Seconda parte

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I take pictures to rememberand write to forget



Fin da quando era piccolo, Harry aveva pensato che ci fossero dei giorni che, semplicemente, avevano un sapore diverso. Come una piccola sfumatura, non affatto facile da cogliere, ma che, se si faceva attenzione, si poteva avvertire distintamente sin da quando si aprivano gli occhi, al mattino. Qualcosa che poi ti avrebbe accompagnato per tutta la giornata, lasciandoti addosso una strana sensazione di aspettativa. Harry, con il tempo, aveva imparato però che quella sensazione, di solito positiva, poteva essere presagio di cose molto belle, o molto brutte. Era come se il corpo si stesse preparando ad affrontare delle emozioni, come predisponendo il terreno adatto affinché potessero attecchire senza distruggerti.

Era stato così il giorno in cui aveva visto Louis per la prima volta. Quell'eccitazione che scorreva appena sotto la pelle, alla quale non sapeva dare un nome, ma che negli anni a venire avrebbe ricordato come l'attesa di incontrare quello che sarebbe diventato suo marito. Era stato così il giorno del suo matrimonio. Era stato così quando erano nati i suoi figli. Era stato così il giorno in cui Louis se ne era andato.

Ma, più banalmente, era stato così durante tante domeniche, le une uguali alle altre, durante le quali erano tutti e cinque a casa, la prospettiva di una giornata da spendere in famiglia, senza nulla da fare, se non stare insieme, se non invitare gli amici, se non essere felici.
Era un anno, forse poco più, che Harry non si sentiva così. Forse perché non si aspettava più nulla, forse perché cercava solo di attraversarle in qualche modo, le giornate, forse perché non aveva più il tempo e la voglia di fermarsi e ascoltare se stesso. Forse.
Per quel motivo si stupì non poco, quella domenica mattina, quando avvertì la mai dimenticata, ma ormai poco familiare, sensazione alla bocca dello stomaco. Se ne stava ferma lì, neanche si fosse seduta, neanche volesse dargli il tempo di rendersi conto che fosse tornata. Si stiracchiò appena, muovendo le gambe sotto le lenzuola. Quel giorno non avevano programmi particolari, sarebbero rimasti in casa, i ragazzi sarebbero venuti a pranzo.
Come ai vecchi tempi, pensò per un attimo. Come ai vecchi tempi.
Niall avrebbe fatto gli hamburger, che ai bambini piacevano tanto, e Liam avrebbe fritto le patatine. Zayn avrebbe fatto finta di apparecchiare la tavola, finendo per far fare il grosso del lavoro al fidanzato di turno di Gemma, che pur di ottenere la benedizione della famiglia si sarebbe abbassato a qualunque cosa. Louis, invece, avrebbe semplicemente tenuto Harry lontano dalla cucina, in modo che non storcesse il naso ogni volta che vedeva i chili di maionese che Niall metteva sui panini.
Eccola di nuovo, la piccola stretta, al pensiero che quel giorno Louis non l'avrebbe tenuto fuori dalla cucina. Non era più suo compito, in fondo, perché avrebbe dovuto perdere tempo?
Harry si alzò con un sospiro, infilandosi poi una tuta rapidamente. Era ancora molto presto, con un po' di fortuna avrebbe avuto la casa tutta per sè, visto che Louis e i bambini dormivano ancora. Andò in salotto, infilò un DVD nel lettore e mise il volume al minimo, poi dall'armadio tirò fuori il suo tappetino.
Ed eccola lì, sullo schermo, la sua allenatrice virtuale, Jane, quella che Louis non aveva mai sopportato. Diceva che aveva un'aria saccente. Ok, in realtà diceva che sembrava che qualcuno le avesse appena pisciato sul materassino, ma c'erano modi più raffinati per esprimere lo stesso concetto.
Ad Harry non importava, il pilates lo faceva rilassare e tanto bastava. Per questo erano anni che ignorava le prese in giro degli amici (Niall una volta gli aveva detto che con quella tutina addosso sembrava un omosessuale. Harry si era limitato ad alzare un sopracciglio. Liam aveva riso. Louis sicuramente aveva fatto una battuta sulla sua camicia a fiori trasparente).
Per la mezz'ora successiva, si dedicò solamente a Jane, concentrandosi sugli esercizi e tagliando fuori tutto il resto. Relegò in un angolo della sua mente il fatto che l'indomani sarebbe uscito a cena con Jeff, e che il Venerdì successivo Anne li attendesse tutti a Holmes Chapel, mentre lui ancora non aveva detto nulla a Louis.
-Ora, da seduti, sollevate le gambe dal pavimento e rimanete in equilibrio per venti secondi- spiegò Jane con il suo solito sorriso perfetto, facendo vedere la posizione.
Harry la imitò, ormai piuttosto pratico. Si sforzò di cancellare ogni pensiero dalla propria mente, e di focalizzarsi solo sui propri muscoli che si tendevano, sulla musica placida in sottofondo, sull'assenza di rumori nella loro casa e su....
-Non mi dire, quella è Julie-mi-hanno-pisciato-sul-materassino?-
La voce di Louis alle sue spalle lo fece trasalire. Non l'aveva sentito avvicinarsi, dannazione.
-Jane- lo corresse Harry automaticamente, dicendo mentalmente addio ai suoi esercizi rilassanti.
-È lo stesso- scrollò le spalle Louis, lasciandosi cadere sul divano -Hai ancora quella cassetta, pazzesco-
-Guarda che è passato un anno, mica dieci- lo rimbrottò Harry.
Louis non rispose, e Harry di nuovo si morse la lingua. Si sentiva ridicolo, a non essere in grado di controllarsi, si sentiva orribile. A volte gli sembrava di essere un contenitore sul punto di scoppiare, e di stare costantemente lottando contro l'urgenza di vomitargli addosso qualunque cosa gli passasse per la testa, rivolgendogli accuse che sapeva essere spesso anche ingiuste e non vere. Ma non voleva farlo, non voleva che lui e Louis diventassero una di quelle ex-coppie in cui le rimostranze erano all'ordine del giorno, e in cui soprattutto sarebbero stati i figli a farne le spese.
Incrociò le gambe, alzando le braccia sopra la testa come faceva Jane, e sentì Louis sospirare profondamente alle proprie spalle. Contò fino a tre, e udì un altro sospiro.
Lo conosceva abbastanza da sapere che avesse qualcosa in mente, ma non fosse del tutto sicuro di come dirlo.
-Avanti- soffiò allora lui, allungando le gambe e sdraiandosi sulla schiena -Parla-
Louis emise una risatina nervosa. Non gli chiese nemmeno come facesse a capire cosa gli passasse per la mente, perché loro erano stati sempre quel tipo di coppia. Uno dei due iniziava un discorso e l'altro lo finiva, si guardavano un attimo ed era come dirsi mille parole. Harry sentì una fitta di nostalgia, a quel pensiero.
-Ecco- esitò Louis infine, masticando le parole -Mi chiedevo solo cosa stessi aspettando a dirmelo-
Harry, sdraiato sulla schiena, alzò il sedere e si mise a candela. Era complicato riuscire a mantenere la posizione e cercare allo stesso tempo di parlare seriamente con Louis, ma con il tempo e tre figli aveva dovuto necessariamente imparare ad essere multi-tasking.
-Di cosa stiamo parlando?- chiese, ora leggermente confuso. La sua voce uscì un po' distorta, ma riuscì a farsi comprendere.
-Haz, Venerdì prossimo è il compleanno di tua madre- spiegò con pazienza Louis -Hai cerchiato la data sul calendario, e sono piuttosto certo che tu le abbia già comprato un regalo da parte di tutti. Ma ancora non hai parlato di andare ad Holmes Chapel, almeno non con me. Ora, non che io abbia bisogno di preavvisi, certo, ma vorrei solo sapere se devo venire anche io oppure no-
Harry chiaramente aveva spento il cervello alle parole "compleanno di tua madre". Era ovvio che l'argomento sarebbe uscito, prima o poi, ma francamente non credeva sarebbe successo mentre lui faceva pilates e se ne stava in posizione precaria con il sedere all'aria. D'accordo, soprattutto non pensava che Louis avrebbe tirato fuori l'argomento.
-Ecco- borbottò -Non sapevo bene come affrontare il discorso, credo. Tu vorresti venire?-
Cercò di vedere il lato positivo della cosa. Per quanto non fosse nella situazione più dignitosa che gli venisse in mente, se non altro non era costretto a guardare in faccia Louis.
-Anne è come una seconda madre per me, lo sai- fu la risposta, leggermente mesta -Quindi non è questo il punto, quanto più che altro... è il caso che io ci sia?-
-Tu per lei sei come un secondo figlio- mormorò Harry, tornando a sdraiarsi, la voce di Jane un sottofondo lontano -Anzi, credo che si sentirà molto più tranquilla nel vederci tutti assieme, senza spargimenti di sangue-
-Si, beh, non credo che Gemma sia dello stesso avviso- borbottò Louis -Mi guarda come se fossi un assassino di poveri gattini indifesi-
La risata di Harry fu coperta dal chiasso di Leah, che giusto in quel momento entrò in salotto, i capelli arruffati e trascinandosi dietro il suo coniglietto, un vecchio regalo di Liam dal quale si ostinava a non volersi separare, nonostante fosse ormai praticamente distrutto. Interruppe i suoi esercizi per darle un bacio, poi la bambina si piazzò sulle ginocchia di Louis, che iniziò a farle il solletico.
-Mia sorella è piuttosto determinata nell'odiarti, al momento, sì- riprese poi il discorso Harry, come se niente fosse. Eseguendo le istruzioni di Jane, posò i palmi delle mani all'indietro sul materassino e inarcò la schiena, mettendosi a ponte. Da lì vide Louis e Leah al contrario, che lo fissavano entrambi con espressione divertita, ma non se ne curò e proseguì -Sai come è fatta, le passerà-
-Forse dovrei parlarle- riflettè Louis.
-Nah- ribattè Harry -Lo farò io, non ti preoccupare-
In realtà l'avrebbe fatto prima, se non fosse che Gemma, da quando era tornato Louis, si era fatta vedere pochissimo da quelle parti. Per averla a pranzo lì, quel giorno, aveva quasi dovuto pregarla, dicendo che i bambini sentivano la sua mancanza, cosa che in fondo era vera. Harry aveva sperato che le cose si sarebbero sistemate da sole, ma evidentemente era il caso di prendere in mano la situazione.
Si sforzò di allungare ancora un po' la schiena, visto che gli sembrava di non essere sufficientemente in tensione, ma proprio in quel momento sentì una fitta nella zona lombare, come di uno strappo.
-Merda- rantolò, per una volta dimenticandosi della presenza della figlia, e crollò steso sul pavimento, un lancinante dolore a livello della schiena.
-Haz? Che succede?- chiese Louis.
-Credo di essermi rotto la schiena- fu la pigolante risposta. Si portò una mano alla zona contusa, sentendola dura come il marmo. Rotolò per mettersi su un fianco, gemendo di dolore.
-L'ho sempre detto che di quella Julie non c'era da fidarsi- sbottò Louis.
-Jane- piagnucolò Harry.
-Sì, è lo stesso- sbottò sprezzante Louis. Harry lo vide prendere Leah da sotto le ascelle e appoggiarla a terra -Scusami tesoro, ma devo salvare tuo padre da se stesso-
Harry trattenne una rispostaccia tra i denti, mentre Louis, quasi messo peggio di lui, lentamente gli si avvicinava e si chinava accanto a lui.
Sentì le sue dita fresche infilarsi sotto la sua maglietta, a diretto contatto con la propria pelle e, nonostante il dolore, rabbrividì.
-Credo sia una contrattura muscolare- fu l'analisi di Louis, qualche istante dopo -Così impari a fare le acrobazie-
-Era un pon...ouch!- protestò Harry, quando l'altro iniziò a massaggiare il punto dolente, per sciogliergli un pochino il muscolo.
-Silenzio- ordinò Louis -Dovrei lasciarti qui e chiamare Julie a soccorrerti. Sempre che non sia troppo occupata a togliere il piscio dal suo materassino-
Harry rise, ma gemette subito dopo, perché muovendosi il male aumentava.
-Smettila- lo supplicò -Non farmi ridere!-
Alla fine, in qualche modo, Louis riuscì ad aiutarlo a mettersi seduto, impedendo al contempo a Leah di lanciarglisi addosso.
-Fai la guardia a papà, d'accordo?- disse infine il suo ex-marito alla figlia, mettendo un cuscino dietro la schiena di Harry, in modo che fosse più comodo -Vado a cercare degli antidolorifici in camera mia-
Era quasi sulla porta, quando si voltò.
-Comunque Haz- gli disse, probabilmente approfittando del fatto che fosse mezzo accecato dal dolore -La domanda principale credo che sia se tu mi vorresti ad Holmes Chapel. Il resto non conta, almeno non per me-



