Prima parte

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  Le strade di Londra, di notte, sono popolate da diversi generi di persone. Turisti, ragazzi nottambuli, artisti di strada, lavoratori, prostitute.
E persone qualunque, che cercano in uno scatto di catturare la magia del sole che muore, per lasciare il posto alle stelle. Di trovare quell'armonia perfetta, data da miliardi di puntini di luce che sembravano formare una trapunta di velluto blu.
In altre parole, i fotografi.
-D'accordo, ragazzi, direi che va bene così-
Harry fece segno ai suoi assistenti di iniziare a smontare le attrezzature, mettendosi nel frattempo a tracolla la macchina fotografica. Avevano fatto un buon lavoro, quella sera, i suoi datori sarebbero stati soddisfatti.
-Haz, mi posso rivestire?-
Si voltò verso Cara Delevingne, ventotto anni di perfezione e sconsideratezza, e alzò il pollice nella sua direzione. Lei sospirò di sollievo, evidentemente grata di poter indossare qualcosa sopra il microscopico costume che l'aveva fatta rabbrividire nelle ultime due ore.
Harry passò la macchina fotografica a Cal Aurand, il suo socio, affinchè trasferisse gli ultimi scatti su un computer, quindi si avvicinò alla modella, che stava sorseggiando un bicchiere di the bollente, avvolta in una pelliccia che probabilmente costava quanto un anno di stipendio di una famiglia media.
-Di tutte le idee che hai avuto- gli sibilò lei, quando la raggiunse -questa è stata senza dubbio la peggiore-
Harry scoppiò a ridere, lasciandosi cadere sul divano rosso sul quale lei si era lasciata fotografare fino a poco prima.
-Sei sempre difficile- si limitò a dirle, nascondendo uno sbadiglio nel palmo della mano.
-Ah io?- sbottò Cara, buttandosi accanto a lui con poca grazia, come il maschiaccio che in fondo era -Tu mi organizzi un servizio fotografico sul Tower Bridge in pieno ottobre, e io farei la difficile?-
Harry scosse semplicemente la testa. Negli ultimi anni avevano lavorato insieme talmente tante volte, che avevano finito per diventare amici.
-Non devi prendertela con me- rispose candidamente -Quelli di Yves Saint Laurent volevano una campagna "raffinata ma incoerente". Dio solo sa cosa intendesse dire-
-Sicuramente non una modella in costume in ottobre- sbottò Cara, raggomitolandosi ancora di più nella sua pelliccia -E sicuramente non una modella che dovrà starsene a letto con la febbre per le prossime due settimane-
-Silenzio- sorrise lui -La adoreranno-
-Già- borbottò Cara, un'espressione divertita negli occhi allungati da gatta -E tu, oltre al tuo stipendio stellare, guadagnerai una delle camicie assurde della nuova collezione, giusto?-
-Touchè- ridacchiò Harry. Cosa poteva farci? Era il suo punto debole, la moda, e i suoi maledetti datori di lavoro sapevano bene come comprarsi i suoi servigi. Negli anni, il suo studio fotografico si era fatto un nome, a Londra, e le richieste erano sempre troppo numerose per lui e Cal, che però si rifiutavano di assumere qualcun altro. Non si fidavano a lasciare il loro duro lavoro in mano a fotografi maldestri.
Fece un cenno con la mano al suo socio, che li stava raggiungendo.
-Le foto sono perfette- annunciò Cal, che si stava evidentemente sforzando di non fissare il decolletè di Cara -Possiamo chiudere e iniziare a smontare-
-Ottimo- battè le mani Harry, alzandosi e stiracchiandosi appena -Almeno stasera potrò tornare a casa ad un orario decente-
Cara lo guardò storto.
-Detta così sembra che tu faccia chissà quale vita mondana- lo prese in giro. -Sono a Londra da una settimana, e non sei voluto uscire a bere qualcosa nemmeno una volta-
-Perché ho dovuto passare le ultime nottate chiuso nello studio, a progettare questa campagna che tu hai tanto criticato- ribattè Harry, alzando gli occhi al cielo.
Cara sbattè le lunghe ciglia, con tono fintamente innocente, quindi si sporse verso di lui per schioccargli un bacio sulla guancia, prima di dirigersi verso la macchina scura che la attendeva, già in moto, qualche metro più in là.
Cal la seguì con lo sguardo, finchè non fu sparita dalla sua vista.
-Santo cielo- mormorò poi -Non so come tu faccia a non approfittare di tutto quel ben di Dio-
Harry sospirò rassegnato, affiancandosi a lui e dirigendosi verso il punto in cui avevano allestito tutte le loro attrezzature.
-In quella macchina c'era la sua fidanzata ad aspettarla- gli comunicò Harry, cercando di rimanere serio quando Cal spalancò gli occhi a dismisura -Ma tu non apri mai un giornale di gossip?-
Cal scrollò le spalle, chiaramente affranto.
-E poi sai che ci sarebbero dei problemi tecnici anche da parte mia- continuò Harry, sorridendo -Quindi ecco, direi che ti ho risposto esaurientemente-
-Quanta bella roba sprecata- borbottò il suo socio, iniziando a recuperare i vari computer, mentre alcuni operatori smontavano le luci e il resto del set fotografico.
-Ma ti senti quando parli?- si indignò Harry -Poi andiamo, avrà vent'anni meno di te-
-E allora? I miei occhi ci vedono ancora bene, credimi- ribattè Cal, alzando un dito nella sua direzione, quasi come monito.
Harry scosse la testa, ormai totalmente abituato all'umorismo tutto particolare dell'amico. Guardò distrattamente l'orologio. Se si fosse dato una mossa, sarebbe arrivato in tempo per...
-Vai a casa-
Alzò la testa di scatto, incrociando gli occhi scuri di Cal.
-Cosa?- chiese, confuso.
-Hai lavorato come un matto, nell'ultima settimana, non sei mai uscito dallo studio prima delle tre del mattino- disse l'altro -Vai a casa, qui finisco io-
Harry sentì che avrebbe potuto abbracciarlo.
-Davvero?-
-Muoviti, prima che cambi idea-
Gli rivolse un sorriso smagliante, lanciandogli un bacio con la punta delle dita, e scoppiando a ridere quando lo vide inorridire. D'accordo, quello forse era troppo anche per un individuo di ampie vedute come lui. Senza farselo ripetere due volte, si diresse alla propria postazione, prese la borsa e si avviò rapidamente verso la macchina.



Mayfair era una delle zone centrali di Londra, un quartiere prevalentemente commerciale confinante con Hyde Park. Sede di ristoranti e negozi di lusso, non era troppo rumorosa, e piuttosto esclusiva. Le case erano ben curate, eleganti, i vicini di casa discreti.
Nel complesso, ad Harry piaceva abitare lì, in una bella villa a tre piani circondata da una ringhiera in ferro battuto, con un giardino abbastanza ampio e una splendida vista su Hyde Park. Ci si era trasferito qualche anno prima, quando pensava che quello sarebbe stato l'inizio di una vita tutta unicorni, favole e arcobaleni. Una vita piena di risate e sorrisi, che in quella casa avrebbero trovato rifugio e calore. Non che non fosse andata così, almeno per un po'.
Non che non fosse ancora così, almeno in parte.
Però ecco, con gli anni aveva imparato che non tutto era come si immaginava, che non tutto andava come si programmava, che quello era un diritto riservato solo ai personaggi delle favole. Nella vita vera era tutto più complicato, e incerto.
Parcheggiò il suo Range Rover di fronte al garage, quindi premette il pulsante di chiusura del cancello automatico, in un gesto ormai istintivo da quando, qualche mese prima, si era ritrovato due paparazzi quasi dentro casa. Sapeva che, essendo un fotografo professionista, avrebbe dovuto avere una certa empatia, verso di loro, ma la realtà era che non pensava di avere nulla in comune con individui di quel genere, per nulla rispettosi degli spazi altrui, quindi aveva finito per chiamare la polizia. Credeva di aver concluso quella fase della sua vita, ma evidentemente si era sbagliato.
Fece un respiro profondo, cercando di scacciare il nervosismo che gli era salito a pelle, solo al ricordo dell'episodio, quindi si diresse verso la porta d'ingresso. Armeggiò con il mazzo di chiavi per qualche minuto, prima di trovare quella giusta, ché anche dopo tanti anni non ci riusciva mai al primo colpo. Avrebbe dovuto ricordarsi di portarle dal ferramenta per metterci una copertura colorata, in modo da distinguerle una dall'altra. Se lo riprometteva tutte le volte, ma poi se lo dimenticava, nelle pieghe delle sue giornate sempre troppo frenetiche, sempre troppo di corsa, sempre troppo piene.
Ma era stato lui a volerlo, era stato lui a fare in modo che fosse così. Non aveva avuto altra scelta.
Finalmente sentì lo scatto della serratura, e aprì la porta. L'ingresso era illuminato, giusto un po' troppo in disordine per i suoi gusti. La sedia bianca spostata quasi di mezzo metro, un'anta dell'armadio a muro socchiusa, quello che sembrava un calzino buttato distrattamente in un angolo, appallottolato, quasi fosse stato dimenticato lì.
Lo raccolse con un sospiro, ficcandoselo nella tasca della giacca. Si appuntò mentalmente di buttarlo nella biancheria da lavare, più tardi, e di non scordarselo lì.
Qualche settimana prima, durante un servizio, da quella stessa tasca era uscito un paio di mutandine rosa, ed era stato terribilmente imbarazzante. Fortuna che quasi tutti i presenti sapevano come stessero le cose, altrimenti sarebbe morto di vergogna.
Delicatamente posò la borsa sulla sedia, e si diresse verso la seconda porta a sinistra. Il salotto era davvero molto grande e colorato. Un enorme divano a ferro di cavallo dominava l'intera stanza, ora illuminata solamente dalla luce proveniente dal televisore appeso alla parete, sul quale si alternavano immagini di cartoni animati, senza volume.
Assottigliando gli occhi, individuò sua sorella Gemma sepolta sotto una coperta. I capelli erano raccolti in una treccia, il trucco un po' sfatto, gli occhi chiusi. Abbracciati a lei, due bambini profondamente addormentati.
Dovette avvertire la sua presenza, perché dopo un paio di secondi sbattè le palpebre. Si guardò attorno, confusa, prima di metterlo a fuoco.
-Haz- mormorò sottovoce, per non svegliare i bambini -Sei tornato presto-
-Sono quasi le undici- le disse -Diciamo che presto è un concetto piuttosto relativo, di questi tempi-
Gemma sorrise debolmente, stropicciandosi gli occhi, poi si mosse, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi.
-Hai cenato?- gli chiese.
-No- rispose lui -Non ho fatto in tempo-
Gemma si alzò lentamente, districandosi da quella massa di gambe e braccia e raggiungendolo.
-Volevano aspettarti svegli- gli disse poi, carezzandogli appena una guancia -Non sono riuscita a convincerli ad andare di sopra. Blake invece è già nel lettino-
Harry annuì, un sorriso sulle labbra, misto di tristezza e senso di colpa.
-Ora li porto io, tranquilla- sospirò.
-D'accordo, nel frattempo ti riscaldo qualcosa da mangiare-
Harry le scompigliò i capelli, grato, ottenendo in risposta un urletto di protesta che lo fece sghignazzare. Si liberò della giacca, mentre sua sorella andava in cucina, e si inginocchiò di fronte al divano. Con dolcezza carezzò i riccioli della bambina, soffermandosi sulle sue guance piene, sulle sue labbra carnose. Era stato poco presente, negli ultimi giorni, e si sentiva terribilmente in difetto per questo. Il lavoro non era una scusa. Aveva sempre cercato di fare in modo che non lo fosse, almeno.
La prese in braccio delicatamente, posandosi la sua testa sulla spalla e portando una mano a sorreggerle la nuca.
Istintivamente, sentì le piccole dita della bambina serrarsi alle sue spalle, segno che anche nel sonno lo riconosceva. Tenendola stretta e inspirando il suo profumo buono, salì le scale che portavano al piano di sopra, facendo attenzione a non far scricchiolare troppo il parquet.
Piccoli accorgimenti che sapevano di amore, e confidenza, e anni passati a fare quell'esatto procedimento ogni sera. Cose che non avrebbe scordato nemmeno in un milione di anni.
Entrò nella seconda stanza a destra, in penombra, la luce dei lampioni della strada che filtrava dalle tapparelle abbassate per metà. Scostò con un piede un pupazzo, per evitare di inciamparvi, e depose la bambina nel lettino. Aveva già il pigiama, per fortuna, Gemma era stata previdente, così si limitò a coprirla per bene e a posarle un bacio sulla fronte. Prima di uscire dalla stanza le mise accanto il peluche a forma di coniglietto, e accese la piccola lucina sul comodino. Sapeva che lei odiasse svegliarsi al buio.
Tornato di sotto, fece la stessa cosa con il maschietto. Era un po' più pesante della bambina, ma non fece comunque troppi sforzi a portarlo di sopra. Storse il naso nel vedere gli adesivi che aveva appiccicato alla porta della sua camera. Era stata una guerra, quella, che aveva finito per perdere miseramente. La aprì con la spalla, e mise il piccolo nel letto. Occhieggiò ai mille poster appesi alle pareti, cercando di ingoiare l'istinto di toglierli di lì, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.
Sarebbe stata una cattiveria inutile, nonostante per lui fossero una continua fonte di sofferenze. Stava per uscire dalla stanza, quando il bambino si mosse appena.
-Papà?- lo sentì dire con voce impastata dal sonno.
