1. La figlia senza nome

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Sembrava preannunciarsi una mattinata tranquilla al 221B: John degustava il suo tea seduto comodamente sulla sua poltrona, leggendo il quotidiano con pacata concentrazione, mentre Sherlock... Beh, Sherlock era steso a pancia in su sul divano, fissando annoiato il soffitto incolore, sbuffando sonoramente di tanto in tanto.

"Che noia! Nemmeno un caso interessante da seguire!" pensò contrito, stringendo lievemente i pugni con fare stizzito, finché un'idea non gli balzò alla mente, facendolo sorridere mellifluo.

"John, mi dai la tua pistola?" chiese tranquillo, spezzando il silenzio calmo e quasi surreale che si era venuto a creare.

John interruppe la sua lettura e sollevò lo sguardo verso il suo inquilino, contraendo la mandibola, tentando di stare calmo.

"No" rispose seccamente, facendo sbuffare, per l'ennesima volta, Sherlock, infastidito.
"Mi sto annoiando!" sbottò poi, sbattendo rumorosamente i piedi sul divano.
"Suona il violino" gli propose John per nulla toccato da quel comportamento da bambino viziato, continuando a leggere come se nulla fosse.
"Non ne ho voglia. La mia mente ha bisogno di lavorare!" gli spiegò concitato, facendo sospirare il medico dalla frustrazione.
Lui voleva solamente leggere il giornale e finire il suo tea, ormai ghiacciato.
"Se la tua mente ha bisogno di lavorare, Sherlock, mi spieghi cosa faresti con la mia pistola?" gli chiese scettico, facendo indignare l'altro.
"Come sei permaloso! L'avrei solamente smontata, rimontata con una benda agli occhi e a testa in giù e poi avrei fatto qualche altro buco nel muro!" rispose acido, come se fosse la cosa più naturale del mondo, sorprendendo l'altro.
Dopo tanto tempo passato assieme, non si era ancora abituato a quell'atteggiamento sfrontato e genuino allo stesso tempo: tutte le volte era una sorpresa, scioccante o strabiliante che fosse.
"Hai un bel coraggio a darmi del permaloso" gli fece notare, chiudendo il quotidiano, per poi metterlo sul tavolino difronte a sé, arrendendosi all'idea che non sarebbe riuscito a finire di leggerlo (come quasi tutte le volte).

"Sherlock! John!" li chiamò trafelata Mrs. Hudson, affrettandosi a salire le scale per raggiungerli, seguita a ruota da una ragazza con in braccio un fagotto avvolto da una coperta pesante.

"Mi dica, Mrs. Hudson, mi ha portato un nuovo caso?" domandò speranzoso il riccioluto, mettendosi seduto sul divano.

"Sherlock, mio caro, credo che questo sarà un caso molto difficile!" gli rispose preoccupata la donna, accendendo una nuova luce di sentimenti contrastanti nel giovane, mentre John si sentì come avvolto da un velo di paura.

Quella paura leggera ma infida, che ti fa salire l'ansia e che non ti lascia respirare un solo minuto.

Un piagnisteo di neonato richiamò la loro attenzione, facendo appoggiare gli sguardi dei presenti sulla figura alta e longilinea che aveva fatto capolino nel salotto.
La ragazza cullò l'infante con cura, facendolo smettere quasi subito, mentre il suo sguardo passò in rassegna tutte le persone all'interno della stanza, fino ad incontrare lo sguardo deluso, scettico ed annoiato di Sherlock.

"Che caso mai difficile può essere?!? Questa ragazza non è qui per esporci un suo problema da risolvere... sembra arrabbiata... con me, in particolar modo. Che male le avrò mai fatto, poi?" si chiese il consulente investigativo, continuando ad osservarla con particolare minuzia, in cerca d'informazioni.

"Ciao, Sherlock! Spero vivamente che ti ricordi della sottoscritta!" lo salutò acida, stringendo di più contro il suo petto il batuffolo che teneva tra le braccia.
Sherlock si alzò e si diresse verso la ragazza con la vestaglia che gli ricadeva in modo elegantemente scomposto sul suo corpo, coprendo, con le sue ampie maniche, le sue mani pallide e affusolate.
"A dire il vero, no. Chi sei e perché sei qui?" gli domandò a bruciapelo, facendo infuriare ancor di più la ragazza.
"Sei veramente uno stronzo, Sherlock! Ti rinfresco la memoria: notte del 16 gennaio 2013, Irish Pub. Tu eri ubriaco e..." cominciò a dire, ma il ragazzo la interruppe.
"Basta così. Ho capito chi sei: Maia Watterson. Mi dispiace deluderti, ma l'essere che porti fra le braccia non è mio. Sarò stato anche ubriaco, ma ho preso tutte le precauzioni e il profilattico non era bucato" spiegò brevemente con fare scocciato, facendo sbuffare la ragazza.

La figlia di SherlockWhere stories live. Discover now