Qualche ora e un paio di rilassanti muscolari più tardi, Harry era di nuovo in grado di camminare. E per fortuna, perché non sarebbe stato davvero il caso che si infortunasse pure lui, altrimenti avrebbero seriamente dovuto considerare una capatina a Lourdes, giusto per ogni evenienza.
Niall arrivò per primo, e prese subito possesso della cucina, piazzandosi davanti alla griglia con accanto patatine e hamburger, pronti per essere cotti. Liam, poco dopo, lo affiancò. Non fu facile convincere Julian ad allontanarsi dall'olio bollente, ma con qualche moìna Louis lo convinse ad seguirlo nell'altra stanza, così si divisero momentaneamente: Louis e Zayn in sala con i bambini, invece Harry, Niall e Liam in cucina con una bottiglia di vino rosso. Inutile dire a chi fosse andata meglio.
-Hai parlato a Lou di Holmes Chapel?- fu la prima cosa che chiese Liam, sapendo bene dei tentennamenti di Harry.
-Diciamo di sì- fu la risposta. Harry si massaggiò distrattamente la schiena, mentre parlava. Qualcosa gli diceva che Louis aspettasse ancora una sorta di "via libera", da parte sua.
-Quindi lascerete là i marmocchi come ogni anno?- si sorprese Niall -Credevo che con il fatto che Louis fosse a casa, sai...ne approfittasse per stare con loro il più possibile-
-Sarà solo per qualche giorno- obbiettò Harry, versandosi del vino -Mia mamma ci tiene troppo ad averli lì, mi sentirei malissimo a dirle di no. E comunque non credere, Louis non vede l'ora di tornare a Barcellona-
L'astio con cui disse quelle ultime parole non dovette passare inosservato ai suoi amici, perché si scambiarono un'occhiata veloce.
-Haz- disse poi Liam, giusto un po' troppo condiscendente -Per quanto ancora hai intenzione di far finta di nulla?-
-Nel caso tu non l'avessi notato, sto facendo del mio meglio- sibilò Harry, caustico -Sto cercando di essere tollerante, e civile, e non litigare con lui anche se a volte vorrei strozzarlo-
-Beh, forse invece dovresti farlo- si intromise Niall, tagliando il pane per gli hamburger.
-Cosa?-
-Litigare- scrollò le spalle l'amico -Picchiarlo, se devi. Ecco, magari lasciagli stare il ginocchio, ma forse quello che vi serve è solo riuscire a tirar fuori tutto e chiarirvi, finalmente-
Harry scosse la testa. La sua situazione con Louis era talmente tanto confusa che ci sarebbero voluti anni, per chiarire tutto.
-Io credo che stare qualche giorno soli, senza bambini, vi farà solo bene- fu il commento di Liam, mentre brandiva in aria la forchetta con cui girava le verdure.
-Ah, io sarò talmente occupato che Louis non lo vedrò nemmeno- borbottò Harry -Figuratevi che in quei giorni io e Cal dovremo andare alla sfilata di Yves Saint Laurent-
-Davvero?- ridacchiò Niall.
-Già- sospirò Harry -Ci hanno inviato due biglietti per la prima fila, visto che abbiamo curato la loro campagna. Sarebbe scortese rifiutare-
-Ti prego- l'amico gli rubò il bicchiere e se lo scolò fino in fondo, ignorando il suo gemito oltraggiato -Non fare finta di non essere interessato a quegli abiti orribili-
Harry strabuzzò gli occhi, incredulo di aver appena sentito quelle ultime parole. Quegli abiti orribili. Una bestemmia, in pratica. Niall era un blasfemo.
Stava giusto per replicare, quando udì la voce esitante di Louis, da qualche parte nel corridoio.
-Ehm, Harry? Abbiamo sempre avuto un gatto?-
Aggrottò la fronte, senza capire, limitandosi a voltarsi verso la porta della cucina, dalla quale Louis entrò giusto in quel momento.
-Cosa stai dicendo?- gli chiese, confuso.
-Sto dicendo che c'è un gatto grigio e grasso sdraiato sul tappeto, di là- spiegò Louis, un'ombra di divertimento nella voce -E mi guarda come se l'intruso fossi io-
Harry ridacchiò, poi scosse la testa.
-Grigio e grasso dici, eh?- sospirò, alzandosi -Meredith Grey!-
-È andato fuori di testa?- borbottò Liam alle sue spalle, mentre lui attraversava la cucina a passo veloce -Che c'entra ora Grey's Anatomy?-
-Fidati- rispose Niall, con tono rassegnato -Non vuoi saperlo veramente-
Harry ignorò le loro chiacchiere, girando rapidamente l'angolo giusto in tempo per vedere Julian seduto a gambe incrociate sul pavimento, il gatto grigio di cui sopra intento a strusciarsi su di lui.
-Papà, possiamo tenerlo?- cinguettò il figlio, quando lo vide.
-Tenerla, in caso, è una femmina- sospirò Harry, scuotendo la testa e prendendo il cellulare dalla tasca -Comunque no, tesoro, visto che ha già una proprietaria-
Grazie a Niall, che in qualche modo era riuscito a strappare a Taylor il numero di telefono (benchè confessò, piuttosto umiliato, di non averlo mai usato) la suddetta proprietaria si presentò alla loro porta qualche minuto dopo.
-Non so come scusarmi- scosse la testa, mortificata, entrando in casa e pulendosi gli stivali incredibilmente pelosi sul tappetino -La stavo cercando dappertutto-
-Tranquilla- sorrise Harry -Deve essersi infilata dalla finestra del bagno, l'avevo lasciata aperta-
Si scostò per far entrare Taylor, poi le fece strada verso la cucina, dove Julian stava vezzeggiando la povera Meredith.
-Oh, non sapevo aveste ospiti- esclamò la ragazza, appena vide tutti i presenti -Vado via subito-
-Perché invece non ti fermi a pranzo?- intervenne Louis, facendo l'occhiolino a Harry, che trattenne un sorriso a fatica -Niall fa gli hamburger migliori della città... quando riesce a non bruciarli-
-Che stronzo!- esclamò l'amico arrossendo, beccandosi subito dopo un'occhiataccia da Harry -Non è assolutamente vero-
Liam approfittò della confusione per presentarsi a Taylor, che sembrava leggermente a disagio.
-Ma si dai, resta- la incalzò poi anche Harry -Tra poco arriverà anche mia sorella, si lamenta sempre di essere l'unica donna. Maggiorenne, ovviamente, visto che c'è anche Leah-
Taylor sembrò poco convinta, sul momento, ma alla fine dovette decidere che fosse scortese rifiutare, perché accettò.
Nel giro di poco, la confusione regnò sovrana. Gemma fece il suo ingresso da prima donna, al braccio di un ragazzo che rispondeva al nome di Andy e che nessuno riusciva a capire da dove fosse sbucato.
-Fammi capire- sbottò Niall a un tratto, all'orecchio di Harry -Qualche anno fa ha detto di no a me, e poi si è messa con quel tizio?-
Harry studiò il ragazzo. Non riusciva bene a capire il punto del discorso di Niall, considerando che Andy era alto un metro e novanta, aveva i capelli lunghi, numerosi tatuaggi, e un orecchino. L'aria da bello e dannato, insomma.
Così si limitò ad alzare un sopracciglio, facendo imprecare tra i denti il suo migliore amico.
Il pranzo fu senza incidenti, miracolosamente, e senza imbarazzi, grazie a Leah che decise di mostrare a Taylor l'intera collezione delle sue bambole e ad Andy che catalizzava l'attenzione di Gemma, deviandola così da Louis, che dal canto suo fissava Harry come se fosse un pacco bomba pronto ad esplodere.
Era strano, perché avevano fatto così tanti pranzi, tutti insieme, eppure era come se ci fosse una nota stonata, come se stessero suonando un disco che ogni tanto si incantava. Forse era perché in fondo non erano gli stessi di prima. C'erano troppi silenzi, troppi rancori sopiti, troppe parole non dette.
Ed era semplicemente troppo difficile.
Solo alla fine del pranzo, riuscì a parlare con Gemma, bloccandola sulle scale dopo aver messo a letto Blake.
-Gem, mi serve una tregua- sentenziò, senza troppi giri di parole.
-Di cosa parli?- chiese lei, confusa.
-Di Louis- rispose -Non gli rivolgi la parola, lo guardi come se mangiasse bambini indifesi per colazione-
-Forse ha iniziato a farlo, per quel che ne sai- mormorò lei, inarcando un sopracciglio.
Harry sospirò, guardandola storto.
-So che ci siamo lasciati- le disse -Ma è il padre dei miei figli, e lo sarà sempre. Questa guerra fredda non fa bene a nessuno-
-Senti chi parla- sbottò lei -Solo perché io ce l'ho con lui apertamente e tu no, non significa che non proviamo le stesse cose-
-Non so di cosa parli-
-Oh, finiscila- Gemma scosse la testa -Mi ricordo in che stato eri, va bene? E se tu sei disposto a passarci sopra, io...-
-Tu farai lo stesso- la interruppe Harry -Avanti Gem, è Louis. Lo adoravi, e lo adori ancora. Non farne una questione di orgoglio. Anche perché, non vorrei dirlo, ma la cosa non ti riguarda. Comportati bene, fallo per me-
Gemma sbuffò.
-Cercavo solo di proteggerti- confessò a quel punto -Di fargli vedere che io sto dalla tua parte-
-Non ce n'è bisogno- sorrise debolmente Harry -Credo lo sappia, e lo so anche io-
-Per fortuna- sospirò lei -Stava diventando tremendamente faticoso sprecare tutta quell'energia a rivolgergli occhiatacce-
Harry scoppiò a ridere, abbracciandola.
-Sì, lo immagino. Considerati sospesa dall'incarico-
Sua sorella rise a sua volta, seguendolo giù per le scale. Neanche a farlo apposta, Louis passò di lì giusto in quel momento, e li fissò con espressione interrogativa.
-Sei fortunato, Tomlinson- esclamò Gemma, puntandogli l'indice contro il petto -Sono sospesa dall'incarico-
Senza dargli tempo di ribattere, marciò di nuovo verso il salotto, lasciando Louis a guardare Harry sgomento.
-Lascia stare- scosse la testa Harry, divertito -Meglio non sapere, credimi-



