L'inizio di tutto

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Alle volte le circostanze in cui sei immerso ti fanno dimenticare anche le cose più facili.
Il minimo ricordo felice.
La gioia del primo bacio.
Le giornate con gli amici.
Le risate con i familiari.
Anche semplicemente come respirare.
E ti ritrovi come in apnea, con un nodo che ti stringe lo stomaco e ti impedisce di provare il minimo senso di fame; hai voglia di vomitare, ma sai che se ci provassi non uscirebbe nulla.
Ci sono momenti in cui ti senti solo, vuoto, privo di ogni energia; come se ti avessero strappato il cuore dal petto in un solo colpo.
Alle volte vorresti solo avere la certezza di essere in un incubo e che, per quanto terribile possa essere, prima o poi ti sceglierai e continuerai la tua vita come se nulla fosse successo, al sicuro da tutto e da tutti.
In questi momenti ti chiedi perchè la vita abbia deciso di riservarti un destino tanto avverso, perchè ha voluto farti soffrire fino all'ultimo, lasciandoti inerme di fronte alle più terribili paure, sicura che tu sia un lottatore di natura.
E tu vorresti gridare, vorresti piangere e correre via, ma l'unica cosa che fai è restare immobile e tremare, versando solo lacrime silenziose che ti rigano il viso e ti ustionano le guance.
Cerchi appoggio dalle persone a te più care, ma sai che l'unica cosa da fare è trovare la forza dentro di te, ovunque essa sia, perchè anche le persone più forti in momenti come questi credono di aver perduto tutto il coraggio di cui erano dotate.
E Kurt, in quel momento, se ne stava seduto sul letto d'ospedale, con gli occhi fissi sul lenzuolo, senza proferire parola ne muovere muscolo.
Aveva pianto, si era sfogato inizialmente, aveva gettato fuori tutta la rabbia e tutta la paura, il dolore e le sofferenze; adesso però, nella notte, non aveva più la forza e la voglia di piangere, preferiva stare in silenzio e pensare, cercando di non svegliare nessuno in quella stanza.
Burt e Carole si erano appisolati sulle sedie, mentre Blaine si era accucciato nel letto insieme al marito, stringendo forte a sé: il castano guardò i tre con un dolore indescrivibile negli occhi, sapendo bene che gran parte del dolore di quella notizia era sulle loro spalle. Vedere soffrire un proprio caro: una delle sensazione più brutte che ci potessero essere e Kurt lo sapeva bene; aveva rischiato di perdere suo padre e aveva perso la madre, era certo di tutto quello che potesse passare nella mente di Burt.
La mattina seguente sarebbero venuti per prelevare del tessuto dai polmoni del ragazzo e gli avrebbero specificato tutto a proposito delle terapie che avrebbe dovuto effettuare per cercare di debellare il cancro.
Kurt, però, non aveva paura per sé, non aveva il timore di poter perdere la vita; la sua più grande paura era destinata ai suoi cari, a tutti quelli che a causa sua avrebbero sofferto.
Pensava a suo padre, l'uomo che lo aveva cresciuto e che aveva fatto tutto per lui; l'uomo al quale il castano era più legato, la sua ancora di salvezza.
Pensava a Carole, la sua matrigna, quella dolce donna che aveva già perso un figlio e che rischiava di perdere anche quello adottivo.
Pensava a Rachel, la sua migliore amica, quella che era stata con lui nella buona e nella cattiva sorte, quella con la quale era sempre in conflitto, ma senza la quale non sarebbe potuto vivere.
Pensava a Blaine, suo marito, l'amore della sua vita. Con lui aveva immaginato un futuro felice, un futuro pieno di gioia e d'amore e in quel momento vederlo svanire lentamente tra le sue dita faceva male.
Piangere non sarebbe servito a nulla e lo sapeva bene, avrebbe dovuto affrontare la situazione di petto, come sempre, avrebbe combattuto per riuscire a vincere anche quella sfida che la vita gli stava mettendo di fronte.
Forse era stato troppo ingenuo da parte sua pensare che dopo il matrimonio e il trasferimento a New York tutto sarebbe andato bene, era stato troppo frettoloso nel dare un giudizio e non avrebbe dovuto permetterlo.
Aveva sperato troppo velocemente in un lieto fine, come se si fosse trovato nel mondo delle fiabe.
In silenzio si alzò dal letto, facendo attenzione a non svegliare Blaine, e si diresse verso il bagno per specchiarsi: era più pallido del solito, le occhiaie solcavano il suo viso e sembrava che stesse vendendo un fantasma al posto della sua figura.
Non era mai stato ben piazzato, sempre molto magro, ma in quell camiciona sembrava ancora più piccolo e indifeso, come se tutto potesse abbatterlo al primo soffio.
Passo le dita sul volto freddo, passando poi al collo e verso il cuore, come per controllare personalmente che battesse ancora: continuò a fissarsi per alcuni minuti, senza sapere bene che cose stesse cercando, come per convincersi che quella era la realtà e non un sogno terribile.
Tic Toc.
Il rumore dell'orologio sulla parete che segnava il lento scorrere del tempo.
Kurt si voltò leggermente verso di esso e sorrise amaramente: quanto rimaneva a lui?
Sarebbe riuscito a rimanere in questo mondo a lungo per avere dei figli? LI avrebbe mai avuti?
Tic Toc.
Ancora un minuto passato nel buio del bagno, illuminato fiocamente da due lampadine ai lati dello specchio.
Tic Toc.
Una voce che richiamò Kurt dai suoi pensieri: una voce assonnata, ma triste, piena di dolore; la voce di suo padre, come potette immediatamente riconoscere il ragazzo.
"Kurt?"
Lui si voltò verso l'uomo, incontrando i suoi occhi spenti e mezzi chiusi dal sonno.
"Sto bene, non ti preoccupare."
Una risposta forse data più freddamente del dovuto, senza volere.
Burt sospirò, sapendo perfettamente le bugie che il ragazzo stava raccontando a se stesso. Era chiaro che non stesse bene, ma si vedeva che non voleva essere aiutato in quel momento.
Gli si avvicinò prendendogli la mano e lo portò fuori dalla stanza; Kurt non fece resistenza e si lasciò trascinare ovunque il padre volesse, come se fosse una bambola inerme ai voleri di un bambino.
"Qua almeno non rischiamo di svegliare Carole e Blaine."
In corridoio i due si sedettero sulle sedie di una piccola saletta d'aspetto appena poco distante dalla camera del ragazzo.
"Hai paura?"
Kurt abbassò lo sguardo, tenendolo fisso verso il pavimento, mentre il padre lo abbracciava in una forte presa.
"Ci siamo noi qua con te."
Il castano annuì, cercando di respingere le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi cerulei.
"Sarà difficile, vero?"
Burt sospirò, sapeva già la risposta.
"Kurt, ascoltami: si, sarà difficile, ma non pensare mai di essere solo. In un momento come questo la cosa peggiore che possa succedere è avere la certezza di essere soli anche se non è così. Tu ricorda sempre che lotteremo insieme, siamo una famiglia e non ti lasceremo mai solo. A costo di affittare una casa qua a New York, ma io e Carole non lasceremo te e Blaine da soli per nessuna ragione al mondo."
Burt non piangeva, c'era sicurezza nelle sue parole, c'era la consapevolezza che avrebbe mantenuto la sua promessa a qualsiasi costo; Kurt sorrise appena a quelle parole, ringraziando il padre con lo sguardo e stringendosi di più nell'abbraccio, come se fosse la sua ancora di salvataggio.
"Credo che un Grazie non basti, papà."
"Non sei solo figliolo, mai."


La mattinata era passata molto silenziosamente, i medici erano passati e avevano portato Kurt in una sala per il prelievo, poi avevano detto che lo avrebbero dimesso in pomeriggio, dandogli l'appuntamento per l'inizio delle terapie.
I coniugi Hummel-Anderson erano tornati a casa loro, mentre Burt e Carole erano andati alla ricerca di un appartamento per qualche tempo.
Non era stato facile per Kurt dare la notizia a Rachel quel giorno, l'aveva chiamata al cellulare e le lacrime erano iniziate a scendere non appena la ragazza aveva risposto al telefono: inutile dire che tempo mezz'ora lei e il suo ragazzo erano accorsi a casa dei due ragazzi.
In quel momento Rachel stava singhiozzando sulla spalla del castano, mentre Blaine spiegava la situazione a Jessie, in cucina, lasciando soli i due amici in sala sul divano.
"Rachel ehi..."
Kurt aveva stretto a sé la ragazza, sapendo perfettamente che esteriormente sarebbe stata quella che avrebbe sofferto di più: conosceva il carattere della ragazza e sapeva che esprimeva molto tutti i suoi sentimenti.
"Sono ancora qua, non piangere prima del tempo."
La ragazza lo guardò appena, mostrando i suoi grandi occhi castani arrossati e pieni di lacrime.
"Kurt..."
Il ragazzo capiva e captava la paura negli occhi della ragazza, era il suo migliore amico e riusciva sempre a capirla dai soli occhi.
Lei, Rachel Berry, la ragazza che non si faceva mai mettere i piedi in testa da nessuno, che in quel momento era stretta al suo migliore amico come una bambina in cerca di protezione.
Aveva già sofferto per la perdita dell'ex fidanzato e non voleva neanche immaginare di poter perdere Kurt; il ragazzo quello lo aveva intuito e cerva in ogni modo di alleviare la situazione.
"Vedi? Sono qua, sto bene adesso."
Blaine ogni tanto buttava un occhio in soggiorno, per controllare che stesse andando tutto bene: voleva notare ogni minimo cambiamento nello sguardo o nelle azioni del marito per controllare che stesse bene e non avesse bisogno di nulla.
"Kurt dovrebbe sottoporsi a chemioterapie, giusto?"
Blaine portò nuovamente l'attenzione verso Jessie.
"Credo di si, ci comunicheranno tutto domani mattina, non appena avranno i risultati del test sul campione prelevato."
"Ci sono speranze che sia un tumore benigno?"
Il moro sospirò appena, abbassando la testa.
"Non molte, per non dire nessuna quasi."
"Mi dispiace davvero, ma Kurt è forte, sono certo ne uscirà."
Il moro annuì, convinto di quello che Jessie stava dicendo, si: Kurt era forte ed era circondato da tutte le persone che lo amavano di più, non si sarebbe arreso facilmente.
La voce di Kurt, improvvisamente, riempì le stanze del piccolo Loft, portando a sé l'attenzione degli altri tre ragazzi.
"Ho voglia di vedere un bel film, che ne dite se ci mettiamo qua sul divano e lo guardiamo insieme."
Rachel si strinse maggiormente a lui, mentre Blaine e Jessie lo raggiunsero sul divano, mettendo poi un film scelto dal ragazzo.
"Non dovete per forza assecondarmi in tutto adesso eh, altrimenti non ci sarà più divertimento a punzecchiarvi per tutto!"
Kurt non perdeva la sua vena sarcastica, non la voleva perdere e lasciarsi andare allo sconforto.
Voleva solo passare quella serata in modo normale, lasciando da parte per un po' tutto il dolore, come se niente in quei giorno fosse mai successo.


Lo squillo di un telefono.
"Pronto?"
"Signor Hummel, come temevano il tumore è di natura maligna, ma è ai primi stadi e con qualche seduta di chemio dovrebbe scomparire. La prima seduta è prevista tra tre giorni."
La parte difficile stava per iniziare.


Note dell'autrice:
Ciao a tutti ragazzi!
Adesso che so di aver superato l'esame di matematica sono tranquilla e ho trovato anche la voglia di scrivere, anche se sinceramente dopo aver scritto questa roba mi sono depressa da sola, ma vabbè (?)
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e, come al solito, sarei felice di avere qualche parere da parte vostra.
La storia finalmente entra nel vivo, ye (?)
Comunque!
Buona lettura e alla prossima, un bacio.

Giulia Pierucci

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