-Sono qui- rispose, sedendosi sulla sponda del letto e sistemandogli meglio le coperte.
-È già iniziata la partita?-
Harry sorrise. Era chiaro che fosse convinto che fosse già il giorno seguente.
-Non ancora- disse, ravviandogli i capelli scuri -È notte. Ora dormi, va bene?-
Suo figlio annuì appena, mettendosi su un fianco e abbracciando il cuscino.
-La guardiamo insieme, domani?- chiese poi in un sussurro.
Ad Harry si strinse il cuore nell'udire la sua richiesta. Vedere quella partita era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma ancor meno voleva deludere suo figlio.
-Certo- promise, sforzandosi di suonare contento -Magari diciamo allo zio Niall di venire a guardarla qui con noi, cosa dici?-
-Sarebbe bello- fu la risposta assonnata.
Aspettò qualche istante, per essere sicuro che il bambino si fosse addormentato, poi uscì dalla stanza. Diede una rapida occhiata alla camera di Blake ma, essendoci silenzio assoluto, preferì non rischiare di svegliarlo, e scese in cucina.
Una volta dentro, solo sentendo l'odore che veniva dal microonde avvertì i crampi dalla fame. Da quant'era che non mangiava? Ricordava un panino di corsa a pranzo, mentre allestivano il set fotografico, e poi?
-Devi rallentare- gli disse Gemma, mettendogli un piatto di sformato di riso davanti, quasi gli leggesse nel pensiero -Hai l'aria distrutta-
-Perché sono distrutto- sbadigliò Harry -Fortuna che il grosso del lavoro è finito. Verrà fuori una cosa bellissima-
Gemma lo guardò storto, per nulla convinta.
-Ripetimelo con più convinzione- lo sfidò, sedendosi di fronte a lui -Se qualche anno fa ti avessi detto che saresti finito a fare campagne pubblicitarie, saresti inorridito-
-Si cambia, nella vita- rispose Harry, automaticamente. Era un discorso che avevano affrontato già troppe volte, ormai gli sembrava di ripetere le solite vecchie battute.
-Ah davvero?- sbottò Gemma, incrociando le braccia al petto, agguerrita -Haz, volevi diventare un fotografo del National Geographic. Fare scatti in zone estreme, girare il mondo-
-Gem, non è una cosa che si può fare avendo tre figli, e lo sai- mormorò, paziente, infilandosi in bocca una forchettata di riso.
-Si potrebbe fare, se non dovessi occupartene da solo- sibilò lei stringendo le labbra.
Harry sospirò, masticando piano per prendere tempo, ma potè attendere solo qualche manciata di secondi.
-È una scelta che ho fatto tempo fa e...-
-A me sembra sia stata una sua scelta, più che altro- lo interruppe la sorella, stizzita.
-Eravamo d'accordo entrambi- la corresse, una punta di irritazione nella voce -Il mio lavoro era molto più flessibile del suo, avrei potuto fare quello che amavo anche restando con i bambini-
-Come dici tu- si rassegnò lei scuotendo la testa.
Era chiaro che aveva capito che discutere non sarebbe servito a nulla, per fortuna.
Harry giocò con il riso che aveva ancora nel piatto. D'un tratto, gli era passata la fame.
-Julian vuole che guardiamo tutti insieme la partita, domani- mormorò a quel punto.
-E a te non va?- chiese Gemma, ora addolcendosi.
Harry scosse la testa, con un sospiro.
-Posso farlo io- si offrì lei -Gli dico che hai avuto un imprevisto e...-
-No- la bloccò Harry -Devo farlo, sono stato poco presente ultimamente, e lui ci tiene tanto. E poi ho il sospetto che sia un suo modo di avere la sensazione che la nostra famiglia sia ancora unita. Guardavamo sempre la partita tutti insieme, prima-
Gemma gli posò una mano sull'avambraccio stringendo appena.
-Stai facendo del tuo meglio- gli assicurò -I bambini stanno bene, la casa è a posto-
-C'era un calzino nell'ingresso, oggi- sorrise Harry.
-Oh beh, deve essermi sfuggito- scrollò le spalle lei -Oggi pomeriggio era il turno di Niall, e quando sono arrivata io sembrava un campo di battaglia. Non scherzo- aggiunse, vedendo l'espressione scettica di Harry -È un pericolo pubblico quando ci si mette. È più bambino di loro-
-Per questo lo adorano- rispose Harry, un velo di malinconia nella voce, pensando che quella descrizione avrebbe potuto adattarsi benissimo anche ad un'altra persona.
Sua sorella parve capirlo al volo, lo conosceva meglio di chiunque altro e sapeva perfettamente dove vagasse la sua mente in quei casi.
-Quant'è che non lo vedono?- domandò.
-Un mese- mormorò Harry -Dalla vacanza in Thailandia. Ah no aspetta, è venuto a salutarli due settimane fa, prima di partire per il ritiro-
-Dovrebbe fare di più- scosse la testa Gemma, contrariata.
-Fa quello che può- ribattè Harry. Incredibile quanto ancora riuscisse a mettersi sulla difensiva, quando si toccava quell'argomento. Ormai avrebbe dovuto smettere -E comunque telefona tutte le sere-
-Stasera lui e Julian hanno parlato un'ora- confermò Gemma -Non oso pensare al costo delle sue bollette-
-Tanto se le può permettere- sogghignò Harry per un attimo, prima di sbadigliare.
-Vai a dormire- lo incoraggiò lei, con decisione -Io prendo la mia roba e torno a casa-
Harry annuì con gratitudine.
-Mi salvi la vita- rispose -Non saprei come avrei fatto senza di voi-
-Vedi di farti dare una bella felpa di Saint Laurent, questa volta, allora- lo incalzò lei -Al posto di quelle orrende camicie che metti tu, non posso nemmeno rubartele. Sono troppo gay perfino per i tuoi standard-
Harry le fece una linguaccia, da uomo maturo quale era, poi a fatica si trascinò di sopra, dopo averla salutata.
La sua stanza era al centro esatto della casa, ed era la più grande di tutte. Rispetto alle altre, piene di colori e quadri, quella era tutta sui toni del bianco. Era stato Harry a volerla espressamente così, gli dava un'idea di candore e purezza. Lo faceva sentire in pace, come fosse una sorta di rifugio.
La porta finestra dava su un balcone che affacciava sulla piscina, alle pareti c'erano appesi dei quadri astratti, sul cassettone stavano in bella vista le foto dei suoi figli.
Nulla tradiva il fatto che, lì o nel bagno adiacente, una volta ci fosse stata anche un'altra persona.
Harry si sedette sul bordo del letto, sfilandosi gli stivali e mettendoli ordinatamente uno accanto all'altro. Era difficile, a volte, essere soli. Dover pensare a tutto, dover prendere ogni decisione. Difenderli. Proteggerli.
Dal dolore. Da loro due e dalle loro scelte sbagliate.
Dall'incapacità di essere dei buoni genitori.
Sentire sempre quella voglia di scusarsi per aver permesso che la loro famiglia si sgretolasse. Dover guardare una stramaledetta partita di calcio alla televisione, per illudersi che nulla fosse cambiato.
Nulla.
Quando invece, da un anno e mezzo a quella parte, era cambiato tutto.



La colazione della domenica era il caos.
Harry era sempre stato piuttosto mattiniero, ma in quel periodo aveva dormito talmente poco che gli sembrava di aver solamente voglia di starsene a letto. Cosa che, però, si rivelava piuttosto utopica, con tre bambini iperattivi in giro per casa.
-Papà! Credo che Blake se la sia fatta addosso!-
Harry gemette, mentre girava i pancakes, che fortunatamente erano quasi pronti. Eccolo, di fronte a una delle tante scelte della vita: cambiare suo figlio e rischiare che la cucina andasse a fuoco, oppure lasciarlo immerso nella sua cacca per qualche minuto, evitare una strage, ma rischiando urla tanto alte che si sarebbe comunque reso necessario l'intervento dei pompieri?
Lanciò un'occhiata al di sopra della sua spalla e, vedendo il piccolo relativamente tranquillo, optò per la seconda possibilità.
-Julian, fammi un favore- disse al figlio più grande -Gioca un attimo con lui, che io finisco di preparare la colazione-
-Ma puzza- protestò il bambino, spalancando gli enormi occhi castani.
-Tappati il naso- suggerì, allungandosi per prendere la spatola.
-Va bene- borbottò Julian -Però tu metti il riso soffiato sui pancakes-
-Affare fatto-
Era tutta questione di compromessi, in fondo.
Harry mosse a fatica un passo verso destra, sentendo un peso ben noto sulla gamba.
-Leah, tesoro- si sforzò di dire pazientemente, abbassando lo sguardo -Devi proprio stare lì?-
La bimba di tre anni alzò lo sguardo chiaro verso di lui, poi fece segno di sì con la testa.
-Ma papà così non riesce a muoversi- cercò di dirle, prima di arrendersi.
Ormai era abituato agli avviluppamenti della figlia attorno alle sue gambe, mentre cucinava. Leah era un terremoto, quando ci si metteva, ma a volte sembrava tremendamente insicura, tanto da non volersi allontanare da lui nemmeno un momento. Harry sapeva il perché, sapeva che fosse solo questione di ottenere un po' di sicurezza.
Una sicurezza che, in quella casa, mancava da un po' troppo tempo.
Spense il fuoco sotto i pancakes, poi si chinò verso di lei e la prese in braccio. Le diede un bacio sulla guancia, affondando il naso tra i suoi capelli, mentre lei gli allacciava le gambine attorno alla vita. Era tenera, mentre si aggrappava a lui come se non volesse lasciarlo andare via.
-Va tutto bene, principessa?- le chiese dolcemente.
-Sì- rispose lei, giocherellando con il colletto del suo maglione.
Harry sospirò, un po' preoccupato. Era diversa, in quell'ultimo periodo. E non sapeva perché.
O forse sì.
Un rumore improvviso, e poi la porta d'ingresso si aprì con un botto.
-Sì può?- sentì urlare da una voce maschile.
-Siamo in cucina- rispose, dondolando sul posto. Era tutta colpa sua, che aveva distribuito le chiavi di casa a destra e a manca, e ora i suoi amici si sentivano in diritto di entrare e uscire quando e come volessero.
-Zio Lee!- strillò Julian, abbandonando con sollievo il fratellino puzzolente per correre nell'ingresso.
Harry sentì qualche scambio di battute, poi vide arrivare un bel gruppetto di persone.
Davanti a tutti c'era Liam, con Julian aggrappato alle spalle, e dietro di lui Zayn e Niall, carichi di sacchetti.
-E quelli cosa sarebbero?- chiese Harry, confuso.
-Birre e patatine- rispose Niall, mollando le borse sul bancone -Non si può vedere una partita senza generi di prima necessità-
-Abbiamo preso i succhi di frutta per i marmocchi- aggiunse Zayn, guardando i bambini affettuosamente -Cos'è questa puzza?-
-Blake- sospirò Harry, ricordandosi del fatto che il suo ultimogenito fosse più o meno una bomba ad orologeria.
Senza troppi complimenti, convinse Leah ad andare in braccio a Zayn, mentre lui si occupava del piccolo.
-Liam, dai i pancakes ai bambini?- pregò l'amico -Ah, e metti il riso soffiato su quelli di Juls-
Il ragazzo si affrettò ad obbedire, mentre Harry si dirigeva al piano di sopra. Era incredibile che un bambino così piccolo potesse produrre delle cose così tremende.
Stava per uscire dalla stanza, quando sentì Zayn rivolgersi a Leah.
-Sei silenziosa oggi, nanetta- le disse, scrollandola appena, per farla ridere -Cosa è successo?-
La bambina piegò all'ingiù gli angoli della bocca, raggomitolandosi contro di lui.
-Mi manca il mio papà- mormorò poi, in quello che doveva essere probabilmente un segreto destinato solo al suo zio preferito, ma che in realtà venne udito da tutti i presenti.
Harry si congelò sulla porta, le mani strette spasmodicamente attorno a Blake. Si girò lentamente, incrociando lo sguardo di Zayn e sentendo il cuore affondare nel petto.
Perché sapeva perfettamente che il papà di cui sua figlia parlava non era lui.



Con il passare degli anni, e dei figli, Harry era diventato un grande esperto nel cambiare i pannolini. Ricordava ancora la prima volta in cui avevano portato a casa Julian, quasi sei anni prima, e lui aveva fissato terrorizzato quel bambino minuscolo, chiedendosi come fare a toccarlo senza romperlo. Fortunatamente, sua madre Anne era arrivata in soccorso, e nel giro di qualche settimana li aveva istruiti a dovere.
Ora, era tutto molto più semplice. Lavare il bambino, deporlo sul fasciatoio, asciugarlo con attenzione, mettere la crema , prendere il pannolino, fissarlo con cura.
Il tutto, facendo boccacce per evitare urla che avrebbero infranto il muro del suono.
Harry sorrise tra sè, ripensando agli inviti di Cara. Chissà la faccia che avrebbe fatto, vedendolo adesso, addosso una vecchia tuta, i capelli raccolti in un codino in cima al capo, impegnato a pulire il sedere di suo figlio.
-Altro che sfilate di Yves Saint Laurent- disse a Blake, chinandosi per dargli un bacio sul naso -Qui ci vuole tutto un altro stile, non trovi?-
Il bambino gorgogliò, agitando le gambine, evidentemente felice di essere asciutto e pulito.
Ci voleva così poco, alle volte.