Mettersi in gioco dopo un matrimonio fallito, non era una cosa facile. C'era la paura di essere feriti, la sensazione di essere inadatti, oltre che ovviamente il senso di colpa. Verso sè stessi, verso un futuro incerto, verso il passato che faceva male. Soprattutto verso i propri figli.
Per tutti questi motivi, nonostante i suoi tentativi di non dare peso alla cosa, per Harry uscire con Jeff era stato un grande passo. Fatto, purtroppo, per tutti i motivi sbagliati.
Uno come lui sapeva cosa volesse dire sentirsi inadeguato. Era successo tante volte: quando andava a scuola, ed era il ragazzino strano a cui piaceva la fotografia, le prime uscite con Louis, quando non capiva perché l'attenzione dei mass media fosse così concentrata su di loro, la prima volta che aveva preso in braccio suo figlio.
Ma mai si era sentito tanto inadeguato quanto quella sera, seduto ad un tavolino traballante, davanti a sè una birra che non aveva nessuna voglia di bere.
Trovare qualcosa di interessante da dire, non sapere come comportarsi, volere soltanto tornare a casa per mettere a letto i bambini.
Sapere di non avere ancora risposto a Louis su quella domanda di Holmes Chapel.
"Raccontami qualcosa di te, Harry"
Gli era quasi venuto da ridere, nel sentire quella richiesta. Da dove si cominciava a raccontare una vita intera ad uno sconosciuto? Dalle proprie conquiste, o dai propri fallimenti? Per Harry, raccontare di sè era parlare dei suoi figli, e di Louis, ma qualcosa gli diceva che non era quello che Jeff voleva sentire, quindi aveva finito per balbettare parole senza senso sul proprio lavoro, sentendosi ridicolo.
"Certo che deve essere bello riuscire a realizzarsi così, ad avere un proprio studio fotografico e tutto... Devi essere fiero di te stesso, immagino"
No, Jeff. Col cazzo. Col cazzo che era quello che volevo, col cazzo che sono fiero di me stesso.
Non glielo aveva detto, si era limitato a bere un sorso di birra e a fargli una domanda di cui non gli interessava minimamente la risposta.
E, ovviamente, si era sentito in colpa.
Già, perché lui era gentile, e piacevole, e perfino simpatico. Si vedeva che stava facendo il possibile per piacergli, per metterlo a suo agio. E Harry si stava comportando da idiota. Jeff aveva solo il difetto di essere uno dei tanti. Uno dei tanti, che non erano come Louis.
Uno dei tanti che incontrava, e che sarebbero potuti essere potenziali punti di partenza.
Una sorta di banco di prova insomma, e le persone non dovrebbero esserlo, mai.
Se non altro, aveva apprezzato quel suo modo di evitare delicatamente e abilmente l'argomento "matrimonio", e non era certo facile, trattandosi di un personaggio ingombrante come Louis. Era difficile ignorare il fatto che Harry fosse stato spesso sulle copertine dei giornali, che troppo della sua vita fosse stato reso pubblico, ma in qualche modo Jeff era riuscito a fare uno slalom tra i discorsi, cosa che Harry aveva provato perfino ad apprezzare.
Ora, comunque, poco dopo mezzanotte, mentre rientrava in casa propria sentendosi quasi un ladro, era semplicemente sollevato che la serata fosse finita.
E molto preoccupato da questa sensazione. Perché il problema non era Jeff, anzi. Era piuttosto certo che un tipo come lui, divertente, allegro, appena un po' impacciato, gli sarebbe potuto perfino piacere. Il problema era lui, che per tutta la serata aveva avuto la testa da un'altra parte, e non sapeva se mai sarebbe riuscito a cambiare questa cosa.
Se mai sarebbe stato pronto di nuovo ad aprire il proprio cuore a qualcuno.
Si tolse la giacca, cercando di non fare troppo rumore nella casa immersa nel silenzio. I bambini di certo già dormivano, era tardi.
Non era riuscito nemmeno a salutarli, visto che era andato fuori con Jeff direttamente dopo il lavoro. Un ottimo esempio di padre, vero Harry?
Sospirò, cercando di ricordarsi che non era un'uscita serale a fare di lui un cattivo genitore, che anche lui aveva diritto a una vita, che non doveva essere così duro con se stesso, ma convincersene era tremendamente difficile. Che schifo.
Stava per trascinarsi a letto, quando vide una luce accesa in salotto, quindi fece una deviazione da quella parte. Louis, ovviamente, era raggomitolato sul divano, stava guardando uno di quei programmi spazzatura che gli piacevano tanto.
-Ancora in piedi?- gli chiese Harry, appoggiando una mano sullo stipite e mettendo dentro la testa.
Louis sobbalzò, colto alla sprovvista.
-Non avevo sonno- rispose -Hai fatto presto-
Harry scrollò le spalle. Non aveva voglia di parlare del suo appuntamento, soprattutto non con lui.
-I bambini?- si informò -Hai avuto problemi a metterli a letto?-
-Nah- scosse la testa Louis -Solo un po' con Leah. Sta diventando esigente, in fatto di storie-
-Già- sorrise Harry -Ci vuole una bella inventiva-
Rimasero in silenzio, come se nessuno dei due sapesse bene come concludere la conversazione. O forse, non volessero semplicemente farlo.
-Allora, è andata bene la tua serata?- domandò a quel punto Louis, evidentemente controvoglia. Era chiaro che lo avesse chiesto per pura educazione.
Harry abbassò il capo, sospirando profondamente, poi si passò una mano tra i capelli. Non c'era una risposta adatta a quella domanda. A dire il vero, la domanda a cui si sentiva di dover rispondere in quel momento era una sola. Tamburellò con le dita contro lo stipite, cercando le parole adatte.
-Senti, Louis- mormorò infine -Io voglio che tu ci sia ad Holmes Chapel. I bambini ne hanno bisogno, e anche io-
Gli occhi di Louis si allargarono leggermente, forse per la sorpresa, forse per qualcos'altro. Poi annuì appena, abbozzando un debole sorriso.
Harry sorrise a sua volta, quindi gli fece un cenno del capo e se ne andò.
Forse, dopotutto, quella serata non era andata così male.




Julian era sempre stato un bambino tranquillo. Si addormentava senza fare storie, piangeva pochissimo, non causava particolari problemi. Con Leah era già stata un'altra storia, essendo decisamente più difficile da gestire del fratello.
Per questo, quando era arrivato Blake, Harry credeva di essere davvero pronto a tutto. E invece no. Perché Blake, superato il terzo mese di vita, diventò un incubo. Notti insonni, coliche fastidiose, urla e strepiti che tenevano in piedi l'intera casa. Il pediatra diceva che fosse solo questione di tempo, che con l'età sarebbero passate, ma con l'andare dei mesi la situazione non sembrava destinata a migliorare, tanto più che Louis a luglio si era spostato a Barcellona e, dopo un primo periodo in cui aveva fatto su e giù, da qualche settimana ci si era stabilito definitivamente.
E Harry era stanco morto. Di giorno lavorava e si occupava dei figli, e la notte la trascorreva praticamente in bianco. Era frustrante, tanto più che anche Leah e Julian si innervosivano se non dormivano abbastanza, il che la mattina dopo li portava ad essere incredibilmente capricciosi. Un circolo vizioso infinito.
In quell'ottobre uggioso, poi, le cose sembravano destinate solamente a peggiorare, perché erano tre notti di fila che Blake aveva le coliche, e piangeva disperatamente. Harry ci aveva provato per davvero, a cavarsela da solo, ad arrangiarsi, a convincersi che sarebbe solo bastato stringere i denti, ma alla fine aveva dovuto arrendersi. E alzare la cornetta.
-Servizio baby sitter d'emergenza a domicilio- esclamò Liam, entrando in casa sua a mezzanotte e un quarto -Dov'è il padre disperato che ci ha richiesti?-
-Qui- pigolò Harry, praticamente accasciato sulla poltrona nell'ingresso, Blake appoggiato contro la spalla, che urlava a pieni polmoni.
-Dio, Haz- scosse la testa Liam, mentre Zayn faceva capolino alle sue spalle -Perché hai aspettato tanto a chiamarci?-
Harry sbadigliò, per tutta risposta, continuando a cullare il figlio.
-Perché è un idiota- fu la delicata diagnosi di Zayn -Cosa vuoi che facciamo?-
-Volevo chiedervi se poteste magari rimanere qui con Leah e Julian, mentre io carico Blake in macchina e faccio qualche giro dell'isolato. Louis lo faceva sempre, quando era a casa, e sembrava funzionare-
Zayn annuì, mentre Liam parve pensarci su qualche attimo, prima di rispondere.
-D'accordo, ma facciamo che guido io- borbottò, pescando le chiavi della macchina di Harry dal cestino sopra il mobile lì accanto -Tu rischi di addormentarti alla seconda curva-
Harry era troppo stanco per ribattere, così si limitò a passargli Blake, in modo da potersi infilare il cappotto.
-Julian è in camera sua- disse poi a Zayn -Leah dorme sul divano, ci ha messo un secolo anche lei a crollare e non volevo svegliarla-
-Ricevuto- rispose l'amico, prima di dirigersi in salotto.
Harry si passò il dorso della mano sugli occhi, poi prese anche la sciarpa e se la arrotolò attorno al collo. Fuori iniziava a fare freddo, infatti Liam, senza chiedergli nulla, aprì l'armadio lì accanto e tirò fuori una coperta pesante per tenere Blake al caldo. Era bello che si sentisse autorizzato a comportarsi con il piccolo come se fosse suo. Faceva sentire Harry giusto un po' meno solo.
Lo seguì all'esterno, dove era parcheggiato il Range Rover, e lo aiutò a caricare Blake nel seggiolino sul sedile posteriore.
-Pronto?- chiese poi Liam, quando finì di assicurarlo con le cinghie.
-Sì- annuì Harry -Andiamo-
Il suo migliore amico si accomodò al posto di guida e mise in moto, scivolando piano fuori dal cancello fino alla strada deserta. Nessuno dei due parlò per un po', Harry raggomitolato nel sedile, le gambe raccolte, il silenzio interrotto solo dai singhiozzi di Blake, appena più sommessi.
-Quanto ci mette di solito a crollare?- chiese Liam a un tratto, svoltando a destra.
-Non lo so, ci pensava Louis di solito- sospirò Harry -Spero non troppo-
Deglutì, cercando di ricacciare in gola il magone che era salito nel dire quelle parole. Perché Louis non c'era, era lontano, e lui doveva pensare a tutto, e ogni responsabilità era sulle sue spalle, ed erano più di due settimane che non lo vedeva e...
-È dura eh?- mormorò Liam, interrompendo il flusso dei suoi pensieri -È dura saperlo così lontano-
Fu quella frase la classica goccia che fece traboccare il vaso. Harry si portò le mani sul viso e iniziò a piangere, incapace di trattenersi.
-Haz- esclamò Liam, allarmato, facendo per accostare la macchina.
-No, no!- lo fermò lui, con voce rotta -Altri...altrimenti B-Blay ricomincia-
Liam obbedì controvoglia, scuotendo la testa.
-Io continuo, ma tu mi parli- ordinò -Da quanto stai così?-
Harry cercò di controllarsi, ma le lacrime sembravano non riuscire a smettere di cadere. Si sentiva fragile, e piccolo, e senza controllo.
Era come se tutta la stanchezza, la frustrazione, la solitudine, stessero traboccando di colpo, innescate da una frase totalmente innocua.
Liam allora si limitò a rallentare e, tenendo ferma la presa sul volante con la mano destra, alzò il braccio sinistro verso Harry, che si accoccolò contro di lui.
-Mi stai facendo preoccupare da morire- confessò Liam -Dimmi qualcosa-
Harry prese due respiri profondi per calmarsi, passandosi una mano sugli occhi.
-Sta andando tutto in pezzi, Lee. Tutto- sussurrò infine.
-Di che stai parlando?-
Stavano girando intorno all'isolato, quasi a passo d'uomo, ma andava bene così.
-Louis e me- rispose Harry -È tutto diverso, adesso, è tutto cambiato. Lui non c'è mai, e io sono stanco-
-So che è un periodo difficile, Haz- cercò di blandirlo Liam -Ma siete sposati da anni, è normale ci siano degli alti e bassi.
-N...non si tratta di questo- la voce di Harry si spezzò, perché era difficile fare quel discorso ad alta voce. Un conto era finchè stava nella sua testa, ma sapeva che, nel momento in cui avesse detto tutto a Liam, avrebbe reso il problema reale. -Credo si sia rotto qualcosa, qualcosa che è impossibile da riaggiustare-
Liam lo guardò per un attimo, sconvolto, prima di riportare gli occhi sulla strada.
-Haz...- chiese poi, cauto -Mi stai dicendo che credi di non amarlo più?-
Harry si morse il labbro, staccandosi da lui e tornando ad appoggiarsi contro il proprio sedile. Non riusciva più a districarsi tra i propri sentimenti. Appena ci pensava, avvertiva solamente delusione, e senso di abbandono, e freddo, tanto freddo.
-Non lo so- ammise infine, e furono le tre parole più difficili da dire di tutta la sua vita. Tre parole che sporcavano ogni cosa, specialmente quel "lo voglio" pronunciato su un altare.
Il silenzio calò nell'abitacolo, interrotto solo dal respiro pesante di Blake, che dormiva tranquillo, inconsapevole del fatto che quella notte la sua famiglia stesse iniziando a disgregarsi.
A un tratto vide Liam irrigidirsi, mentre stringeva la presa sul volante -No, Haz-
Lo guardò confuso, non riuscendo a capire.
-Cosa?-
-No, dico di no- sibilò il suo migliore amico -Siete Harry e Louis. Lo siete ancora, dannazione, e non potete smettere di esserlo, nemmeno se volete. Non ne siete semplicemente in grado-
Harry sospirò, passandoso una mano sugli occhi. Lui, più di chiunque altro, avrebbe voluto che quelle parole fossero realtà.
Avrebbe voluto che bastasse così poco. Che bastassero loro.
A salvare tutto.
Perché d'improvviso invece nulla sembrava più essere abbastanza?




