La tempesta

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Con il passare delle ore i piatti rotti diminuiscono, ma l'astio nei suoi confronti aumenta. Non è mai contento.

«Guardami, ti sembra che stiamo giocando?», mi dice dopo il mio ennesimo errore. «Qui tu sei in prova. Sai questo cosa vuol dire?»

«E allora licenziami, se pensi che sia una buona a nulla!», non riesco più a trattenermi. Un guizzo attraversa i suoi occhi. Sorreggo il suo sguardo per qualche secondo, poi abbasso il mio. Sono furiosa, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è che è vicino, troppo vicino, a me.

«Se accetto di perdere il mio tempo qui con te c'è un motivo».

«E quale sarebbe?», gli chiedo sfrontata.

«Impari in fretta e, anche se non te ne rendi conto, hai un buon portamento», risponde cogliendomi di sorpresa.

Lo guardo, non mi aveva mai detto niente del genere finora.

«Hai quella a femminilità che spinge un uomo a non distogliere lo sguardo». Sta cercando di farmi un complimento, ma mi sento più offesa che lusingata. Poi però mi rendo conto che i suoi occhi non mi hanno mai lasciata mentre lo diceva. E il suo sguardo inizia a pesarmi un po' più di prima.

Se i primi giorni sono stati duri, quelli dopo lo sono anche di più, sebbene riusciamo pian piano a trovare un equilibrio e ad apprezzare la compagnia l'una dell'altro.

«Attenta. Non scaldare troppo il latte», dice abbassando la manopola del vapore. Lo getta e ne versa dell'altro nella brocca di metallo. «Non posso credere che tu non abbia mai fatto un cappuccino».

«Lavoravo in un pub. Caffè e cibo sano erano quasi una bestemmia».

«Mmm, bel posto», commenta sarcastico.

«In realtà, sì. Ascolti un'infinità di storie diverse in un locale come quello».

«Quindi questo ambiente deve sembrarti molto noioso».

«Non più di tanto. Anche qui si possono scoprire le storie dei clienti. Basta avere un po' più di intuito. Le donne, ad esempio, nascondono il loro dolore dietro un trucco pesante o un paio di scarpe nuove».

«E gli uomini?», mi chiede curioso.

«Dietro l'arroganza».

Con il passare dei giorni mi rendo conto sempre più che ciò che mi irritava di lui, l'arroganza e la supponenza con cui si rivolgeva ogni volta a me, non mi dà più così fastidio. Una strana agitazione mi coglie tutte le volte che mi sta vicino. Se non fosse per il suo caratteraccio, direi di essere attratta dal capo. Ma non mi faccio illusioni: Gavin Forbs è l'uomo più freddo e insensibile che io conosca, ed è impossibile che si sia accorto della mia piccola infatuazione. Quindi mi limito a osservarlo, facendo finta di non avvertire la sua presenza alle mie spalle, di non sussultare tutte le volte che si avvicina per correggere qualcosa o per rimproverarmi, di non arrossire quando mi osserva con quello sguardo imperscrutabile e penetrante.

«Attenta!», lo sento esclamare di nuovo, ma è troppo tardi. Urto l'angolo di un tavolo e il piatto che avevo sopra la testa cade a terra frantumandosi ai miei piedi. «Non muoverti» mi dice in uno sbuffo. Prende scopa e paletta e raccoglie tutti i cocci.

Mi fissa torvo. «Devi fare più attenzione, Lora. Potevi farti male». E la sua preoccupazione non fa altro che accentuare il mio nervosismo. «Si può sapere dove hai la testa oggi?», rincara.

Come faccio a dirgli che mi sono distratta pensando a lui?

«Allora?» Sembra pretendere davvero una risposta.

Don't let me in (versione originale - completa) +  Don't let me go (in pausa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora