Cap. 13 Evan

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Aveva fatto un sogno. Bellissimo. Realistico. Un sogno dove Trey era il suo amante. Dove fisicamente erano stati insieme.

Aprì gli occhi lentamente alzando la mano destra per strofinarsi il viso, gemendo mentre i muscoli indolenziti del suo corpo protestavano per il movimento appena fatto. Sentiva una leggera pressione alla tempia destra, un ricordo tenue ma persistente dell'incidente della sera precedente.

Non era stato un sogno. Il dolore che sentiva, quello ai muscoli, era una chiara dimostrazione che aveva fatto sesso con Trey. Quel tipo di rapporto che aveva sempre sognato, e non solo per il protagonista.

Un timido sorriso gli curvò gli angoli della bocca, alzando la schiena in posizione verticale guardò i segni di ciò che era successo. Chiazze violacee sulle braccia, segni rossi sul torace. Si leccò le labbra, le tracce del sapore di Trey erano ancora su di lui. Le immagini della notte prima gli invasero il cervello facendolo rabbrividire dal piacere.

Cazzo, era successo davvero.

Alzò le braccia adagio, stiracchiandosi e mugugnando, godendo di quel risveglio.

Era iniziata una delle giornate più belle della sua vita.

«Trey? » chiamò nella stanza vuota. Si voltò alla ricerca di qualcosa da indossare per andare al piano di sotto dove sentiva provenire dei rumori ovattati. Una sedia che strusciava contro il legno, il rumore di uno sportello della credenza che veniva chiuso.

Buttò i piedi fuori dal letto sentendo i muscoli della mascella tesi per il continuo sorridere, continuando così gli sarebbe venuta un'emiparesi. Trovò un paio di vecchi boxer di quando andava al liceo in un cassetto ormai quasi completamente vuoto, un paio di bermuda rossi e una vecchia t-shirt di cotone bianca con il logo Dr Pepper. Non era un abbigliamento consono al suo modo di essere, in realtà aveva il sospetto di indossare gli abiti che Trey aveva lasciato nella sua stanza durante l'adolescenza.

Lisciò il tessuto per poi avvicinarlo al naso sentendo il profumo inconfondibile della pelle di Trey. E non veniva dalla maglia, ma dalla sua stessa pelle. Avrebbe dovuto fare la doccia ma voleva tenersi l'odore di Trey ancora addosso. Magari avrebbero potuto farla insieme. Un altro stupido sorriso.

Scese le scale dondolando – gongolando - passandosi le mani tra i capelli disordinati, per poi bloccarsi all'improvviso tra l'ultimo gradino e il pavimento di legno. Il sorriso che fino a quel momento aveva ritenuto impossibile da far svanire, si dissolve in una frazione di secondo.

Anche il dolore alla tempia, che sembrava solo un fastidio leggero, prese a pulsare con insistenza, come se nella sua testa avessero fatto irruzione un gruppo di agenti della SWAT per metterlo fuori combattimento.

La schiena dell'uomo era ampia e fasciata da una giacca blu cobalto, i jeans stretti disegnava curve nei punti giusti e i lunghi capelli biondi gli circondavano il collo come una morbida sciarpa di seta. Il riflesso sul vetro rivelava la vera identità dell'uomo.

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