Il Venerdì mattina successivo, Harry e Louis si svegliarono praticamente all'alba, in modo da poter partire presto e non arrivare a Holmes Chapel troppo tardi, visto che ci volevano più di tre ore di macchina.
Harry caricò nel baule gli zaini per i bambini, controllando più volte la sua lista per essere sicuro di aver preso tutto, poi insieme a Louis sistemò i piccoli, più o meno addormentati, sul sedile posteriore. Assicurò bene Leah e Blake ai seggiolini, e posizionò un cuscino comodo accanto a Julian.
Erano le sette, quando si sedette al posto di guida, leggermente in ritardo rispetto alla propria tabella di marcia. Sospirò, perché Louis ovviamente era tornato in casa almeno tre volte, visto che ogni volta sembrava aver dimenticato qualcosa. E lui voleva partire in fretta, per poter coprire più distanza possibile fintanto che i bambini ancora dormivano, in modo da evitare capricci e lamentele il più a lungo possibile. Già si vedeva a doversi fermare in ogni singolo autogrill esistente da Londra a Holmes Chapel. I suoi figli erano impossibili durante i viaggi.
-Eccomi eccomi- esclamò Louis -Tra quanto ci fermiamo? Già mi scappa la pipì-
Harry si corresse mentalmente. Louis era impossibile durante i viaggi. L'anno precedente, senza di lui, erano arrivati a Holmes Chapel in tre ore secche, come aveva fatto a non collegare le cose?
-Dobbiamo ancora partire- borbottò, mettendo in moto -Non cominciare-
Era come se Louis non fosse fisicamente in grado di stare fermo in un posto, neanche avesse dieci anni. Era tremendamente irritante, quando ci si metteva. E cioè praticamente sempre.
-Dio Harold!- esclamò a un tratto Louis, facendo una smorfia, mentre entravano in strada -Cos'è questo odore?-
Harry lo guardò per un attimo, poi scrollò le spalle.
-Credo sia il mio nuovo Arbre Magique alla cannella- rispose con sussiego -Pensavo ti sarebbe piaciuto-
Louis tossì, sempre melodrammatico.
-Sembra di stare in una tazza di the- mormorò -Diciamo che è leggermente soffocante-
Harry sbuffò, cercando di apparire il più dignitoso possibile, e Louis ridacchiò leggermente.
Nella prima ora di viaggio non parlarono granchè, Harry impegnato a destreggiarsi prima nel traffico di Londra e poi a godersi il panorama una volta lasciata la città alle spalle e Louis apparentemente determinato a recuperare un po' di sonno arretrato.
Novembre stava lentamente finendo, e man mano che procedevano verso Nord si poteva notare la prima neve depositata agli angoli dell'autostrada.
-Di questo passo a Holmes Chapel potremo costruire un'igloo- commentò Louis a un tratto, facendo fare un salto ad Harry, che pensava stesse dormendo.
-Credo di sì- confermò -Mia madre ha detto che ieri nevicava-
-Meglio così, i bambini si divertiranno-
Ci fu qualche altro minuto di silenzio, nel quale Harry cercò disperatamente qualcosa da dire. Era come trovarsi davanti a un campo minato, come se alla prima parola sbagliata rischiasse di far saltare tutto per aria. Una cosa tremendamente faticosa. Fortunatamente fu Louis a spezzare il silenzio, alla fine.
-Zayn vuole chiedere a Liam di sposarlo-
Poco ci mancò che Harry inchiodasse in mezzo all'autostrada.
-Cosa?- esclamò, prima di rendersi conto di aver parlato a voce troppo alta. Lanciò un'occhiata nello specchietto retrovisore, ma i bambini dormivano ancora. -Cosa?- ripetè allora, quasi sussurrando.
-Sono rimasto sorpreso anche io- confessò Louis, divertito, passandosi distrattamente una mano sul ginocchio -Me l'ha detto domenica, quando sono venuti a pranzo. Sta aspettando il momento giusto-
-Non c'è un momento giusto per queste cose- sospirò Harry, lo sguardo fisso sulla strada.
-È quello che gli ho detto- annuì Louis -Personalmente credo abbia solo paura della sua risposta. Una paura inutile, ovviamente-
Harry tamburellò con le dita sul volante.
-Quindi tu dai per scontato che dirà di sì?- chiese, cauto.
-Beh, certo- ribattè Louis, convinto, mettendosi di tre quarti per guardarlo -Tu no?-
Harry scrollò le spalle, senza rispondere.
-Haz- lo richiamò Louis -Parlami. Sai qualcosa che io non so?-
-No, no, assolutamente- si affrettò a dire.
-E allora cosa? Insomma, stanno insieme da due anni, sono la coppia più solida che io conosca, si amano. Per quale motivo Liam dovrebbe non volerlo sposare?-
Harry si morse il labbro. Avrebbe davvero voluto evitare di rispondere a quella particolare domanda, ma sapeva di non avere scelta. Non era nel carattere di Louis lasciar cadere un discorso così, semplicemente.
-Zayn è un cantante- sospirò allora.
-E quindi?- domandò Louis, senza capire.
-E quindi la sua vita e quella di Liam sono totalmente diverse-
-Non ti seguo. Zayn è sempre stato un cantante, e Liam lo sa. Non lo è certo diventato negli ultimi giorni- obiettò Louis.
Harry esitò per un attimo, non riuscendo a togliersi di dosso la fastidiosa sensazione che avvertiva.
-È fermo da un anno e mezzo- mormorò a quel punto -E tra sei mesi andrà in tour. Un tour mondiale. Starà lontano da Londra per mesi interi, e chissà quanto ci vorrà prima che prenda un'altra pausa-
-E allora?- scosse la testa Louis -È il suo lavoro. Troveranno una soluzione, Liam andrà con lui o...-
-Ah è così?- lo interruppe Harry, guardandolo brevemente, prima di riportare gli occhi sulla strada -È scontato che Liam metta la sua vita in pausa solo per seguire Zayn? Ha anche lui un lavoro, che è altrettanto importante, e...-
-Frena- stavolta fu Louis a bloccarlo -La mia era una semplice idea, saranno loro a trovare una strada, immagino. Comunque, ho la sensazione che qui non stiamo più parlando di Liam e Zayn, o mi sbaglio?-
-Ti sbagli- si affrettò a dire Harry, deciso. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. -È solo che conosco Liam abbastanza da sapere cosa penserà di fronte a una proposta di questo genere-
-Mah- sbottò Louis -Secondo me nemmeno prenderà in considerazione il problema-
Harry non riuscì a trattenere una risatina sarcastica.
-Davvero?- esclamò -Ha il nostro esempio davanti agli occhi ogni giorno, davvero credi che non prenderà in considerazione la cosa?-
Si stava irritando davvero. Era come se Louis vivesse in una bolla di incoscienza e ingenuità perenne, come se non vedesse chiaramente la situazione in cui si trovavano. E il fatto che ora lo guardasse confuso, come se davvero non stesse capendo a cosa si riferisse, lo faceva solamente irritare di più.
-Cosa intendi con "il nostro esempio"?- domandò infatti Louis.
-Intendo che chiunque vedesse come è andata a noi, rinuncerebbe a sposarsi- sibilò Harry. Le disse, finalmente, quelle parole che aveva sulla punta della lingua senza nemmeno averle pensate, ma che non vedeva l'ora di pronunciare. Erano mesi che ce le aveva dentro, probabilmente, ed il loro unico obiettivo era quello di colpire Louis.
Di ferirlo. Di fargli credere che lui rimpiangesse il fatto di averlo sposato, ma la verità era solo che lui rimpiangeva di non essere riuscito a proteggere quel "per sempre" nel quale aveva tanto creduto e sperato.
Inaspettatamente, però, dopo avergliele scaricate addosso, non si sentì affatto meglio. Anzi. Si sentì peggio. Piccolo e crudele, così distante da se stesso, come non mai. Non ebbe il coraggio di voltarsi e guardarlo, rimase lì fermo, nell'attesa spasmodica che fosse lui a dire qualcosa. Ma Louis non aprì bocca.
Harry azzardò un'occhiata nella sua direzione, ma Louis adesso si era voltato e guardava fuori dal finestrino.
-Lou, io...- mormorò a quel punto.
-Lascia stare- lo interruppe l'altro -Va tutto bene-
-No ascolta...- riprovò, ma giusto in quel momento un cuscino volò tra di loro, finendo in grembo a Louis.
Evidentemente Julian si era svegliato. E da lì iniziò il delirio.
La loro conversazione, purtroppo o per fortuna, venne forzatamente interrotta, perché nel giro di qualche minuto tutti e tre i bambini erano belli vispi, e chiedevano a gran voce del cibo e un bagno. Al primo autogrill si fermarono, e Louis portò Leah e Julian al bar, mentre Harry andò a cambiare Blake. Nel giro di mezz'ora, riuscirono a ripartire, e rispetto ai loro standard se la cavarono abbastanza in fretta.
Il problema era che non erano nemmeno a metà strada, e sul sedile posteriore ne stavano succedendo di tutti i colori. Leah piagnucolava perché era stufa, Julian le faceva i dispetti, e Blake continuava a dimenarsi.
Harry iniziò ad allarmarsi quando Leah rubò il videogioco di Julian, e il figlio tirò un urlo acutissimo che fece tappare i timpani perfino a Louis.
-Cosa dici?- gli disse allora Harry -Fai qualcosa o no?-
Louis lo guardò con espressione disperata, e un po' riusciva a capirlo. In genere era lui a guidare durante i viaggi lunghi, lasciando ad Harry il compito di intrattenere i bambini, ma quella volta chiaramente avrebbero dovuto invertire i ruoli.
-Per esempio cosa... no Juls, non provare a toglierti la cintura- esclamò Louis, notando il figlio solo in quel momento -Ora facciamo un bel gioco tutti insieme eh?-
Lanciò un'occhiata a Harry, che gli rispose con un cenno di incoraggiamento, le loro divergenze per il momento accantonate.
Naturalmente, nel giro di venti minuti esaurì tutte le idee a sua disposizione. Leah si tirò addosso il succo che stava bevendo.
-Oh amore, no- piagnucolò Louis, in preda alla disperazione e con briciole di pane nei capelli. Harry pensò che non fosse il caso di farglielo notare, in qualche modo avrebbe ripulito tutti prima di arrivare ad Holmes Chapel.
-Lou, non vorrei fartelo notare, ma abbiamo ancora almeno un'ora di viaggio- commentò.
-Grazie- sbottò l'altro -Dimmi cosa fare piuttosto-
Un rumore sordo suonò alle loro spalle. Harry pregò che non fosse qualcosa di fragile, come la testa di uno dei suoi figli contro il finestrino.
-Canta- suggerì allora a Louis, che per tutta risposta emise un verso oltraggiato.
-Non ci penso neanche- sibilò Louis, scuotendo la testa.
Harry alzò gli occhi al cielo. In effetti era toccato a lui, negli anni, cantare quintali di filastrocche sceme per bambini, Louis era più quello delle favole.
-E allora arrangiati- rispose candidamente.
Un pezzo di cracker superò le loro teste, andando a cozzare contro il cruscotto. Louis gemette, quindi aprì il vano portaoggetti, cercando un CD a caso. Harry rise sotto i baffi.
-Buoni bambini, ora papà vi canta qualcosa- esclamò, mentre cercava al contempo di infilare il disco nel lettore.
Tempo due secondi, e dalle casse si levò la voce di Jason Derulo.
Been around the world, don't speak the language
but your booty don't need explaining
all I really need to understand is
when you talk dirty to me.
Talk dirty to me.