Sentì qualche rumore provenire dal piano di sotto, e scosse la testa. I suoi tre amici potevano produrre una quantità incredibile di confusione, se lasciati a loro stessi, e ancora di più se con loro c'erano i suoi figli.
A dire la verità Liam, e questo doveva concederglielo, faceva il possibile per arginarli, ma finiva per essere in minoranza. E poi, bastava che Julian gli chiedesse di giocare con lui a qualsiasi cosa che comprendesse movimento e, possibilmente, un pallone, e finiva per comprarselo miseramente.
Strinse i denti a quel pensiero, mentre metteva la canottiera a Blake. Non era compito di Liam far giocare Julian in quel modo, soprattutto considerato che suo figlio la passione per lo sport l'aveva ereditata da qualcun altro.
-Papà!- sentì urlare dal piano di sotto -Inizia la partita!-
Harry si morse il labbro, finendo di vestire Blake e poi prendendoselo in braccio.
-Arriviamo- rispose, aprendo la porta del bagno, poi avvicinò le labbra all'orecchio di suo figlio -Ce la possiamo fare Blay, che dici? Durerà solo un'ora e mezza, e noi siamo diventati piuttosto bravi a cavarcela-
Il bambino lo scrutò con i suoi grandi occhi verdi, poi si sciolse in un sorriso, come a dargli la sua approvazione. Giusto ciò di cui aveva bisogno.
Harry scese le scale rapidamente ed entrò in salotto, dove trovò tutto già pronto ed equipaggiato come durante una finale di Champions. E lì, in quella stessa stanza, se ne erano viste tante.
-Stanno per entrare in campo!- esclamò Julian, sovraeccitato, in ginocchio sul pavimento. Harry si scambiò un'occhiata con Niall, prima di passargli Blake e sedersi sul divano accanto a lui. Gli si stringeva il cuore, a vedere i suoi figli comportarsi così, e gli saliva una rabbia cieca.
Non era questo che aveva promesso loro quando erano nati. Non era questo che aveva sperato per loro.
Aveva programmato una famiglia amorevole, con colazioni tutti insieme a tavola, e non domeniche mattine frettolose, un bambino con il pannolino sporco sul seggiolone e un'altra aggrappata ad una gamba. Aveva programmato viaggi, e feste, e non un futuro incerto e vacanze separate.
Non era riuscito a mantenere nemmeno una delle sue promesse. Che schifo.
Si guardò attorno per un attimo, e ringraziò il cielo che gli fossero rimasti quei tre, se non altro. Niall e Liam, che c'erano sempre stati, e Zayn, che era stato una piacevole aggiunta, come quei post scriptum in fondo ad una lettera che però valgono più di tutto il resto. Era bello che anche lui fosse a casa così spesso, in quel periodo, neanche l'avesse fatto apposta a prendersi una lunga pausa dopo l'ultimo tour in giro per il mondo. Erano i suoi migliori amici, tre, il numero perfetto. Tre come i tre moschettieri.
Tre come i suoi figli, come se fossero stati fatti in modo che ne avessero uno per ciascuno. Harry sorrise, nel fare quel pensiero.
Liam era di Julian, senza dubbio. Lo portava a giocare a basket, e a nuotare, visto che Harry negli sport era un po' imbranato. Lo teneva informato sugli ultimi movimenti delle squadre di calcio, visto che Harry di quello proprio non voleva parlare.
Zayn era il grande amore di Leah, totalmente ricambiato. Forse perché entrambi sapevano comunicare benissimo anche senza il bisogno di usare le parole, si erano trovati subito. E poi Zayn amava la bellezza, e aveva sempre detto che quella bambina fosse un'opera d'arte. Ogni volta che andava in giro per i suoi viaggi, tornava con i vestitini più strani.
A conti fatti, Blake doveva essere di Niall. Harry riflettè su quel particolare. In realtà Niall era semplicemente lo zio divertente, quello che li lasciava alzati un po' di più, quello che faceva impastare i biscotti e poi li bruciava puntualmente nel forno. Blake probabilmente, con i suoi diciotto mesi era ancora troppo piccolo per capire quei particolari lati positivi. Però, in effetti, Niall era anche l'unico dei suoi amici che sopportava il fatto di cambiargli il pannolino sporco, quindi beh, quello poteva essere un ottimo punto a suo favore.
-Ed ecco la squadra del Barcellona entrare in campo- stava nel frattempo dicendo lo speaker, commentando la partita. Harry rivolse lo sguardo verso la televisione, vedendo tante piccole figure muoversi nel campo verde. Qualcosa gli impediva di mettere a fuoco con chiarezza l'immagine. Forse era la telecamera un po' troppo lontana. Forse era il suo cervello che cercava di proteggersi.
-Haz, è tutto a posto?-
Si girò verso Liam, facendo segno di sì con la testa. Tutto a posto. Neanche fosse stato una stanza che dovesse essere rimessa in ordine.
Chissà, forse era così. Era stato in disordine per tanto tempo, in fondo. Anche prima. Anche quando non voleva vederlo, anche quando non voleva accorgersene. Ora, forse, stava mettendo a posto. Non del tutto. Non benissimo. C'erano ancora calzini nell'ingresso e bambini aggrappati alle gambe. Ma poteva lavorarci, no?
-Guardate, c'è papà!- Julian battè le mani, poi indicò lo schermo con l'indice.
-Papà-papà!- cinguettò anche Leah, in bilico sulle ginocchia di Zayn. Rideva, e non rideva da tanto.
Harry incrociò le braccia al petto, fingendo di ignorare lo sguardo inquisitorio di Liam e concentrandosi semplicemente sulla sagoma del suo ex-marito.
Lo stavano inquadrando, mentre lo speaker parlava di lui.
"....Louis Tomlinson, con la maglia numero 10, detiene il record di goal segnati nello scorso campionato, ha vinto il Pallone d'Oro e promette faville per questa nuova stagione!"
Harry deglutì. Sembrava un estraneo, quello che ora correva sul campo da calcio, e non lo stesso uomo con cui aveva condiviso promesse su una spiaggia al tramonto, con cui aveva costruito una casa, con cui aveva avuto tre figli. Gli aveva sempre fatto quell'effetto, mentre giocava, anche quando stavano insieme.
E ora, ora che era finito tutto, vederlo lì, con la maglietta rossa e blu, i capelli giusto un po' troppo lunghi tirati indietro con una fascetta, era ancora più assurdo. Harry si chiese da quanto portasse i capelli così. Si chiese se quella fascia fosse una delle sue. Si chiese dove avesse messo la fede.
Soffiò l'aria tra i denti. C'era un maledetto motivo per il quale non guardava le partite.
Con la coda dell'occhio vide Leah spiaccicare un boccone di pancake sui jeans sicuramente costosissimi di Zayn, che si limitò a sospirare rassegnato. Dio, a volte pensava che quei tre terremoti fossero davvero l'unica cosa che gli fosse riuscita bene nella vita.
Che a lui e a Louis fosse riuscita bene, visto che in qualche modo erano riusciti a rovinare tutto il resto.
Un minuto dopo l'arbitro diede il fischio di inizio, e i giocatori si sparsero per il campo. Louis, manco a dirlo, intercettò subito la palla, scatenando gli urletti di Julian. Non sarebbe dovuta essere una partita difficile, giocavano contro la squadra che l'anno prima era arrivata penultima in campionato. Harry lo sapeva perché suo figlio e Niall erano sempre informatissimi al riguardo, e tendevano a condividere certe informazioni basilari.
-A destra, papà!- strillò Julian, neanche Louis avesse potuto sentirlo -C'è uno spazio!-
Fissò l'uomo che veniva inquadrato di tanto in tanto nello schermo. Quello che era stato il suo uomo.
Il suo tutto. Il suo migliore amico. Suo marito. Il padre dei suoi figli.
Quello che aveva perso lentamente, senza nemmeno rendersene conto.
Harry aveva diciotto anni, la prima volta che aveva visto Louis Tomlinson. A dire il vero, di lui non sapeva molto, a parte il fatto che fosse il primo calciatore dichiaratamente omosessuale, quello che era stato talmente tanto coraggioso da fregarsene dei pregiudizi, delle etichette, dicendo a chiare lettere, in diretta televisiva "quello che conta è dove butto la palla, non dove metto il mio ...", prima che la giornalista tagliasse bruscamente il servizio.
Era stato un incontro assurdo, organizzato grazie a Robin, il patrigno di Harry, che lavorava nell'amministrazione del Manchester United, squadra per la quale all'epoca giocava Louis. L'aveva portato ad una festa organizzata per la vittoria del campionato, e lui aveva intercettato il suo sguardo dall'altra parte della stanza. Ad Harry erano tremate le ginocchia, nel vedere quegli occhi assurdamente azzurri, e avrebbe potuto giurare di essersi innamorato di lui in quell'istante esatto.
Non si erano rivolti la parola, quella prima sera, ma a Louis non ci era voluto molto prima di fare in modo di avere il suo numero di telefono. Era sempre stato piuttosto intraprendente. Tre anni più tardi, si erano sposati su una spiaggia alle Bahamas.
Ad Harry quelle cose sembravano essere accadute ad un'altra persona. Quando aveva promesso a Louis amore eterno, ci aveva creduto con ogni fibra del suo essere. Anche perché, dannazione, erano perfetti insieme. Mai un litigio, mai un'incomprensione, mai uno screzio.
Forse era stato quello il problema. Forse, se si fossero lanciati dei piatti, invece che nascondersi dietro un "va tutto bene", non sarebbero arrivati a quel punto. Non sarebbero arrivati ad avere due vite totalmente separate.
Chiuse gli occhi per un attimo, ignorando la debole fitta al petto che avvertiva ogni volta che quel pensiero gli attraversava la mente, quindi sospirò a fondo.
-Chi vuole un po' del succo di frutta che hanno portato gli zii?- chiese a quel punto, alzandosi dal divano.
Leah e Julian alzarono di scatto la mano, subito imitati da Niall. Lui sorrise, e andò verso la cucina.
Aveva appena aperto il frigorifero, fingendo di essere Zayn per avere un indizio su dove avesse potuto mettere i succhi, visto che non sembravano essere da nessuna parte, quando sentì dei passi alle sue spalle.
Liam, intuì, senza nemmeno doversi girare per esserne certo.
L'essere padre acuiva un po' tutti i sensi, lo pensava già da un po'. Doveva accadere per forza, quasi una tappa obbligata, altrimenti non ne sarebbe potuto uscire vivo. Orecchie più fini, per distinguere il pianto da "ho fame, dov'è il mio biberon?" da quello da "ho combinato un guaio e mi sento in colpa", e occhi più aguzzi per prevedere qualsiasi potenziale pericolo. Harry non avrebbe mai immaginato quante trappole potenzialmente mortali potessero esserci in una stanza.
-Sono nell'armadietto a destra- disse intanto Liam, per l'appunto.
Harry lo aprì, ed ecco lì le tre bottiglie, ordinate in fila.
-Ero sicuro le avesse messe nel frigo- commentò, afferrandole una per una.
-Poi ci ha ripensato- sorrise Liam, sedendosi dietro il bancone -Dice che i bambini piccoli non devono bere liquidi troppo freddi-
-Zayn la puericultrice- ridacchiò Harry, voltandosi verso l'amico.
Liam scosse la testa, evidentemente rassegnato, mentre lui prendeva i bicchieri e li disponeva sul vassoio.
-Sentono la mancanza di Louis-
Harry cercò di non dare a vedere l'effetto che gli fecero le parole di Liam, limitandosi a versare il succo di frutta in modo che ce ne fosse la stessa quantità in ogni bicchiere. Era diventato bravo ad evitare le discussioni inutili, con il tempo.
-Lo so- mormorò poi, quando fu chiaro che avrebbe dovuto dire qualcosa.
Sapeva che Liam non fosse come Gemma, pronto ad addossare le colpe di tutto a Louis. Forse anche per questo, parlare con lui sembrava molto più facile.
-Sai, io credo che il problema sia che Louis è sempre stato poco a casa- mormorò, giocando nervosamente con l'orlo del vassoio -Quindi dopo la separazione non hanno avvertito una differenza così netta. E questo ha solo reso tutto più confuso-
-Può darsi- sospirò Liam -Personalmente però, credo anche sia il fatto che ora siano bloccati qui. Prima vi muovevate per ogni partita di Louis, lo seguivate. E ora non più-
-Lee, già prendere un aereo, per quanto privato, con due bambini piccoli, una settimana sì e una no, era abbastanza impegnativo. Con tre sarebbe stato un suicidio. Per non parlare del mio lavoro. Già ho dovuto accettare un compromesso per lui, continuare a rincorrerlo per il mondo stava rovinando la mia carriera e...-
-Haz, tranquillo- lo bloccò Liam, alzando una mano, pacatamente -Non ti stavo criticando-
Harry si morse il labbro, imponendosi di calmarsi.
-Scusami- disse infine -È che so tutte queste cose. Julian ha riempito la camera di poster, ancora più di prima. Leah ha ricominciato a piangere se si sveglia al buio. E Blake...Blake ha mosso i suoi primi passi, e sai chi c'era con lui? Mia sorella. Per fortuna che le è venuto in mente di girare un video, che io ho mandato a Louis, almeno siamo riusciti a non perdercelo del tutto-
L'espressione di Liam era la più comprensiva possibile, ma nemmeno quella servì a non farlo sentire un pessimo, pessimo padre.
Dare sicurezza ai suoi figli e renderli felici: era quello che contava, nient'altro. Eppure non ne era in grado.
-Non mi hai più detto come è andata con l'ultimo tizio con cui sei uscito- disse a quel punto Liam, sforzandosi evidentemente di alleggerire l'atmosfera -Com'è che si chiamava?-
-Xander- borbottò Harry -E non ti ho più detto nulla perché non è andata, affatto-
-Ma come?- si stupì Liam -Zayn mi ha raccontato di averlo intravisto quella sera, quando ti ha riaccompagnato a casa. Ha detto che sembrava molto carino-
Lo disse come se l'opinione di Zayn fosse sufficiente per tutto.
-Lo è- asserì Harry, passandosi una mano tra i capelli -Ma Lee...è un giocatore di football americano-
-E quindi?-
-E quindi?- ripetè Harry, eloquente -Non pensi che io abbia già dato, con gli sportivi?-
Vide che Liam cercava di trattenere un sorriso, così abbozzò quella che dovette risultare come una smorfia.
Lui odiava, gli sport. Tutti. A parte il golf, probabilmente. Louis invece, amava gli sport. Tutti. A parte il golf, probabilmente.
Harry a volte si chiedeva ancora come diamine avessero fatto ad incastrarsi, un tempo. Forse non l'avevano mai fatto. Forse si erano solo consumati a vicenda, fino a spegnersi.



I primi mesi senza Louis, per Harry erano stati duri. Certo, il suo ex-marito non era mai stato uno con gli orari di un impiegato di banca, ma almeno quando giocava nel Chelsea tornava a casa tutte le sere, e riusciva anche a portare i bambini all'asilo. La loro vita era frenetica, piena di impegni, ma ad Harry andava bene così.
Lui e Louis se la cavavano, riuscivano a ritagliare qualche momento solo per loro, i bambini stavano bene. A conti fatti, non gli dispiaceva nemmeno troppo il fatto di aver riposto qualche sogno nel cassetto, in attesa di tempi migliori.
Tutti i problemi, però, erano cominciati quando era arrivata l'offerta del Barcellona. Non che fosse stato un fulmine a ciel sereno, naturalmente, la carriera di Louis era ormai costellata di successi, la sua ascesa incredibile. Era chiaro che la meta fosse quella, era il suo grande sogno. Era tutto ciò per cui aveva lavorato, sudato, sperato.
Se Harry chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere l'espressione felice di Louis, la sua soddisfazione, il suo orgoglio.
E la propria vergogna, nello scoprirsi invidioso di lui. Nel provare risentimento, perché lui aveva ottenuto tutto, tutto ciò che avrebbe potuto volere dalla vita. Una bella casa, un marito amorevole, dei figli splendidi. E ora anche la realizzazione di quell'ultimo sogno.
Stava lì, Louis, in quella stessa cucina, aspettandosi che lui gli sarebbe saltato al collo, che avrebbe festeggiato senza obiettare. Che l'avrebbe seguito, senza obiettare. Che avrebbe sradicato tutta la famiglia per lui, senza obiettare.
Ma non era così semplice. Avevano costruito una vita intera, lì a Londra. Il suo lavoro stava andando bene. Julian e Leah andavano all'asilo, Blake all'epoca aveva solamente cinque mesi. Non era così semplice, dannazione.
-A che pensi, Harry?-
Alzò il viso verso Liam, che lo guardava con un'espressione incuriosita. Evidentemente doveva essersi assentato giusto per un po' troppo tempo.
-Secondo te ho sbagliato a non seguire Lou a Barcellona?-
Liam sembrò esitare, ma non era da lui parlare a sproposito, quindi scelse con cura le parole.
-Credo tu abbia avuto le tue buone ragioni- disse infine -Personalmente, seguirei Zayn in capo al mondo, quando ricomincerà il tour, se ce ne fosse bisogno, ma la nostra situazione è decisamente più semplice. L'unico marmocchio che dovremmo sistemare sarebbe Niall-
Harry scosse la testa, ridacchiando appena. Come la faceva facile lui. "Ti seguirei in capo al mondo" sembrava una frase così romantica, così poetica, fino a che qualcuno non ti chiedeva di farlo davvero. Solo allora, ti rendevi conto di quanto quel luogo fosse estremamente lontano. Di quante cose andassero sacrificate.
Di quanto l'ignoto potesse far paura.
-Perché me lo chiedi adesso?- domandò a quel punto Liam. Dubbio lecito, in effetti. Ormai era più di un anno che Louis era partito, solo, e dieci mesi da quando si erano lasciati definitivamente.
-Così- sospirò Harry, senza sapere cosa dire.
I primi mesi senza Louis erano stati dannatamente faticosi. Fortunatamente, suo marito viveva già in un'altra città, quindi i bambini erano stati in qualche modo protetti dalla separazione. In più, lui aveva cercato di fare le cose per bene, di non far notare loro troppo l'assenza del padre. E, grazie a questi affannosi tentativi, durante il giorno riusciva a non sentirla nemmeno lui.
La sera, però, seduto da solo nel salone vuoto, era semplicemente troppo doloroso non guardare le mensole su cui una volta stavano i mille trofei di Louis, ora desolatamente vuote. Guardare i loro occhi felici che lo fissavano dalle foto appese alle pareti, quasi volessero giudicarlo. Quasi volessero ricordargli perennemente il suo fallimento.
-Papà! Papà corri!-
Harry spalancò gli occhi, sentendo la voce acuta di suo figlio, e vide Liam fare lo stesso, cosa che lo mandò nel panico. perché Julian urlava praticamente sempre, era rumoroso proprio come Louis, ma non aveva paura di nulla. Prendeva ragni e insetti tra le mani, si buttava in piscina dove non si toccava, facendo rischiare un infarto ad Harry, non temeva i mostri sotto il letto. Adesso, però, c'era qualcosa nel suo tono, qualcosa che ad Harry ricordò istintivamente il pianto che aveva fatto quella volta in cui si era perso al parco.
Scattò verso l'altra stanza, precipitosamente, il proprio migliore amico alle calcagna.
-Che succede?- chiese, il cuore in gola, guardandosi attorno per controllare che nessuno dei tre bambini si fosse fatto nulla.
Fortunatamente stavano bene, ma Julian puntò un ditino verso lo schermo, gli occhi lucidi di lacrime, mentre Niall gli carezzava la schiena, impotente.
-Hanno buttato a terra papà- piagnucolò il bambino -Si è fatto male-
Harry si voltò verso la televisione, ed effettivamente vide Louis a terra, gli occhi chiusi, un'espressione sofferente sul viso. Si teneva il ginocchio sinistro. I paramedici erano già sul campo.
-Come ha fatto?- si informò, cercando di suonare il più calmo possibile.
-Un idiota gli è entrato proprio sulla gamba d'appoggio- spiegò Zayn, stizzito, dondolando Leah, che era evidentemente nervosa, dopo le urla del fratello -Roba da cartellino rosso-
-Capisco- sospirò Harry, allungando una mano verso Julian, che sembrava sul punto di scoppiare in lacrime -Tesoro, vieni qui-
Il figlio obbedì, aggrappandosi a lui come ad un'àncora di salvataggio, le braccia allacciate alla sua vita e il viso affondato nella sua camicia. Gli carezzò i capelli con calma, tentando di tranquillizzarlo. Nel frattempo, era entrata una barella, sulla quale stavano caricando Louis, palesemente sofferente
Harry era preoccupato. Sapeva che Louis non fosse il tipo da sceneggiate, o da fingere un dolore più grande di ciò che era realmente, sia perché fondamentalmente era molto corretto, e sia perché sapeva che con ogni probabilità i suoi figli stavano guardando la partita, quindi non li avrebbe mai deliberatamente allarmati.
Sentì Julian tirare su col naso discretamente, perché ovviamente non voleva farsi vedere piangere da tutti, così lo scostò appena e si chinò di fronte a lui.
-Juls, guardami- gli disse dolcemente, prendendogli il viso tra le mani, mentre la sua mente lavorava frenetica -Sono sicuro che papà stia bene, ma sai cosa posso fare? Aspetterò qualche minuto, e poi chiamerò Ben per farmi dire qualcosa. Va bene così?-
Ben Winston era l'agente di Louis, e sicuramente era in infermeria con lui, in quel momento.
Evidentemente fu il tasto giusto, quello, perché Julian annuì, più sollevato. Harry lo strinse un'ultima volta, poi lo lasciò tornare di fronte alla televisione, in modo da avere il tempo di andare a prendere il cellulare. Aspettò dieci minuti, per sicurezza, poi chiamò Ben. Fortunatamente, lui rispose al terzo squillo.
La conversazione fu piuttosto breve, a dire il vero, perché stava salendo sull'ambulanza che avrebbe portato Louis all'ospedale di Barcellona, dove sarebbe stato sottoposto ad accertamenti per una sospetta lesione al menisco.
-Il menisco?- ripetè Harry, sentendo su di sè gli sguardi dei presenti.
-Sì- confermò Ben, alzando la voce, visto che l'ambulanza era stata messa in moto, almeno a giudicare dal rumore -Non credo sia una cosa da poco, almeno così a prima vista. Il medico che era allo stadio ha detto che probabilmente sarà necessario un intervento-
Harry si morse il labbro.
-Louis odia gli ospedali- mormorò nella cornetta, stringendola spasmodicamente.
-Cosa?- disse Ben -Harry, non ti sento bene!-
-Nulla- si affrettò a dire -In quale ospedale hai detto che lo portano?-



Harry non era mai stato uno da decisioni affrettate. No, lui era uno che ponderava, programmava, valutava. Soppesava i pro e i contro, esaminava l'agenda, si domandava se una cosa potesse essere rischiosa o poco pratica.
Insomma, non era il tipo che, all'improvviso, mollava a casa i tre figli per saltare sul primo aereo diretto a Barcellona. Proprio per niente.
Eccetto che per una persona: Louis.
Il problema, quello che in definitiva caratterizzava tutta la sua esistenza, era che lui, quando si trattava di Louis, diventava totalmente irrazionale, certe volte.
Di questo si rendeva conto, mentre era in volo, solo uno zaino con un cambio di vestiti come bagaglio, ma ormai era tardi per tornare indietro.
Avrebbe fatto quello che doveva. Quello che voleva.
E poco importava se sarebbe sembrato l'ex-marito soffocante. Louis era il padre dei suoi figli, l'uomo con cui una volta aveva creduto che avrebbe diviso la sua intera esistenza. E lui odiava gli ospedali.
Neanche in un milione di anni l'avrebbe lasciato solo.
Sperò che Liam e Zayn ricordassero tutte le sue raccomandazioni smozzicate rapidamente sulla porta di casa, dove si era staccato delicatamente Leah dalla gamba. Era stato straziante vederla aggrapparsi a lui così, come se temesse di vederlo sparire per sempre.
Merda, pensò, lasciando cadere la testa contro il sedile dell'aereo. Merda. Probabilmente aveva traumatizzato la sua bambina per sempre.
Prese un respiro profondo, cercando di non pensare al fatto che Louis dovesse essere sotto i ferri, in quel momento, almeno stando al messaggio che Ben gli aveva mandato poco prima che lui salisse sull'aereo. Se non altro, non sarebbe stato solo quando sarebbe uscito, se lui si fosse dato una mossa.
Non voleva che Louis fosse solo, sembrava una cosa di essenziale importanza, adesso, tanto da essere quasi ridicola. Tanto da fargli quasi scordare che lui, invece, solo l'aveva lasciato eccome, partendo per la Spagna senza voltarsi indietro, lasciando che la loro famiglia si spezzasse, lasciando lui e i loro figli.
Harry strinse i pugni, per scacciare quel pensiero, per scacciare quella rabbia che minacciava di venire a galla, perché no.
Se l'erano promesso, quando si erano lasciati. Niente recriminazioni. Le cose erano andate così, e avrebbero dovuto semplicemente accettarlo, per il bene dei bambini. Provare a metterci una pietra sopra, senza rinfacciarsi nulla. Provare a salvare quel poco che restava.
Ricordarsi che, una volta, erano stati i migliori degli amici. Che sarebbero potuti esserlo ancora.
Per questo Harry era su quell'aereo. Per il padre dei suoi figli. Per il suo migliore amico, che aveva bisogno di lui.
Ad accompagnarlo all'ospedale fu un tassista leggermente burbero, che fortunatamente capì il suo spagnolo stentato. Era tardo pomeriggio, quando il taxi si fermò sul marciapiede di fronte all'ingresso principale. Fuori era pieno di fotografi, tutti assiepati di fronte alle porte girevoli, evidentemente in attesa di notizie su Louis.
Harry gemette tra sè, mentre pagava. Normalmente avrebbe cercato un ingresso laterale, ma aveva chiamato Ben, che gli aveva detto che Louis era uscito dalla sala operatoria, e non voleva farlo aspettare troppo. Così si infilò gli occhiali da sole sul naso e, dopo aver preso un respiro profondo, uscì.
Avanzò di qualche metro, e per diversi secondi si illuse che non l'avrebbero riconosciuto. Ma, appena un fotografo urlò il suo nome, iniziò l'assedio.
-Harry! Come sta Louis?-
-Harry sei arrivato da Londra?-
-Harry siete tornati insieme?-
Lui si limitò a rivolgere qualche debole sorriso, mentre cercava di sgusciare tra i vari microfoni. Le domande, formulate in un inglese stentato, gli rimbalzavano addosso, tutti cercavano di fermarlo o di parlargli.
-Non so ancora nulla, scusatemi- disse piano, in imbarazzo, facendosi strada verso l'ingresso. Louis gli diceva sempre che era troppo tenero con "gli avvoltoi", come li definiva lui, e che diventava una facile preda. Harry invece non ci trovava nulla di male ad essere gentile, salvo ritirare tutto quando un tabloid, anni prima, aveva definito lui e Louis i nuovi "Posh and Becks". Va bene tutto, ma essere paragonato ad una delle Spice Girl gli era sembrato giusto un po' eccessivo. Manco a dirlo, Louis era felice come una Pasqua.
Ci mise quasi cinque minuti ad entrare, e quando fu nell'atrio dell'ospedale tirò un sospiro di sollievo. Aveva dimenticato quanto potesse essere difficile gestire quei lati del lavoro di Louis. Da quel punto di vista, era felice che i bambini non dovessero farci i conti più di tanto.
-Harry!-
Si girò di scatto, e Ben gli stava correndo incontro. Lo abbracciò, leggermente impacciato, dopotutto erano davvero tanti mesi che non si vedevano.
-Come sta?- gli chiese subito, appena lo lasciò andare.
Ben gli fece cenno di seguirlo, superando poi l'accettazione e guidandolo verso gli ascensori.
-L'hanno portato in camera, sono appena stato da lui- spiegò l'agente di Louis, premendo sul pulsante di chiamata -L'intervento sembra essere andato bene-
-Sa che sono qui?- si informò Harry, mentre entravano nell'ascensore e le porte si chiudevano.
-Non gliel'ho detto- scosse la testa Ben -Lo conosci, no? Non è che sia di ottimo umore, come puoi immaginare. Sono rimasto con lui giusto lo stretto necessario per verificare che fosse vivo.-
Harry si chiese se l'altro si aspettasse una pacca sulla spalla e dei complimenti per lo sforzo, ma preferì tacere.
-I medici però lo sanno- continuò Ben -Il chirurgo che l'ha operato ti sta aspettando, ho pensato che volessi parlargli-
-Grazie- mormorò Harry, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla.
Scesero al piano di Ortopedia, dove un medico alto e robusto li stava già attendendo.
-Il Signor Tomlinson, presumo- esclamò, quando li vide. -Io sono il Dottor Walsh-
Harry annuì, evitando di correggerlo. Al contrario, gli tese la mano, che il chirurgo prontamente strinse.
-Mi è stato riferito che l'operazione è andata bene- disse Harry.
-Assolutamente- sorrise l'uomo -Ecco, mi segua da questa parte-
Lo guidò attraverso delle porte a vetri, che davano su quella che aveva tutta l'aria di essere l'area VIP del reparto. Corridoi più ampi, camere con vista, quadri alle pareti.
-La stanza di suo marito è l'ultima in fondo, la più bella- specificò, come se pensasse che quello fosse ciò che contava, in quel momento. Se Harry conosceva Louis, sapeva che stava solo pensando a quanti giorni ci sarebbero voluti prima di poter giocare, e a nient'altro -Prima però volevo parlare con lei un momento-
-Sono tutt'orecchi- annuì Harry, fermandosi e guardandolo negli occhi.
Walsh si sistemò il camice, per poi appoggiarsi al muro e incrociare le braccia al petto.
-Come ho detto, l'intervento di Louis è andato alla perfezione, solo che la lesione al menisco era un po' più seria del previsto- spiegò, serio.
-Potrà recuperare, vero?- chiese Harry, preoccupato.
Non importava se il sogno di Louis avesse oscurato il suo, se avesse distrutto la loro famiglia. Era il suo sogno, e lui si sarebbe assicurato del fatto che non lo perdesse.
-Certamente- lo rassicurò Walsh -Solo, in tempi un po' più lunghi. Qualche giorno di assoluto riposo, poi potrà passare alle stampelle e iniziare la riabilitazione. Con un po' di fortuna, tra un paio di mesi potrà ricominciare ad allenarsi, anche se solo con sforzi leggeri, all'inizio-
-Sarà difficile farglielo capire- sorrise appena Harry, decisamente più tranquillo.
-La mia domanda è: cosa pensa di fare?- chiese il chirurgo, un'espressione interrogativa -Devo far predisporre un trasferimento a Londra, al termine della degenza?-
Harry corrugò la fronte. Quello sarebbe potuto essere un problema, in effetti. Louis non aveva più casa a Londra, eppure era impensabile il fatto che rimanesse a Barcellona da solo, senza nessuno che potesse occuparsi di lui. E poi, davvero voleva negare ai suoi figli la possibilità di passare due mesi con il padre a casa, tutto per loro?
C'era una vocina, una piccola vocina, in un punto imprecisato del suo cervello, che gli diceva che forse una cosa del genere avrebbe potuto complicare ancor di più le cose, che si erano lasciati, che non sarebbe stata una buona idea vivere di nuovo sotto lo stesso tetto. Che non sarebbe stato facile mantenere le loro promesse, in quel modo.
Ma tanto, le avevano infrante tutte, che cosa sarebbe cambiato con qualcuna di più?
Avrebbe fatto i conti più tardi con le conseguenze.
-Sì, per favore- annuì allora.
-Ottimo- sorrise il medico -La lascio andare da suo marito, verrò da voi tra poco per discutere i dettagli-
Harry lo ringraziò, dirigendosi poi verso l'altra estremità del corridoio.
La camera di Louis era in fondo al corridoio. Era enorme, con una vista splendida, si dominava tutta Barcellona, oltre che l'ampio giardino che circondava l'ospedale. Ovunque, su ogni ripiano, erano già stati sistemati grandi mazzi di fiori e pupazzi, sicuramente regali della squadra e dei tifosi.
Louis era steso a letto, la gamba destra sollevata, lo sguardo perso nel vuoto. Si vedeva chiaramente che era teso, forse arrabbiato, forse triste.
Era raro vederlo così, fermo e vulnerabile, così Harry aspettò un istante, prima di entrare. Louis viveva la vita con il pedale dell'acceleratore sempre premuto, era difficilissimo stargli dietro. Harry a volte si sentiva come se il loro rapporto non fosse stato altro che un'infinita rincorsa, neanche fosse destino che dovesse finire così.
Vide Louis sospirare, e gli si strinse il cuore, perché sembrava vulnerabile, e tremendamente solo. Non c'era dubbio, a questo punto, su quale versione di lui preferisse.
Delicatamente, con le nocche, battè un paio di volte contro la porta, e il suo ex-marito si girò di scatto verso di lui.
Era assurdo, perché era la stessa identica persona che aveva visto in televisione solo poche ore prima, eppure sembrava già notevolmente diverso. Forse perché adesso era reale. Forse perché adesso non era un qualunque calciatore su uno schermo. Forse perché adesso i suoi occhi azzurri stavano guardando lui, e sembravano essere in qualche modo più caldi. Più vivi.
-Haz- mormorò Louis, quando lo mise a fuoco -Cosa ci fai qui?-
Harry entrò, sentendosi adesso leggermente in imbarazzo, come se non fosse il suo posto, come se stesse recitando un ruolo che non gli apparteneva più.
-Mi ha chiamato Ben- spiegò, passandosi una mano tra i capelli -Per dirmi dell'operazione. Cioè, a dire il vero l'ho chiamato io, stavamo guardando la partita e Julian era preoccupato-
-Oddio- scosse la testa Louis -Come sta adesso?-
-È tranquillo- lo assicurò Harry -Ma credo non lo sarà del tutto finchè non sentirà la tua voce-
Louis sorrise appena, facendo segno di sì con la testa, poi indicò ad Harry la poltrona accanto al letto.
Harry si sedette, obbediente, avvertendo lo sguardo di Louis su di sè.
Non erano più abituati a passare insieme più dello stretto necessario, e ritrovarsi lì, a un passo l'uno dall'altro, era una sensazione strana. Come se l'aria attorno a loro fosse troppo densa. Come se non fossero più gli stessi, e forse era vero.
-Come stai?- gli chiese a quel punto, dato che era la domanda più ovvia -Il chirurgo mi ha detto che recupererai del tutto-
-A quanto pare sì- sospirò Louis -Anche se non potevo scegliere un momento peggiore, dannazione. Proprio all'inizio del Campionato-
-Il tempismo non è mai stato il tuo forte- non riuscì a trattenersi dal dire Harry.
Voleva essere una battuta, ma gli uscì giusto un po' troppo secca, e infatti Louis non rise. Si limitò a guardarlo, con un'espressione vuota.
Era come se ci fosse uno spesso strato di vetro, tra loro due, che bloccava i loro respiri, i loro gesti, i loro movimenti. Come se fossero troppo cauti, come se temessero di buttarlo giù, se avessero fatto solamente un gesto sbagliato.
Non era stato così, nei mesi passati. Erano riusciti ad essere normali, insieme, tranquilli. Forse, con i bambini attorno, era stato più semplice. Forse, riuscivano a girarsi attorno senza guardarsi davvero negli occhi. Senza rimpiangersi.
-Perché sei venuto qui?- la voce giusto un po' sofferente di Louis interruppe i suoi pensieri. Il ginocchio doveva fargli davvero male.
-Secondo te?- ribattè Harry -Volevo vedere come stavi-
-Non c'era bisogno, Haz- sorrise debolmente Louis -Non mi devi nulla, non devi...-
-Louis- lo bloccò subito -Taci, d'accordo? Possiamo aver fatto un casino con il nostro matrimonio, ma siamo stati molto di più, lo sai. Sei il mio migliore amico, e avevi bisogno di me. Quindi, sono qui-
Vide Louis mordersi leggermente il labbro inferiore, e distolse lo sguardo. Nonostante tutto, forse non sarebbe mai riuscito a smettere di provare quella certa attrazione per lui, per il modo in cui si muoveva. Al diavolo.
-Senti- continuò allora, giusto per spegnere i propri pensieri -Il tuo medico ha detto che dovrai rimanere qui per qualche giorno, sotto osservazione, poi ho pensato che potresti venire a stare a casa con me e i ragazzi, durante la riabilitazione, cosa dici?-
Louis sgranò gli occhi, evidentemente sorpreso.
-Ne sei sicuro? Che sia una buona idea, intendo?- chiese, cauto.
-No- ammise Harry, trattenendo un sorriso -Ma è la cosa più logica. Tu non potrai muoverti, e non voglio che i bambini non ti vedano per due mesi, o che siano costretti a spostarsi. E poi saranno felici di averti a casa per un po'-
-Non mi riferivo ai bambini- sospirò Louis -Mi chiedevo se tu, ne fossi sicuro-
-No- ripetè Harry, stavolta più serio -Ma onestamente, siamo adulti, e mi pare che ce la stiamo cavando piuttosto bene. Sono passati dieci mesi, ormai, se non abbiamo mandato tutto a puttane finora, forse ci siamo lasciati la parte peggiore alle spalle, non credi?-
Louis annuì.
-Ottimo- annuì Harry -Senti, ho l'aereo tra un'ora, sarà meglio che vada. Ho promesso a Leah la favola della buonanotte-
Louis lo guardò, gli occhi azzurri adesso spalancati, chiaramente spaventato.
-T...torni a Londra?- mormorò.
-Devo- spiegò Harry, alzandosi -Ho anche del lavoro da fare, domani. Sistemerò i dettagli per il tuo trasferimento, e ci raggiungerai a casa tra qualche giorno-
-Io non...- la voce di Louis era agitata -Non lasciarmi qui da solo per giorni, ti prego-
Era nervoso, e non era da lui. Louis non perdeva facilmente il controllo, ma ora le sue mani erano serrate spasmodicamente sulle lenzuola, il volto pallido.
-Lou- disse Harry, paziente, sedendosi ora sulla sponda del letto, con una naturalezza che lasciò lui stesso spiazzato -Non posso stare qui, dai...-
-E allora portami con te- lo pregò Louis -Impazzirei qui dentro, lo sai-
Harry lo guardò per qualche istante. Sì, lo sapeva. Louis detestava, gli ospedali. Era una cosa più forte di lui, una cosa che si portava dentro fin da quando era solo un ragazzino e aveva visto morire suo nonno, in uno di quei letti. Una paura totalmente irrazionale, ma con la quale non era mai riuscito a convivere. Già si era sforzato in modo disumano di entrare in un ospedale per la nascita dei loro tre figli. Quindi sì, Harry sapeva quanto potesse angosciarlo la prospettiva di doverci rimanere per giorni.
-Stai facendo i capricci- disse invece, cercando di mostrargli che non era niente di che, in fondo -Sarà per poco tempo, e sai che starei qui, se potessi. Ma non vuoi nemmeno tu che lasci i bambini senza nessuno di noi due a casa-
-No- confermò Louis, chinando il capo.
Harry scosse la testa, rassegnato. Lo conosceva come le sue tasche.
-Resisti solo un po', ok?- cercò di blandirlo a quel punto. Poi, in un impeto di affetto, gli prese il volto tra le mani e gli depose un bacio sulla fronte.
Si alzò, e avvertì gli occhi di Louis seguirlo, mentre si voltava e si allontanava.
-Haz?- si sentì richiamare allora.
-Sì?-
-Grazie- mormorò Louis, con voce sottile.
Scrollò le spalle, senza sapere cosa dire, e si avviò verso la porta. Aveva già una mano sulla maniglia, quando si ritrovò ad essere fisicamente incapace di aprire quella porta. Non riusciva a lasciarlo lì. Non riusciva a tornarsene a Londra sapendo Louis solo e spaventato in quel letto, nonostante sapesse che il problema fosse solo nella sua testa, e che i dottori si sarebbero occupati di lui in modo eccellente.
-Fanculo- sibilò tra i denti. Non era più abituato a dire parolacce, si controllava sempre al massimo quando era a casa. I bambini piccoli erano come delle spugne, assorbivano tutto, con una particolare inclinazione a sentire quello che non dovevano.
-Scusa?- sentì borbottare Louis alle sue spalle.
Harry tamburellò con le dita sulla maniglia per qualche istante, prima di voltarsi.
-Vado a cercare un'infermiera- disse a quel punto, guardando Louis -Ti porto a casa-




Non era stato facile convincere il Dottor Walsh a dimettere Louis prima del tempo. A dire il vero, avevano dovuto firmare una marea insormontabile di carte, nelle quali per lo più si declinava l'ospedale da qualsivoglia responsabilità. Evidentemente, nessuno voleva avere sulle spalle le sorti di uno dei più forti attaccanti del mondo.
A parte Harry, chiaro.
-Mi sono fatto mettere in contatto con il miglior ortopedico di Londra- spiegò a Louis, mentre l'ambulanza che era arrivata a prenderli all'aereoporto si fermava davanti alla villa -Da domani si occuperà lui di te. E per favore, non fare stronzate nel frattempo, d'accordo? Altrimenti Winston vorrà la mia testa-
-Sempre drammatico- scrollò le spalle Louis.
-Tu non hai visto come mi guardava, prima- protestò Harry -Probabilmente sarebbe stato più comprensivo se ti avessi direttamente rotto il menisco un'altra volta-
-Prometto che ti difenderò, se si presenterà qui con una sciabola per tagliarti la testa, d'accordo?- sogghignò Louis.
Harry sospirò, guardando fuori. Fortunatamente, erano riusciti a depistare la stampa, e nessuno si aspettava che Louis rientrasse a Londra così presto, quindi davanti al cancello non c'era nessuno. Potevano uscire con calma.
C'era Paul Higgins, il loro addetto alla sicurezza, in piedi davanti al cancello.
-È un piacere rivederti, Louis- esclamò, quando se lo ritrovò davanti, seduto su una sedia a rotelle, nonostante le sue rimostranze.
-Anche per me- rispose l'altro, mentre Harry prendeva il proprio zaino e la valigia di Louis, passandoli a Paul.
-I miei ragazzi come se la sono cavata?- chiese l'uomo, guidandoli verso il cancello.
C'era buio, e l'aria di Londra era piuttosto fredda. Harry, nel dubbio, si sfilò la giacca e la mise sulle spalle di Louis che, testardo come sempre, indossava solo una felpa.
-Haz, sto benissimo...- provò a protestare lui, ma venne zittito da un'occhiata imperiosa -Comunque sì, Paul, sono grandiosi-
Erano stati Alberto e Preston a seguirlo a Barcellona, aveva preferito lasciare Paul a Londra con Harry e i loro figli, visto che era una delle persone di cui si fidava di più.
Il cancello si aprì cigolando, e Harry spinse la sedia di Louis attraverso il giardino.
Cercò di non pensare alle infinite volte in cui avevano fatto insieme quel percorso. La prima di tutte, quando la casa era ancora in costruzione, e loro erano andati a vederla, per verificare se stesse venendo fuori come nel loro progetto. E poi dopo sposati, quando Louis aveva insistito per portarlo in braccio fino alla porta, ma dopo due metri erano miseramente caduti a terra. E anche, naturalmente, quando erano tornati a casa con Julian, e poi Leah, e poi Blake.
Stavolta era diverso. Non avevano mai fatto quel percordo così, insieme, eppure separati.
Solo in quel momento lo colpì davvero l'idea che avrebbero passato due mesi in quella casa, la loro, quella dove erano stati felici. Sarebbero stati tutti e cinque insieme, di nuovo come una famiglia, senza esserlo per davvero. Era potenzialmente un disastro di proporzioni cosmiche.
Eppure, nonostante quella consapevolezza, non riusciva a rimpiangere la propria decisione. Louis aveva bisogno di lui, sarebbe stato un periodo tremendamente difficile, e voleva esserci. Voleva aiutarlo, rendere la riabilitazione più sopportabile. Si era occupato di lui per anni, non poteva semplicemente scrollarsi di dosso quell'abitudine.
Arrivarono alla porta d'ingresso, e Harry armeggiò con le chiavi per un po', come al solito, prima di trovare quella giusta.
Girandosi, incrociò l'espressione divertita di Louis.
-Non dire una parola- lo ammonì, sbagliando l'ennesima chiave.
-Non ho aperto bocca- ribattè Louis, l'ombra di una risata nella voce.
Harry alzò gli occhi al cielo, e finalmente riuscì ad aprire la porta.
Paul sistemò le borse nell'ingresso, poi se ne andò, lasciando modo a Harry di spingere la carrozzina nell'ingresso. Si stava giusto liberando dello zaino, quando sentì il rumore di due paia di piedini che correvano nella loro direzione.
-Papà! Papà!-
Leah e Julian sbucarono dal salotto, e li raggiunsero in un batter d'occhio. Julian praticamente si tuffò addosso a Louis, saltandogli in braccio senza troppo riguardo.
-Attento al ginocchio di papà, tesoro- lo ammonì Harry, poi si chinò, perché Leah, invece, si era diretta verso di lui, e ora si aggrappava ai suoi pantaloni.
La prese in braccio delicatamente, e lei affondò le piccole dita tra i suoi capelli.
-Ciao principessa- le mormorò all'orecchio -Come stai?-
-Bene- rispose lei, con voce sottile, stringendolo spasmodicamente.
-Dove sono gli zii?-
-Dormono sul divano con Blay-
Harry ridacchiò, cullando la figlia. Nel frattempo, lanciò un'occhiata a Julian, che stava bombardando Louis di domande, sulla partita, sull'intervento, sulla Spagna, senza dargli effettivamente tempo di rispondere ad alcuna di esse.
-Juls- lo richiamò Harry -Lascia respirare papà, è stanco morto. E per te e tua sorella è passata da un pezzo l'ora di andare a dormire-
-Haz, non preoccuparti- cercò di blandirlo Louis.
-Sì, invece, mi preoccupo- lo bloccò Harry, per nulla conciliante -Tu devi metterti a letto con il ghiaccio sul ginocchio, e questi due hanno degli orari da rispettare. Forza Juls, vai a metterti il pigiama-
Suo figlio mugolò qualche protesta, prima di dirigersi al piano di sopra. Gli dispiaceva fare il poliziotto cattivo, ma ci aveva messo mesi prima di riuscire a stabilire un po' di ordine tra quelle mura. Col cavolo che ora avrebbe lasciato che Louis scombinasse tutto. Col cavolo.
-Ehi- esclamò a quel punto Louis, alzando lo sguardo verso Leah, ancora in braccio ad Harry -Non mi saluti, principessa?-
Harry fece per staccare da sè la figlia ma, inaspettatamente, lei si aggrappò a lui ancora di più, le palpebre serrate. Lui si sorprese di quell'atteggiamento, ma non le disse nulla, limitandosi a rivolgere un'occhiata interrogativa a Louis, che lo fissava di rimando, confuso. Calò il gelo, tra loro, per un attimo.
A Harry si strinse il cuore, nel vedere l'espressione chiaramente ferita di Louis, così cercò di sembrare il più tranquillo possibile, mentre staccava una mano dalla schiena di Leah per posargliela sulla spalla.
-Dalle tempo- gli sillabò con le labbra, e Louis annuì, rigido.
Giusto in quel momento, un gran trambusto risuonò dal salotto, ed ecco Liam e Zayn, finalmente svegli, comparire davanti a loro.
-Meglio tardi che mai- esclamò Harry, mettendo a terra Leah, che comunque non si allontanò di un millimetro. Zayn gli fece una linguaccia, Liam abbozzò un sorriso di scuse, poi entrambi abbracciarono Louis.
-Blay è sul divano che dorme- disse poi Liam, mentre Zayn e Louis parlottavano tra loro, le teste vicine -Avete mangiato?-
-Ci hanno dato la cena in aereo- rispose Harry, togliendosi la giacca ed appendendola.
Quando si voltò di nuovo verso l'amico, lo scoprì a fissarlo con aria scrutatoria.
-Va tutto bene?- gli chiese Liam sottovoce, in modo che nessun altro potesse udirlo.
-Chiedimelo tra qualche giorno- sospirò Harry, mentre tutta la stanchezza della giornata gli crollava addosso di colpo.
Liam e Zayn andarono via subito dopo, giusto mentre Julian tornava di sotto e si sedeva sul bracciolo della carrozzina di Louis, in attesa.
Harry si guardò attorno, desolato. Solo ora, in piedi nell'ingresso, i suoi figli e il suo ex-marito a fissarlo come se aspettassero solo una sua mossa, capiva la portata del casino in cui era andato a mettersi.
-Dunque- esordì allora, perché ormai era diventato un esperto nella gestione di ogni genere di problema -Bambini, date un bacio a papà e andate di sopra che è tardissimo, vengo a darvi la buonanotte io dopo, ok?-
-Ma io...- iniziò a protestare Julian, ma Harry lo zittì con un'occhiata.
-Lo vedrai domani, non va da nessuna parte- gli assicurò, mentre Louis stava stranamente zitto -Però per ora non può fare le scale, quindi dovrai accontentarti, tesoro. Forza, fai il bravo e porta tua sorella con te-
Julian sembrava sul punto di dare battaglia, ma evidentemente parve intuire che non sarebbe mai riuscito ad averla vinta, perché afferrò la manina di Leah e mogio mogio salì le scale.
-Certo che sai come farti ascoltare- esclamò Louis, ammirato -Se ci fossi stato io, saremmo finiti a giocare con la play station-
Harry ridacchiò, mentre andava a recuperare Blake. In effetti, tra loro, era sempre stato lui il genitore un po' più autorevole. Non che Louis non fosse in grado di farsi obbedire dai propri figli, anzi, le sue sgridate sapevano essere epiche, proprio perché erano rare, ma tendeva a essere più malleabile, forse perché in fondo era più bambino di loro.
Blake dormiva profondamente, i pugnetti stretti vicino al viso, così Harry lo prese in braccio delicatamente, facendo attenzione a non svegliarlo, e tornò di là. Dovette distogliere lo sguardo, quando lo passò a Louis, perché c'era troppa tenerezza e nostalgia, nel modo in cui gli sfiorò la guancia con le labbra, nel modo in cui gli prese una manina tra le dita, portandosela al viso.
-È cresciuto- mormorò piano, con voce bassa -L'ho visto solo due settimane fa, eppure sembra più grande...come è possibile?-
-L'età- alzò le spalle Harry -Lo sai anche tu-
Louis annuì, cullando piano il suo bambino. Harry sapeva quanto fosse dura per lui stare sempre così lontano, non l'aveva mai messo in dubbio, nonostante il risentimento. Louis amava i suoi figli, li amava più di ogni altra cosa al mondo, doveva essere terribile perdersi pezzi di loro in quel modo.
-Ti sistemo nella stanza degli ospiti, va bene?- gli disse a quel punto, schiarendosi leggermente la voce -In quella con il bagno privato, qui sotto, così non avrai il problema delle scale-
-Mi sembra perfetto- rispose meccanicamente Louis, con tono neutro.
Harry si fece coraggio, e iniziò a spingere la carrozzina. Gli sembrava di stare camminando sulle uova, in una dimensione totalmente sconosciuta, quasi grottescamente comica.
-Grazie di avermi lasciato stare con i bambini- sentì dire a un tratto da Louis. Era chiaro che anche lui avvertisse quella sensazione di disagio, erano sempre stati sulla stessa lunghezza d'onda. Poteva quasi sentirla, la tensione che c'era tra loro. Poteva quasi toccarla.
-Figurati- si limitò a rispondere, vago, mentre apriva la porta della camera. Spinse Louis all'interno, poi tornò indietro a prendere i suoi bagagli e le stampelle.
Quando tornò, lo vide guardarsi attorno quasi spaesato, mentre stringeva ancora Blake. In effetti quella stanza non l'avevano mai usata molto, era quella dove si sistemavano Jay e Dan quando andavano a trovarli. Anne e Robin preferivano quella del piano di sopra. Era ampia, con un letto matrimoniale e un armadio scuro. Le pareti erano sui toni del crema, le tende a fiori. Le aveva scelte Harry, Louis le odiava.
Vide un mezzo sorriso spuntare sulle labbra dell'altro, e Harry intuì che quel pensiero stesse attraversando anche la sua mente, ma nessuno dei due aprì bocca.
-D'accordo- sospirò a quel punto, desiderando solo di poter uscire da lì il prima possibile -Vuoi che ti aiuti a...-
Si bloccò di scatto. A cosa, di preciso? A lavarti? A spogliarti? A metterti a letto?
Tutte cose che avrebbe fatto con naturalezza, fino all'anno prima, ma il fatto era che erano più di dieci mesi che non toccava il corpo di Louis e beh, era ancora decisamente strano fare i conti con quella realtà. Capire chiaramente di aver chiuso un capitolo delle loro vite durato quasi dieci anni. Accettare che non ci sarebbe stato nessun bacio della buonanotte, e che avrebbero dormito, soli, in due letti diversi di quella che un tempo era stata la loro casa.
-Posso arrangiarmi, non ti preoccupare-mormorò Louis, chiaramente in imbarazzo.
Harry avrebbe tanto voluto annuire e andare via, ma sapeva di non poterlo fare.
-Non essere ridicolo- sbottò allora -Come credi di poterti togliere i pantaloni?-
Senza dargli tempo, prese Blake e lo adagiò tra i cuscini, quindi aiutò Louis a sedersi sul letto.
Cercando di mantenere la mente sgombra, si inginocchiò di fronte a lui e, con più delicatezza possibile, gli sfilò i pantaloni della tuta.
-Fa male?- chiese, vedendo che Louis non riusciva a trattenere una smorfia.
-Un po'- fu la risposta -Ma passerà-
Harry piegò i pantaloni e li posò sul cassettone lì accanto, poi aprì la valigia di Louis e cercò quelli del pigiama. Lo aiutò ad infilarli, attento a non sfiorare la sua pelle nemmeno per sbaglio, perché non era certo di poterlo sopportare. Già il fatto di stargli così vicino, di occuparsi di lui, metteva a dura prova le sue facoltà mentali. Già era troppo.
-Grazie, da qui posso farcela da solo- disse Louis, quando ebbe addosso i pantaloni, evidentemente anche lui per nulla a suo agio in quella situazione.
Harry annuì, alzandosi di nuovo e dondolando sulle proprie gambe, non del tutto certo su come avrebbe dovuto comportarsi.
Fu Louis a spezzare il silenzio.
-Comunque volevo dirti che, se dovessi cambiare idea... ecco, posso sempre andare a stare da mia madre-
Harry esitò per un attimo. Johanna viveva ancora a Doncaster, e in effetti sarebbe stata un'opzione ben più accettabile rispetto al lasciare Louis da solo a Barcellona. Avrebbe mentito, se non avesse ammesso di aver considerato per un attimo la cosa. Poi, però, ripensò all'espressione contenta di Julian, al modo in cui Louis avesse accarezzato Blake, come se fosse un cristallo delicatissimo. Ripensò persino all'ostinata cocciutaggine di Leah. Doveva fare qualcosa, per tutto ciò. Doveva concedere ai suoi figli quei due mesi.
-Neanche per sogno- disse allora -E poi questa è anche casa tua-
Era vero. Quando si erano separati, era stato ovvio che fosse Harry a rimanere lì con i bambini, visto che Louis viveva a Barcellona, ma di fatto la villa apparteneva ad entrambi.
-D'accordo- sorrise finalmente Louis -Ora, se non ti dispiace, dovrei finire di cambiarmi-
Harry deglutì, poi annuì. Avrebbe voluto fare una qualche battuta, per esempio dirgli che tanto non aveva nulla di nuovo che non avesse visto, ma rimase zitto. Forse era ancora troppo presto. Forse non sarebbero mai riusciti per davvero a scherzarci sopra.
Perché la verità era che era stato un fallimento. La verità era che lui ci aveva creduto davvero, a quello stramaledetto per sempre.
Prese Blake in braccio e, dopo aver augurato a Louis la buonanotte, uscì dalla stanza.
Sospirò appena, quando si chiuse la porta alle spalle. Doveva trovare un modo, capire come diamine avrebbe dovuto comportarsi. In quella stanza c'era l'uomo che aveva amato disperatamente per anni interi, ma che ora avrebbe dovuto, per il bene di tutti, essere per lui solo il grande calciatore che era, e il padre dei suoi figli. Nient'altro.
Era difficile, pensò, mentre saliva le scale, non chiedersi come diavolo fossero arrivati lì. Perché non avessero combattuto. Perché avessero raggiunto il punto in cui evidentemente si erano resi conto che non fosse rimasto nulla che valesse la pena salvare.
Mise Blake nel suo lettino, poi passò a controllare Julian, ancora sovraeccitato, e Leah, ancora stranamente chiusa in se stessa. Ci avrebbe pensato domani, con calma. Ora sentiva che la testa fosse sul punto di scoppiare.
Una volta in camera propria, finalmente solo, si sedette a terra, il capo tra le mani. Era più facile ammettere di sentire la mancanza di Louis, quando lui era a centinaia di chilometri di distanza, e non al piano di sotto. Era più facile convincersi di stare bene anche da solo. Era più facile costruirsi una vita da capo, senza la costante prova davanti agli occhi di aver sbagliato tutto.



La mattina seguente la sveglia di Harry suonò decisamente troppo presto. Gemette, rotolando su un fianco, e trattenne bruscamente il fiato quando si accorse di non essere solo, nel suo letto. Aprì piano gli occhi, e vide Leah, raggomitolata sotto le coperte.
Grandioso, pensò, ci risiamo.
La scosse piano per svegliarla, e sorrise debolmente quando la bambina spalancò gli occhioni.
-Buongiorno amore- le disse, carezzandole i capelli.
-'Giorno papino-
Harry le diede un bacio sulla fronte, senza menzionare il fatto che fosse nel suo letto. Sophia gli aveva detto che era meglio non sollevare la questione esplicitamente, e così fece. Si alzarono entrambi, e per mano scesero a fare colazione, bussando strada facendo alla porta di Julian per svegliarlo, e fermandosi in camera di Blake.
La mattina era sempre un delirio. Per quanto Harry facesse il possibile per essere organizzato, prepararsi per il lavoro e al contempo occuparsi di tre bambini non era affatto semplice.
Per di più, c'era Louis che non era ancora del tutto autosufficiente.
-Juls, chiama papà d'accordo?- chiese Harry, mettendo sul fuoco il pentolino del latte -Digli che c'è la colazione pronta-
Passò il biberon a Blake, sul seggiolone, e iniziò ad apparecchiare. Cinque minuti dopo tornò Julian, accompagnato da un Louis decisamente più riposato rispetto alla sera prima, che saltellava puntellandosi alle stampelle.
-Dovresti usare la carrozzina ancora per un paio di giorni- osservò Harry, contrariato, indicandogli di mettersi a tavola.
-Per fare tre metri?- ribattè Louis, scrollando le spalle.
Harry non si sprecò a contraddirlo, non aveva nè tempo nè voglia.
-E i pancakes?- protestò Leah, quando mise sulla tavola i biscotti.
-Solo la Domenica, principessa, sai le regole- rispose rapido Harry, asciugando la bocca a Blake, mentre Louis scherzava con Julian. Lanciò una rapida occhiata all'orologio: le sette e un quarto. Se si fossero dati una mossa, forse sarebbero riusciti a non arrivare in un ritardo astronomico.
La teiera fischiò giusto in quel momento, Harry versò l'acqua bollente in una tazza, vi affondò una bustina di the e lo servì a Louis.
-Yorkshire Tea?- chiese quest'ultimo, inarcando un sopracciglio, evidentemente sorpreso.
-Ne avevamo ancora un pacco, nell'armadio- si limitò a spiegare Harry. Nessuno di loro lo beveva, ma lui non era mai riuscito a buttarlo via.
Finalmente si sedette a sua volta, a capotavola. Leah e Julian erano ai suoi lati, Louis esattamente di fronte. Si sporse per prendere un po' di marmellata, quando suo figlio sganciò la bomba.
-Perché papà dorme nella camera degli ospiti?- chiese Julian, candidamente, guardando alternativamente prima l'uno e poi l'altro -Perché non dormite insieme?-
Harry si morse il labbro, in crisi. Ecco l'ennesima prova di quanto le sue decisioni avventate avessero messo in crisi i loro figli. Mentre cercava disperatamente una risposta adeguata, però, fu Louis a rispondere.
-Perché noi non siamo più una coppia- disse, cercando evidentemente di suonare il più logico possibile -Ci vogliamo tanto bene, siamo amici, e siamo i vostri genitori. Questo non cambierà mai, Juls, te l'ho detto. Però non stiamo insieme-
-Ma sei qui a casa ora...- obiettò Julian.
-Solo per un po', tesoro- mormorò Louis -Visto che starò a Londra un paio di mesi, io e papà abbiamo pensato che sarebbe stato bello stare tutti insieme. Siamo amici, non vedi?-
Julian parve considerare la cosa per un po', poi annuì, ma non sembrava molto convinto. Harry era piuttosto certo che avrebbe dovuto aspettarsi un fuoco di domande, prima o dopo. Sospirò, volgendo tristemente lo sguardo verso Leah, che teneva il viso puntato nella sua tazza.
Cosa diamine stava succedendo? Fino a ventiquattro ore prima la sua preoccupazione principale era il pannolino di Blake e la prospettiva di dover vedere una partita di calcio, e ora si trovava alla stessa tavola di Louis, come se gli ultimi mesi non fossero passati. Assurdo. E avrebbe pure dovuto chiamare Sophia.
Appena i bambini furono pronti, li spedì di sopra a lavarsi, e iniziò a sparecchiare. Vide Louis iniziare ad alzarsi, ma lo bloccò subito.
-Dove credi di andare?-
-Ti aiuto- spiegò logicamente Louis.
-Non se ne parla- sbottò Harry, prendendo le tazze e mettendole nel lavandino -Non per due giorni almeno. Poi, se il dottore dirà che stai guarendo bene, potrai saltellare dove ti pare-
Louis sbuffò, in un modo che una volta lui avrebbe trovato adorabile, e si risedette.
-D'accordo, ora io porto i bambini a scuola e vado al lavoro- annunciò Harry -Sono riuscito a liberarmi un po' questa settimana, quindi all'ora di pranzo vado a prenderli e torniamo qui. Stamattina dovrebbe venire Niall, nel caso avessi bisogno-
-Non ne ho bisogno- obiettò Louis.
-Senti- sospirò Harry, cercando di non perdere la pazienza -Hai fatto un intervento ieri, quindi tu adesso andrai sul divano con del ghiaccio e non ti muoverai di lì fino a nuovo ordine, sono stato chiaro?-
Lui e Louis si fissarono per qualche istante, con aria di sfida, ma alla fine l'altro annuì, roteando gli occhi.
-Ottimo- cinguettò Harry, tirando su Blake dal seggiolone e avviandosi di sopra per cambiarlo. Nel frattempo, cercava di non pensare alla voce di Jay che diceva che Louis non avesse mai dato retta a nessuno, fatta eccezione per lui.



C'era un certo momento della giornata, all'incirca a metà strada tra la scuola materna dove lasciava Leah e l'asilo nido di Blake, in cui ad Harry sembrava di essere un tassista. Niente di più e niente di meno. Il suo compito era solo quello di trasportare i bambini, di farli arrivare a destinazione sani e salvi, oltre che il più possibile in orario.
Anche per questo motivo, si sentiva sempre stranamente sollevato, quando entrava nello studio fotografico. Adorava quel posto, anche perché era frutto del duro lavoro suo e di Cal. Inizialmente era uno squallido monolocale di Soho, che poi, con il passare degli anni, era diventato un elegante atelier, al quale si rivolgevano tutte le più presigiose case di moda. A dire il vero, i nomi Aurand e Styles erano diventati piuttosto noti, grazie a fotografie spettacolari pubblicate sulle riviste di tutto il mondo.
Ad ogni modo, nonostante questo, se ad Harry avessero chiesto quale fosse la foto più bella che avesse mai scattato, avrebbe risposto quella alla sua famiglia, fatta sulla soglia di casa, il giorno in cui avevano portato a casa Blake. E l'aveva fatta con una semplice macchinetta digitale.
-Sarai felice di sapere- esordì Cal, già dietro il bancone, quando lo vide entrare -Che il tuo amico Saint Laurent è più che felice del nostro lavoro-
-Ottimo- esclamò Harry, lanciando la giacca sul divano e mettendosi alla scrivania. Doveva sistemare gli ultimi ordini, organizzare i prossimi servizi, chiamare qualche fornitore.
Il solito tran-tran, insomma, ma se non altro aveva la prospettiva di una camicia nuova di zecca.
-Come sta Louis?- chiese a quel punto Cal, avvicinandosi -Ho visto la partita-
Harry si morse il labbro, accendendo il computer. D'accordo, sperava almeno lì di avere un po' di pace, ma quelli erano i problemi di quando si aveva un ex-marito famoso a livello internazionale.
-Si è rotto il menisco, due mesi di stop- riassunse, secco -Ora è a casa, starà con me e i bambini durante la riabilitazione-
Lo disse con tono leggero, sperando che suonasse casuale, ma evidentemente dovette fallire nel suo intento, perché il suo collega lo raggiunse a grandi passi, sedendosi sul bordo della scrivania, e coprendogli la visuale dello schermo.
-Cosa?- sbottò -E lo dici così, come se niente fosse?-
-Io veramente stavo...- provò a dire Harry, ma sospirò rassegnato -E va bene, lo dico così, perché sì, non è poi questo grande problema. È Louis, in fondo-
-Già, Louis, lo stesso dal quale stai divorziando- osservò Cal -Se la mia ex-moglie si rompesse un ginocchio, credimi che farei in modo di romperle anche l'altro-
Harry non riuscì a trattenere una risata. Cal era molto più grande di lui, quindi aveva sempre assunto un atteggiamento quasi paternalistico nei suoi confronti.
-Tra me e Louis le cose non stanno così, lo sai- rispose meccanicamente Harry -Siamo in ottimi rapporti. E comunque non stiamo divorziando, siamo solo separati-
-Beh, prima o poi dovrete arrivarci- disse il suo socio, prosaico -Il limbo non può durare in eterno, specialmente se vorrete rifarvi una vita-
Harry sentì qualcosa bloccarglisi in gola. Non riusciva ancora ad immaginare Louis, o se stesso, sposati ad un'altra persona, ad un qualsiasi estraneo. Una cosa normale, pensava, considerati tutti gli anni in cui erano rimasti insieme. Probabilmente sarebbe stata solo questione di abitudine.
