Gavin, Dicembre 2005 (aggiornato)

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Gavin
A
Dicembre 2005

    

Vivian fa un altro giro su se stessa, le braccia sollevate ad accogliere il turbinio di foglie che piovono come piume dal cielo. I suoi capelli neri mossi dal vento e trattenuti da un berretto giallo paiono accendersi di mille riflessi cangianti nella luce tersa del mattino non appena usciamo dal parco.

Come immaginavo Brooklyn – questo borough (borgo) di New York, crogiolo di etnie e culture, di colori e sapori diversi che ti permettono di attraversare virtualmente tutto il mondo passando con semplicità da un quartiere all'altro, vivace e cosmopolita – è la cornice perfetta. La fermo e le copro gli occhi con le mani. Le sue palpebre fremono di scoprire cosa nascondo, ma non si oppone. Avanziamo così, io che la guido, aggirando radici e rami smossi, lei che si lascia trasportare senza timore, sotto gli occhi incuriositi dei passanti, immergendo gli stivali di gomma nello scricchiolio di foglie secche.

«Allora, me lo vuoi dire dove stiamo andando?», mi chiede impaziente. Ci fermiamo davanti un'abitazione. Lentamente abbasso le mani, svelando a poco a poco la mia sorpresa.

«Pensavo che questo potrebbe essere il posto giusto»,. Appena l'ho vista ho capito che era questa la casa giusta per noi. È stato uno dei miei ultimi progetti di ristrutturazioni. Una cliente voleva lasciarla in eredità alla nipote, che però si è trasferita all'estero. Così lei ha deciso di venderla per paura che restasse di abbandonata.

Un colpo di fortuna o forse solo il destino.

Con una mano sulla bocca a coprire la sorpresa, Vivian osserva la facciata e capisco che vede ciò che vedo io. Una dimora in stile vittoriano, dall'aspetto un po' trascurato ma ricco di carattere e storia, che sembra non aspettare altri che noi. Il giardino curato da poco, le tendine di pizzo e la bicicletta arrugginita lasciata sotto il porticato dalla precedente padrona, raccontano la storia di chi l'ha amata. Ma dal modo in cui si tormenta una ciocca di capelli attorcigliandola su se stessa, capisco che Vivian non è convita.

«Non sarà troppo...cara per noi?» Sembra una domanda a trabocchetto.

Scuoto la testa con un sorriso, la prendo per mano ed entriamo.

Dopo aver fatto più volte il giro di tutte le stanze, Vivian sembra abbattuta.

«È bella ma... non credo che ce la possiamo permettere».

Solo in quel momento tiro fuori il foglio di carta ripiegato che ho in tasca. «Sapevo che l'avresti detto. Perciò ci ho già pensato io», Vivian lo prende fra le mani che tremano leggermente. «La proprietaria mi è venuta incontro sul prezzo». 

«L'hai ammaliata con il tuo fascino da latin lover?» Cerca di nascondere l'emozione, ma è raggiante. 

Chiude gli occhi e trattiene il respiro per qualche secondo, come se solo ascoltando il battito del cuore riuscisse a trovare le parole giuste. «Non posso credere che tu l'abbia comprata senza dirmi niente.»

«Sapevo che ti sarebbe piaciuta.»

Lei osserva a lungo la bellissima vista sul ponte di Brooklyn, che con il suo fascino rétro conferisce alla città quel profilo inconfondibile che la rende unica, e non ho bisogno di altro per capire di aver fatto la cosa giusta.

Imprigiono la sua schiena fra le braccia. La mia mano scivola sulla sua spalla a giocherellare con una ciocca di capelli. L'avvolgo intono al dito per non lasciarmela sfuggire. Lei mi guarda, gli occhi che brillano come non mai.

La tengo stretta così, una mano che le accarezza il ventre. 

Andrà tutto bene, ne se sono certo.

Don't let me in (versione originale - completa) +  Don't let me go (in pausa)Onde histórias criam vida. Descubra agora