Ancora un attimo, e Harry rischiò un frontale.
-Louis- soffiò, scuotendo la testa -Cambia. Immediatamente. Canzone-
-Oddio, si. Scusa scusa scusa- esclamò l'altro, mentre con dita tremanti mandava avanti di qualche pezzo.
Harry ricordava vagamente quel cd, glielo aveva fatto Liam tempo prima, ma non avrebbe saputo dire che tracce vi fossero sopra, quindi sentì il cuore in gola.
-Sai, quando ti dicevo di cantare ai bambini pensavo più a qualcosa come "Twinkle Twinkle Little Star"- confessò, nervoso.
-Non mi ricordo mai le parole- borbottò Louis -Lasciami provare di nuovo-
I see elephant tusk on the boar of a sailing lady
docked on the Ivory Coast
Mercedes in a row winding down the road
I hope my black skin don't dirt this white tuxedo

Harry aggrottò la fronte, cercando di riconoscere la canzone, ma Louis canticchiava le parole, e i bambini sembravano essersi placati per il momento. Leah ridacchiava nel vedere le smorfie che faceva suo padre, perché Louis ora aveva messo la mano destra a pugno e la usava come microfono. Harry incrociò lo sguardo di Julian nello specchietto retrovisore, e insieme scossero la testa, divertiti, perché non ne stava davvero azzeccando una.
-Te l'avevo detto che bastava cantare- sorrise Harry poi.
Louis lo guardò, l'aria nei suoi occhi così diversa da quella di un'ora prima. Sembrava riconoscente, adesso. Sembrava vedere lui, e non un estraneo.
Harry serrò le dita sul volante, perché il primo istinto fu quello di prendergli la mano e stringergliela. Maledetta forza dell'abitudine. Poi Louis si rimise a cantare, per fortuna.
Before the Basquait show and if so
Well fuck it, fuck it

-Seriamente, Louis?- abbaiò Harry, abbassando di scatto il volume e riconoscendo il pezzo solo in quel momento -Jay-Z?-
-Stai calmo, stai calmo- cercò di placarlo Louis, ma si vedeva che si stava sforzando di non ridere. Harry prese un respiro profondo. Santo Cielo, Leah in quel periodo era impossibile, praticamente ripeteva tutto quello che sentiva. Soprattutto le parolacce.
-Ora tu canterai Twinkle Twinkle Little Star, mi sono spiegato?- tuonò, con tono piuttosto convincente.
Louis alzò gli occhi al cielo, ma non si sottrasse.
Le parole le ricordava ancora tutte.



In un modo o nell'altro riuscirono ad arrivare ad Holmes Chapel. Harry si sentiva stanco come dopo una giornata intera di lavoro, se non di più, e il bello era che non erano nemmeno le undici del mattino.
-Ragazzi, ben arrivati!-
Anne li aspettava in mezzo al giardino, sul vialetto lasciato libero dalla neve che ricopriva il prato, esattamente come avevano previsto. Harry scese dalla macchina e le fece ciao con la mano, poi aprì la portiera posteriore per liberare i bambini, che già si dimenavano alla vista della nonna. Anne gli rivolse un sorriso, ma poi spalancò le braccia verso Louis, che nel frattempo era uscito a sua volta.
Louis non esitò a lasciarsi stringere, seppellendo il volto tra i capelli dell'ex-suocera. Harry si fermò, mentre slacciava la cintura di Leah, non riuscendo a fare a meno di guardarli. Anne intercettò i suoi occhi da sopra la spalla di Louis, e gli rivolse uno sguardo leggermente colpevole, ma Harry scrollò le spalle, come a dire che non importava. In realtà nemmeno lui sapeva cosa si sarebbe aspettato. Cosa avrebbe voluto. Se un attimo di gelo, se vedere la madre prendere le proprie difese.
O se forse a dirla tutta sperasse proprio quello, e cioè vederli abbracciarsi in quel modo, come a dire che la loro famiglia non si sarebbe mai distrutta del tutto.
Quel momento sospeso nel tempo durò giusto finchè Julian non riuscì a liberarsi dalla cintura, perché poi si catapultò fuori dalla macchina, correndo a salutare la nonna.
-Anche io giù!- esclamò Leah, e Harry la accontentò, tremando al pensiero di come si sarebbero ridotti i suoi begli stivaletti rosa con i brillantini, di lì a qualche secondo.
-Gli scarponcini da montagna avresti dovuto metterle, altrochè- commentò Louis qualche istante dopo, affiancandolo, neanche avesse potuto leggergli la mente. Forse la sua espressione era sufficientemente esplicativa.
Per tutta risposta Harry gemette, lasciando che prendesse Blake. Poi si fece avanti per fare gli auguri a sua madre, mentre anche Robin si affacciava alla porta, invitando tutti ad entrare e scaldarsi un po'.
-Gem è già arrivata?- chiese Harry al patrigno, abbracciandolo e cercando al contempo di pulirsi le scarpe, ché Anne l'avrebbe strozzato se avesse sporcato il parquet.
-Ha detto che dovrebbe farcela per pranzo- rispose l'uomo, stritolando anche Louis e rubandogli Blake, che sembrava solo intento a rivolgere grandi sorrisoni a chiunque.
Si accomodarono tutti in salotto, dividendosi tra i due enormi divani. Anne si lasciò distrarre da Julian, che le stava raccontando dei suoi primi mesi di scuola, mentre Robin si intratteneva con Louis.
-Brutta storia questa del ginocchio, eh?- lo sentì dire Harry, mentre cercava di convincere Leah a togliersi le scarpe bagnate -Come va con la riabilitazione?-
-Non male direi- rispose Louis -Riesco a camminare piuttosto bene, anche se non posso ancora fare sforzi eccessivi-
-L'importante è che la tua carriera non sia compromessa-
-Sembrerebbe di no, anche se solo quando tornerò a giocare si saprà con certezza- sospirò Louis, stringendosi nelle spalle.
Harry mise gli stivaletti di Leah accanto al termosifone, poi si lasciò dare un bacio dalla figlia e la spedì da Anne. Si somigliavano molto, loro due, avevano gli stessi lineamenti delicati e belli.
-Io sono certo che andrà tutto per il meglio- continuò nel frattempo Robin, sistemandosi gli occhiali -Quando conti di ricominciare?-
Senza nemmeno rendersene conto, Harry si trovò a trattenere il fiato in attesa della risposta di Louis.
-Non lo so con certezza- disse quest'ultimo -Ho parlato con il mio allenatore e con i medici, e per ora il piano è di approfittare al massimo delle vacanze di Natale per portarmi avanti con la riabilitazione. Poi, con buone probabilità, all'inizio di Gennaio tornerò a Barcellona e riprenderò gli allenamenti con la squadra-
Inizio di Gennaio. Poco più di un mese. Questo era il tempo che avevano. Harry si passò una mano sul viso, a quel pensiero. Che diavolo stava immaginando? Il loro tempo era finito molto tempo prima.
-Vado in macchina a prendere gli zaini dei bambini- esclamò a quel punto, cercando di chiudere fuori qualsiasi pensiero assurdo.
-Ti do una mano- si offrì Louis.
-Non ti preoccupare, ci metto un attimo- d'improvviso sentiva l'esigenza di allontanarsi da lui, e basta.
Sentì lo sguardo di sua madre su di sè, mentre usciva, ma non vi diede peso. La situazione doveva essere surreale un po' per tutti, ma questo non significava doverlo sottolineare più del necessario. Cercò di sbrigarsi, perché nel frattempo aveva ricominciato a nevicare, e nel giro di un minuto fu di nuovo al caldo, due zainetti buttati sulla spalla sinistra.
-Li porto di sopra, va bene?- annunciò, prima di prendere le scale. Lasciò lo zaino di Leah, nel quale c'erano anche le cose di Blake, nella vecchia stanza di Gemma, poi si diresse alla porta successiva.
La sua camera, nonostante non vi dormisse da molti anni, non era cambiata di molto. In un angolo c'erano un paio di scatoloni accatastati, probabilmente cose di Robin, ma per il resto era ancora tutto uguale a come l'aveva lasciata lui. Pareti azzurro chiaro, qualche poster, alcuni disegni. Tantissime fotografie.
Lui, Liam e Niall da piccoli, qualche tramonto, il fiume ghiacciato d'inverno. I suoi primi passi in un mondo che l'aveva sempre terribilmente affascinato.
Posò lo zaino di Julian sul letto, perché avrebbe dormito lì, e poi vi si sedette a sua volta. Anne doveva aver appena cambiato le lenzuola, si capiva dall'odore di pulito. Dall'odore di casa.
Sospirò, passandosi una mano sul volto, nel tentativo di racimolare tutte le forze che sapeva gli sarebbero servite nei giorni successivi, quando lui e Louis sarebbero rimasti soli a Londra in quella grande casa, senza i bambini a fare da muro tra loro. La cosa lo terrorizzava inspiegabilmente.
Lasciò vagare lo sguardo sulla libreria a tutta parete, là dove c'erano tutti i romanzi che aveva letto, quelli che gli avevano tenuto compagnia nelle lunghe notti durante le quali il mondo sembrava un posto troppo pauroso e troppo grande per un adolescente che non aveva ancora scoperto la propria identità. Gli occhi gli caddero su un quaderno spesso, con la copertina nera in pelle, e il cuore gli sussultò nel petto. Non ricordava di averlo lasciato lì, credeva di averlo nascosto in casa da qualche parte, per non doverlo vedere per forza. Si alzò e, con mano tremante, lo tirò fuori dallo scaffale.
Eccolo lì. Il suo diario. Uno dei suoi tanti diari. Quando era piccolo scriveva tantissimo, annotando qualsiasi cosa, come se solo il fatto di appuntarla su quelle pagine fosse la conferma che fosse accaduta davvero. Da grande invece si era fatto meno assiduo, ma gli eventi importanti erano tutti lì, tra quei fogli ingialliti. Quel diario, in particolare, l'aveva iniziato poco dopo aver incontrato Louis. Dentro c'erano tutti gli eventi più importanti della loro vita, riassunti in poche frasi, giusto perché non si perdessero per sempre. Harry lo sfogliò distrattamente, cercando di non smarrirsi troppo tra i ricordi. C'era il racconto del peluche che Louis aveva vinto per lui al secondo appuntamento, e la foto di quando erano andati a pattinare sul ghiaccio. C'era il biglietto della funivia del viaggio ad Aspen, e il perfetto resoconto della cena nel ristorante lussuoso. C'erano i ritagli delle loro paparazzate, e tutte le paure di Harry nel ritrovarsi all'improvviso catapultato sotto i riflettori. C'era il loro matrimonio, e l'odore del sole delle Bahamas, e c'erano i loro figli. C'era il giorno in cui a Julian era spuntato il primo dentino, l'invito al battesimo di Leah e l'ultima ecografia di Blake. C'era la loro storia, parola per parola.
Perché questo erano stati, loro, come chiunque altro. Solo dei personaggi all'interno di una storia, e niente più. E ad Harry leggere era sempre piaciuto immensamente. I suoi personaggi preferiti erano quelli che da soli erano incompleti, pieni di difetti, destinati al fallimento, ma che, se uniti, riuscivano a salvarsi. Ad afferrarlo, quel maledetto lieto fine, insieme.
Era sempre stato convinto che anche lui e Louis fossero così. Invece si era sbagliato. Per questo, aveva finito per portare quel diario fino ad Holmes Chapel e lasciarlo lì. Per non ritrovarsi ogni notte a rileggerlo, e rendersi conto di quanto male la sua storia fosse finita. Tirò su col naso, girando l'ultima pagina, l'ultima che avesse mai scritto.
Portava la data di un giorno di Novembre dell'anno precedente. Aveva scritto solo poche parole.
Se n'è andato.



Il pranzo fu confusionario, come era tipico di casa Styles. Anne era il tipo di madre che sembrava essere capace di sorridere sempre, anche per le piccole cose, quella per la quale bastava un abbraccio dei suoi figli a sistemare qualsiasi problema. Harry non ricordava un periodo triste, vissuto in quella casa, nemmeno dopo la separazione dei suoi genitori. Anne aveva gestito il tutto con la bravura di un'equilibrista, riuscendo a tenere le sue sofferenze per sè e non farle pesare a lui e Gemma. Harry avrebbe tanto voluto essere forte la metà di lei.
Eppure adesso, guardandosi attorno, e vedendo sua madre e Robin, Gemma, Louis e i bambini, beh, non riusciva a cogliere un elemento stonato, lì dentro. Erano solo persone che amava, in fondo, che amava senza bisogno di etichette, e che in qualche modo lo amavano a loro volta. Poteva essere abbastanza, forse.
-Papà, quando arriva la torta?- sentì chiedere da Leah a Louis, seduti di fronte a lui.
-Presto, principessa- rispose il suo ex-marito -Ora sparecchiamo e poi mangiamo il dolce, va bene?-
-E poi possiamo uscire?- intervenne Julian, dall'altro lato del tavolo -Facciamo un pupazzo di neve-
-Sìììì- esultò sua sorella.
Louis annuì, sorridendo.
-Certo- assicurò -Vi coprite bene, e poi vi porto fuori-
Harry si alzò per iniziare a sparecchiare. Quando si portò accanto a Julian per prendere il suo piatto, però, suo figlio gli afferrò la camicia con una mano.
-Papà, vieni anche tu?- gli chiese, con una voce leggermente incerta -Lo facciamo tutti insieme?-
Era esitante, in quella richiesta, come se dalla risposta di Harry fossero dipese le sorti del mondo. Harry, spiazzato, alzò il viso, incrociando prima lo sguardo di Louis, impenetrabile, e poi quello di Anne, che fissava lui e il nipote con incredibile dolcezza. Quando si accorse che il figlio la stava guardando, gli fece cenno di sì con la testa, come per incoraggiarlo.
-Va bene- disse allora Harry, posando una mano sulla testolina di Julian e scompigliandogli i capelli -Però prima devo mettere a letto tuo fratello, d'accordo?-
Il bambino gli rivolse un enorme sorriso felice, e ad Harry si strinse il cuore. Ci fu un improvviso silenzio, a tavola, come se tutti fossero stati in attesa di quel momento, come se davvero temessero che Harry avrebbe detto di no e deluso i suoi figli.
-Forza- fu Robin, per fortuna, a rompere di nuovo il ghiaccio -Chi vuole la torta?-
Anne aveva preso una torta al cioccolato, perché era la preferita di tutti i nipoti, e soffiò le candeline con Leah e Julian accanto. Louis stappò lo spumante, e Gemma gli rivolse un sorriso quando le riempì il bicchiere. Harry suppose che potesse essere l'inizio del disgelo, e ne fu felice.
-Tesoro, credo che Blake stia crollando- gli disse Anne a un tratto -Forse è meglio che lo porti su-
In effetti il piccolo aveva la testa che ciondolava sul seggiolone. Harry ridacchiò, intenerito, e andò a prenderlo in braccio, prima che si addormentasse così.
-Haz, io e i bambini usciamo intanto, va bene?- disse Louis -Che poi se no viene buio-
Julian e Leah scattarono in piedi, lanciando urletti felici.
-Certo- acconsentì Harry, per poi rivolgersi ai figli -Cappello e guanti, sono stato chiaro?-
Si girò di nuovo verso Louis, giusto per intercettarlo mentre alzava gli occhi al cielo, divertito, e non riuscì a trattenersi dal fargli una linguaccia.
-Cappello e guanti pure tu- ordinò poi, prima di uscire dalla stanza a passo di marcia.
Non ci mise molto a far addormentare Blake, stanco com'era. Lo adagiò nel lettino che era stato suo, e che Anne aveva tenuto in garage finchè non era stato il momento di tirarlo di nuovo fuori per Julian. Era strano vederlo in camera di Gemma, come se sconvolgesse il naturale ordine delle cose. Ma andava bene così, forse era stato sconvolto già il giorno in cui Harry, a soli ventidue anni, era diventato padre.
Padre.
Non era ancora riuscito a venire bene a patti con quella parola, come se non riuscisse bene a concepirla fino in fondo. Forse perché, quando ci pensava, l'unica figura che vi ricollegava era Des. Sovrapporvi se stesso era tremendamente difficile. Non era mai stato bravo con le etichette, Harry, e in fondo in fondo ne era fiero.
Perché era convinto che nessuna etichetta sarebbe mai bastata a determinare una persona. Nessuno era una categoria, o una banale statistica. Lui non era solo un uomo, solo un fotografo, solo un padre single. Era tutte queste cose insieme, e mille altre ancora. Mille altre sfumature.
Era in quello che costruiva ogni giorno, era negli amori che aveva avuto, o forse solo in quell'unico che aveva contato davvero. Era nella musica dei Rolling Stones che ascoltava la mattina, era negli occhi dei suoi figli, era nel sorriso dolce che sua madre ancora gli riservava come se in lui vedesse il bambino che era stato. Era nella sciarpa che aveva iniziato a lavorare a maglia anni prima, e che aveva abbandonato quasi subito, ma che avrebbe tanto voluto finire. Era nei fiori piantati con cura nel viale di casa, era nei giocattoli di Julian, quelli su cui inciampava sempre. Era nei mille baci che poteva ancora sentire sulla pelle, e che non avrebbe mai ammesso quanto gli mancassero. Era nelle proprie scelte, quelle fatte con il cuore e quelle rimpiante. Quanto sarebbe stato facile etichettare se stesso, etichettare Louis, etichettare i loro figli.
Ma loro avevano sempre lottato per non farlo, sin da quando si erano impuntati a non sapere chi sarebbe stato il padre biologico dei bambini. Una sorta di roulette, incredibilmente divertente e magica. Perché in fondo, solo così sarebbero stati liberi. Così avrebbero potuto credere ancora nell'impossibile, e costruire un pupazzo di neve tutti insieme, nonostante fosse strano, nonostante in qualche parte in fondo al cuore sapevano che sarebbe stato doloroso. Ma non avrebbe avuto senso fuggire da tutto quello, fingere che non fosse lì, tra la pelle e il fiato.
Perché Julian aveva la stessa passione di Louis, Blake aveva i suoi occhi azzurri, Leah la sua intransigenza e fragilità nei confronti del mondo. Ma Julian aveva anche le fossette di Harry, Leah i suoi ricci, Blake la sua timidezza. Se anche loro non erano riusciti a rimanere insieme, sui volti dei loro figli lo sarebbero stati per sempre.




