprietario ha tenuto quella porta sempre chiusa e non ha mai fatto un minimo di manutenzione. Credo che sia arrugginita sui cardini. Se fossi in lei aspetterei...» Ma prima ancora che possa terminare la frase ho già aperto i vetri e sto cercando di smovere le assi.

«Le dispiace darmi una mano?» Sospirando, il povero agente posa la cartelletta, si avvicina e mi aiuta a sbloccare le imposte che dopo diversi tentativi riusciamo ad aprire. Incantata, mi affaccio su quel panorama da  .

Accanto a quella vi è una stanza più piccola con le pareti azzurre e un bagno con all'interno una grande vasca dalle zampe di leone, come quelle che andavano di moda una volta.

Tornati in soggiorno, iniziamo a parlare di cifre. «Al telefono mi ha detto che l'affitto è di 500 dollari al mese, esatto?»

«Sì. Ma, come vede, li vale tutti».

Ci penso un attimo, è strano che il proprietario – che a quanto ho sentito è un uomo giovane – preferisca affittare una casa come questa. Scelgo però di non chiedere delucidazioni in merito e penso invece alla mia condizione economica. Anche se non mi potrei permettere un affitto così alto solo con il lavoro al pub, ho dei soldi che tenevo da parte per comprarmi un giorno un posticino tutto mio. Ma c'è qualcosa in questa casa che mi attrae. Luce e tormento. Alcune stanze sono luminose e ridipinte di fresco, mentre altre sono lasciate in totale abbandono, con le imposte chiuse. Qualunque sia la sua storia e quella del proprietario, deve averla amata veramente.

L'agente sta parlando al cellulare con un altro cliente e io ne approfitto per pensarci bene. Alla fine mi convinco.

«Va bene, la prendo», dico entusiasta ma ancora un po' incerta.

«Perfetto, signorina, ha fatto un ottimo affare». Mi sorride stringendomi la mano. «Può passare nel mio ufficio nel pomeriggio per firmare il contratto d'affitto. Le farò avere le chiavi in settimana». Si incammina verso la porta.

«Ma come, non è possibile averle oggi? Sono tornata in città da pochi mesi e mi devo ancora sistemare...»

Lui si volta e copre di nuovo il cellulare con una mano, questa volta visibilmente seccato.

«Vedrò che posso fare, ma sa, il signor Forbs è un uomo un po' difficile...»

«Il signor Forbs sarebbe il proprietario?»

«Esatto», risponde come se fossi ritardata.

«E dove posso trovarlo per chiedergli le chiavi?»

«Beh, gestisce un ristornate a Manhattan, uno dei più in direi. Ma, come le ho detto, è un uomo un po' difficile, non ama essere disturbato. Le consiglio di aspettare...»

«Sì, ho capito. Mi dia l'indirizzo per favore», taglio corto.

Dopo qualche titubanza l'uomo acconsente e con gesti affrettati estrae la penna dal taschino e scrive su uno dei fogli che ha in mano l'indirizzo del ristorante.

«Black Hole», leggo sul biglietto scritto con calligrafia affrettata. Che strano nome per un ristorante, suona più come quello di un locale notturno.

TO BE CONTINUED...

Don't let me in (versione originale - completa) +  Don't let me go (in pausa)Where stories live. Discover now