Quando Harry uscì in giardino, vide Louis, Julian e Leah tutti attorno a un piccolo cumulo di neve, quello che presumeva dovesse rappresentare il corpo del loro pupazzo.
-No, no papà!- sentì strillare da sua figlia -Più grande, più grande-
Sorrise, nel vedere Louis obbedire pazientemente, raccogliendo altra neve e mettendola sopra.
-Serve una mano?- esclamò allora Harry, avanzando verso di loro.
-Meglio due- sospirò Louis -Credo che i bambini vogliano battere il record per il pupazzo di neve più alto del mondo-
-Sìììì- strillò Julian, ovviamente prendendo sul serio il commento sarcastico di suo padre -Lo voglio alto come te. Anzi, no, come la casa della nonna!-
Harry scosse piano la testa, guardando Louis con aria di compatimento. Louis, che per tutta risposta gemette un "ma perché non me ne sto mai zitto?" tra sè e sè.
-Guarda papà, con questi facciamo gli occhi!-
Harry abbassò lo sguardo a vedere i due sassi tondi che gli stava mostrando Julian, quindi annuì, sorridendo, mettendogli una mano sul cappello con il ponpon.
-Mi sembrano perfetti, piccolo- commentò.
Era così atrocemente bello vederli lì, tutti insieme, i suoi Tomlinson, come gli piaceva chiamarli una volta. Louis dava le direttive per la costruzione del pupazzo, ora seduto sul dondolo lì accanto, perché non poteva stare in piedi troppo a lungo, e Leah e Julian eseguivano. Harry dubitava che sarebbero mai arrivati a mettergli gli occhi, conosceva i suoi figli abbastanza bene da sapere che nel giro di mezz'ora si sarebbero annoiati e sarebbero rientrati in casa, e sicuramente lo sapeva anche Louis. Ma andava bene lo stesso.
Harry cercò di aiutarli, ma Julian aveva le idee piuttosto precise, quindi in realtà ogni cosa che lui faceva veniva smontata nel giro di pochi secondi. Leah, invece, sembrava più determinata a riempire di neve le sue scarpe, piuttosto che ad aiutare il fratello.
-Papà- disse a un tratto Julian, così di colpo, mentre aggiungeva altra neve al mucchio. Era una semplice parola, che ripeteva almeno venti volte al giorno, tra l'altro, ma c'era una sfumatura particolare nel suo tono, qualcosa che indusse entrambi a bloccarsi e a guardarlo.
-Sì, tesoro?- chiese infine Louis, forse immaginando che si stesse rivolgendo a lui. Forse perché il bambino continuava a lavorare, dandogli ostinatamente le spalle.
-Perché non rimani a vivere con noi?- mormorò Julian dopo qualche istante -Se non potete più dormire insieme puoi stare nel mio letto-
Harry sentì un peso posarglisi sullo stomaco, mentre scambiava un'occhiata angosciata con Louis. La voce di Julian sembrava noncurante, ma sapeva che dietro quella domanda apparentemente innocente ci fossero chissà quanti pensieri e dubbi. Dubbi che loro, i grandi, avrebbero dovuto togliergli.
Già, peccato che i grandi si sentissero più piccoli di coloro che piccoli lo erano davvero.
-Juls, lo sai che non è possibile- disse pazientemente Louis, carezzando i capelli di Leah che ora gli si era avvicinata, porgendogli una pallina di neve -Io devo lavorare-
-Non lavorare più- ribattè Julian, con tono leggero, come se fosse la soluzione più semplice e logica.
-Ma io amo il mio lavoro- cercò di spiegare Louis -È importante per me-
Questa volta il bambino si voltò direttamente verso di lui, guardandolo con i suoi grandi occhi scuri.
-Più importante di noi?- chiese, con quella innocente schiettezza che si aveva solo a sei anni, probabilmente.
Louis si ritrasse come se gli avessero tirato uno schiaffo, come se non sapesse davvero da che parte iniziare a dire che no, era assurdo anche solo che pensasse una cosa del genere, perché lui era la luce dei suoi occhi, il suo primo e ultimo respiro, il sole che sorgeva ogni giorno. Era tutte queste cose insieme, perché era suo figlio.
Harry allora decise di intervenire, perché gli si stava spezzando il cuore a vederlo così piegato dal peso di quella domanda, o forse perché si sentiva ancora in colpa per la conversazione avuta in macchina. Lentamente si inginocchiò accanto a Julian, sistemando un po' di neve insieme a lui.
-Niente è più importante di voi- mormorò -Nè per papà, nè per me. Solo che a volte i grandi devono fare delle scelte difficili, capisci? Non sempre si può fare tutto quello che si vuole, ma noi ci stiamo impegnando al massimo-
-Davvero?- sussurrò Julian, come se finalmente stesse dando voce a tutto ciò che lo tormentava -E allora perché non vediamo mai papà?-
Harry abbassò appena gli occhi, sapendo che in parte quella era una sua responsabilità. Certo, Louis aveva una vita impegnata, ma anche lui non era da meno. Se fosse stato un padre migliore, avrebbe portato i suoi figli alle partite di Louis, come faceva quando erano sposati. Avrebbe potuto fare di più, fare di meglio.
-Ascoltami- sospirò a quel punto, sentendo lo sguardo dell'ex-marito perforargli la nuca -È stato un anno pesante per tutti. Ti prometto che faremo il possibile per migliorare le cose, d'accordo? Per stare un po' di più tutti insieme, qui a Londra o a Barcellona da papà. Ti fidi di me?-
Julian parve pensarci per qualche istante, poi annuì.
-Bravo il mio bambino- mormorò Harry, sporgendosi per baciargli la fronte.
Si alzò piano, sentendo la schiena tirare fastidiosamente. L'aveva pagata, quell'ora di pilates, altrochè.
Pensava che la conversazione fosse finita, ma Julian evidentemente aveva altre domande, perché si morse il labbro inferiore, esattamente come faceva lui quando non sapeva come affrontare un argomento ostico, e li guardò.
-Cos'è il divorzio?- chiese poi.
Harry quasi si strozzò con la saliva. Tossì, e lanciò un'occhiata disperata a Louis, che sembrava altrettanto a disagio. Ma non si tirò indietro, limitandosi a sistemare meglio la sciarpa di Leah, prima di rispondere.
-Come ti è venuta in mente, questa parola?- domandò, con finta noncuranza.
-Ho sentito la zia e la nonna che ne parlavano- rispose Julian -Ha detto che voi non chiedete il divorzio. A chi?-
-Beh- temporeggiò Louis, mentre Harry meditava di imbavagliare mezza famiglia -Non è una cosa che chiedi a una persona in particolare...-
-Ma chiedi cosa?- il piccolo inclinò il capo, incuriosito.
Louis guardò Harry, come per avere il permesso, e Harry annuì. Non aveva senso raccontare storie.
-Ecco- Louis si grattò la nuca, cercando probabilmente un modo di spiegare al figlio come si distruggeva legalmente una promessa di amore eterno, senza infrangere allo stesso tempo tutti i suoi sogni di bambino -Vedi, a volte due persone si vogliono tanto bene, ma non vogliono più tenersi la mano. E allora preferiscono lasciarla, e andare ognuno per la sua strada. E allora si chiede il divorzio-
Harry stranamente si ritrovò a sorridere per quella spiegazione semplicistica ma efficace, e allo stesso tempo a sperare che suo figlio non obiettasse il fatto che loro in effetti non avessero chiesto il divorzio, ma evidentemente era un dettaglio troppo marginale per lui.
Julian sbattè le palpebre qualche volta, le guance arrossate per il freddo.
-Non vi amate più?- mormorò infine, come se la risposta lo spaventasse.
-Tesoro, io e papà ci saremo sempre l'uno per l'altro, e soprattutto ci saremo per voi. Sempre- fu quello che disse Louis, provocando una fitta nel petto di Harry. Non era abituato a non sentirgli dire che lo amava, quando gli veniva posta la domanda.
Harry si passò le dita tra i capelli, alzando appena la testa affinchè non rischiasse di far trapelare quel dolore improvviso, inaspettanto. Ma qualcosa gli diceva che Louis sarebbe riuscito a percepirlo comunque.
Quando riabbassò, suo figlio si era rifugiato tra le braccia di Louis, sedendosi sulle sue ginocchia e premendo il viso contro il suo collo. Leah, stranamente silenziosa, era lì accanto. Si chiese cosa stesse capendo di tutta quella conversazione.
Forse non ci aveva capito nulla nemmeno lui.
-Ma papà- sussurrò a quel punto Julian, piano, come fosse un segreto -Come fate a fare queste cose, se vi lasciate la mano?-

I still believe in summer daysWhere stories live. Discover now