Stava per ribattere qualcosa di probabilmente inutile, quando la porta si aprì con un tintinnìo. Harry si girò, giusto per vedere entrare Jeff, il barista che lavorava nel locale lì accanto, in mano un vassoio con sopra due tazze di caffè.
-Tu mi leggi nel pensiero- esclamò Harry stiracchiandosi, mentre l'altro si avvicinava.
-Veramente leggo gli ordini di Cal- ridacchiò Jeff, posando con attenzione il vassoio sulla scrivania -Ha chiamato al bar cinque minuti fa-
Harry gli sorrise di rimando, prima di prendere una tazza tra le dita. Sospirò di sollievo, nel sentire il piacevole calore contro la pelle, poi riportò lo sguardo sul computer.
Poteva sentire gli occhi di Jeff su di sè, anche dandogli le spalle. Era certo che stesse freneticamente cercando qualcosa da dire per attaccare discorso, in modo da poter rimanere lì un pochino di più. Lo faceva ogni volta, certi giorni con più successo, altri meno. Probabilmente dipendeva dall'ispirazione.
Harry si chiedeva quando si sarebbe deciso a chiedergli di uscire. Non che gli importasse. Jeff era un bravo ragazzo, era anche piacevole la sua compagnia, ma i suoi standard erano piuttosto difficili da soddisfare. Certo, non per questo avrebbe rifiutato un suo invito. Una possibilità andava concessa a tutti.
E comunque, se non altro, non era uno sportivo.
-Ehi, quelle foto sono fantastiche- lo sentì esclamare alle sue spalle.
Harry, infatti, aveva appena aperto la cartella con gli scatti del Tower Bridge. Probabilmente quel punto non avrebbe dovuto assegnarlo a Jeff, visto che era stato lui a dargli involontariamente l'input della conversazione.
-A quanto pare, la pensano così anche da Yves Saint Laurent- commentò Harry, soddisfatto di se stesso -Presto forse le vedrai sui cartelloni in giro per Londra-
-Wow- disse l'altro ammirato -Beh, complimenti-
-Grazie-
Evidentemente, non riuscendo a trovare altro da aggiungere, Jeff salutò entrambi e uscì dallo studio, lasciando Harry ai propri pensieri.
-Due minuti e quaranta- commentò Cal, guardando l'orologio -L'altra volta aveva resistito di più-
Harry scrollò le spalle, divertito. Ci mancava solamente lui. Chiuse la cartella, aprendo quella di altri clienti, decisamente più ordinari, che sarebbero passati nel pomeriggio a ritirare i loro ordini.
-Perché non gli chiedi tu di uscire a cena?- lo incalzò il collega -Avanti, è un bel ragazzo, e si vede che non aspetta altro-
Harry si girò verso di lui, paziente, passandosi una mano sugli occhi.
-Perché lui è libero, senza nessuna restrizione- spiegò molto tranquillamente -Mentre io ho un matrimonio alle spalle e tre figli piccoli, oltre che orari di lavoro indecenti. Ah, senza contare che il mio ex marito, oltre ad essere un calciatore famoso in tutto il mondo, in questo momento sta dormendo nella mia stanza degli ospiti-
Cal non riuscì a trattenere una risata.
-Dio, sembra la trama di un film-
-Sì, in effetti spesso la mia vita mi sembra una cosa del genere- borbottò Harry -Comunque, il punto è che non voglio fargli pensare che io possa volere qualcosa di più che... beh...-
-Sesso?- concluse Cal per lui.
Harry arrossì vagamente. Va bene tutto, ma Cal era comunque molto più grande di lui, quindi non sarebbe mai riuscito a parlargli come parlava con Niall, tanto per dirne uno.
-Stavo per dire una piacevole serata in compagnia- mormorò, contrariato -Lascia perdere, ok?-
Fece per rimettersi al lavoro, ma l'altro non sembrava volergli dare tregua.
-Cosa ci sarebbe di male?- incalzò -Insomma, è passato un anno...-
-Dieci mesi- lo interruppe Harry, riportando lo sguardo sullo schermo, senza però vederlo realmente.
Dieci mesi non erano niente, dannazione. Non capiva come qualcuno potesse pretendere che lui anche solo volesse ricominciare una storia con qualcun altro. Si sentiva già eroico ad uscire a cena con un uomo, lasciando a casa i suoi figli e inghiottendo il senso di colpa.
Cercando di scacciare quel pensiero, prese il telefono e mandò un messaggio a Sophia, pregandola di passare da loro, quella sera.



Harry riuscì a rientrare in casa solo a pomeriggio inoltrato. Era nervoso, perché aveva contato di riuscire ad andare a prendere lui i bambini a scuola, e invece aveva dovuto pregare Niall di farlo al posto suo. Fortunatamente, il suo migliore amico, gestendo un locale notturno, aveva le giornate sempre piuttosto libere, e comunque era già a casa loro per fare compagnia a Louis.
-Ti devo l'ennesimo favore- sospirò Harry, sfilandosi la sciarpa dal collo e appendendola all'attaccapanni -Stavo uscendo dallo studio, quando ha chiamato il responsabile marketing di Burberry. Vogliono che curiamo la loro campagna Primavera-Estate-
-Wow, congratulazioni- esclamò Niall, non esattamente reattivo, quando si parlava di moda -Comunque nessun problema, lo sai-
Harry gli sorrise con gratitudine, poi si guardò attorno, stupito da quell'innaturale silenzio.
-La truppa?- domandò -Non li hai venduti al mercato nero, vero?-
Niall scosse la testa divertito, facendogli strada verso la cucina, dove Leah era in ginocchio su una sedia, con qualche cuscino sotto le gambe, e le braccia infilate fino ai gomiti in una scodella. Harry capì perché non gli fosse andata incontro, sembrava praticamente incastrata all'interno di una sottospecie di impasto gommoso.
-Stiamo facendo i biscotti- esclamò Niall, allegro -O meglio, qualcosa di simile. Ho trovato una ricetta di Gemma, ma qualcosa mi dice che abbiamo sbagliato qualche passaggio-
-Sto cucinando, papà!- trillò Leah, scuotendo i ricci, raccolti in due codini malfermi. Mentre si muoveva, spedì pezzi di impasto ovunque, facendogli socchiudere per un attimo gli occhi.
-Lo vedo, principessa- si limitò a dire però, avvicinandosi a lei e dandole un bacio sulla testa -Saranno sicuramente buonissimi-
Sua figlia gli rivolse il più luminoso dei sorrisi, poi tornò al suo lavoro, piuttosto maldestramente. Si rivolse a Niall, in attesa che completasse l'elenco delle posizioni dei bambini, ma lo vide guardare Leah, sovrappensiero.
-Louis si è offerto di aiutarla- lo sentì mormorare poi, sottovoce -Ma lei non ha voluto saperne. Voleva che rimanessi solo io, e lui si è dovuto arrendere. Non è strano?-
Harry si morse un labbro. Si, era strano, assolutamente. Leah aveva sempre venerato Louis come un dio, e ora sembrava essere totalmente insofferente alla sua presenza. Naturalmente era ancora troppo piccola perché fosse una reazione cosciente, o comunque razionale, e per questo sperava davvero che Sophia potesse aiutarlo.
-Vedremo di sistemare anche questa- sospirò, sentendosi già terribilmente stanco -Gli altri?-
-Blake sta facendo il riposino- spiegò Niall -Julian sta giocando alla playstation con Louis-
-La playstation?- inarcò un sopracciglio Harry -Dovrebbe avere già iniziato i compiti, a quest'ora-
Conosceva i ritmi di suo figlio. Tornato da scuola, faceva un paio d'ore di riposo, e poi cominciava i compiti. Niente di impegnativo, naturalmente, essendo solo all'inizio della prima elementare, ma era comunque il suo dovere. Sapeva che non avrebbe dovuto accendere la playstation prima di averli finiti. E ora Louis arrivava e, naturalmente, sconvolgeva tutti i suoi equilibri. Gli equilibri dei bambini. Gli equilibri di Harry.
Non era giusto.
A passo di marcia andò in salotto, sentendo un moto di fastidio salirgli sotto la pelle. Spalancò la porta forse un po' troppo bruscamente, perché sia Louis che Julian, sul divano uno accanto all'altro, trasalirono di sorpresa.
-Ciao- esclamò Louis, la gamba allungata di lato -Non ti abbiamo sentito tornare...-
-Sto stracciando papà a FIFA- comunicò invece suo figlio, brandendo il controller in mano.
Harry scosse la testa per un attimo, incrociando le braccia al petto.
-Juls, sbaglio o avevamo fatto un patto?- sospirò poi -Devi fare i compiti, prima di metterti a giocare con la play. Credevo di essere stato piuttosto chiaro-
-Ma...- provò a protestare il bambino.
-Niente ma- scosse la testa Harry -È questione di fiducia. Se tu mi prometti una cosa, io mi fido che tu la rispetti anche quando non ci sono, lo capisci?-
Julian abbassò appena il capo, mogio, ma infine annuì.
-Avanti, ora vai a fare i compiti- concluse Harry.
Vide suo figlio lanciare una breve occhiata a Louis, che non aveva detto una parola.
-Qui salvo io la partita, continuiamo dopo- gli sorrise il padre, e solo allora il bambino saltò giù dal divano.
Quando gli passò accanto, Harry gli carezzò rapidamente i capelli, guardandolo mentre correva fuori dalla stanza, diretto in camera propria.
Harry stava per seguirlo, quando la voce di Louis lo richiamò indietro.
-Non ti sembra di esagerare?- lo sentì dire con un sospiro.
Si voltò nuovamente verso di lui, avvertendo l'irritazione tornare prepotente a galla.
-Esagerare?- ripetè -Solo perché chiedo ai bambini di rispettare delle regole?-
-Ha sei anni- scosse la testa Louis, gli occhi azzurri penetranti -Credo sia un po' eccessivo fargli una ramanzina sulla fiducia solo perché si è messo a giocare invece che a fare i compiti-
Harry ci mise qualche istante, a rispondere, perché di colpo si ritrovò con il magone. Si sentiva impotente, incompreso, come se Louis fosse il suo primo avversario e non più il suo importante alleato. Come faceva a spiegargli quanto era stato difficile ritrovarsi da solo con tre bambini piccoli e un lavoro impegnativo? Aveva dovuto necessariamente diventare un po' più rigido, per mantenere il controllo della situazione, e non era stato affatto facile, soprattutto per uno come lui. Non gli piaceva passare per il poliziotto cattivo, ma era stato necessario. E ora, Louis gli faceva la morale.
-Già, in effetti forse la ramanzina non avrei dovuto farla a lui, ma a te- osservò -In fondo sei tu l'adulto, sei tu che dovresti avere chiaro l'ordine delle priorità-
L'espressione di Louis cambiò nel giro di un secondo, e Harry capì di aver toccato il punto giusto. O quello sbagliato, a seconda dei punti di vista. Perché quell'ultima frase si sarebbe potuta adattare a diversi contesti, non solo ai compiti di Julian, e lo sapevano entrambi. Nessuno dei due però, sollevò davvero l'argomento.
-Non lo sapevo- mormorò Louis -Non sapevo quale fosse il vostro accordo, Juls mi ha detto di non avere nulla da fare, e...-
-Avresti potuto controllare il suo diario-
-Non ci ho pensato, Harry, va bene?- si spazientì Louis. Era ferito, si vedeva chiaramente, ma Harry distolse lo sguardo.
-D'accordo, non importa- sospirò, sforzandosi di calmarsi. Non era un buon modo di cominciare la loro convivenza, quello, e lui non si stava comportando da persona matura. Stava attaccando Louis per una sciocchezza, ne era conscio, e non capiva nemmeno lui il motivo per il quale lo facesse. Era più forte di lui, semplicemente. Una sensazione orribile.
Giusto in quel momento, il campanello si mise a suonare. Sentì l'urlo di Niall che annunciava che avrebbe aperto lui, così rimase lì dov'era, senza poter approfittare di una via di fuga.
-Ti hanno detto quando inizierai la riabilitazione?- chiese a Louis, giusto per portare il discorso su binari più tranquilli.
-Tra una settimana- rispose l'altro, appoggiandosi contro lo schienale del divano, lo sguardo puntato sul suo ginocchio -Oggi ha chiamato il mio medico, probabilmente mi daranno un tutore, così potrò lasciar perdere le stampelle. Dicono che il recupero sarà più rapido-
-Ottimo- annuì Harry. Poi, finito anche quell'argomento di conversazione, non seppe più cosa dire. C'era imbarazzo, di nuovo, tra loro, un imbarazzo brutto, che non avevano avvertito nemmeno durante il loro primo incontro.
-Sarà meglio che vada a controllare chi è arrivato- borbottò allora, prima di uscire dalla stanza. In effetti, non avvertiva rumori dall'ingresso, e la cosa stava iniziando a insospettirlo. Non era da Niall stare in silenzio così a lungo. Con una rapida occhiata alla cucina, intravvide Leah occupata a fare palline con l'impasto, che nel frattempo le era finito anche tra i capelli. Grandioso, ci sarebbero volute ore per ripulirla. Però, se non altro, sembrava momentaneamente tranquilla.
Una volta nell'ingresso, vide Niall fermo immobile sulla soglia, una mano a tenere spalancata la porta, lo sguardo rivolto all'esterno. Curioso, Harry sbirciò da sopra la sua spalla e, ferma sui gradini del portico, vide una ragazza. Era alta e magra, con gli occhi chiari e lunghi capelli biondi. Indossava un paio di stivaletti pesanti, un maglione fatto a mano e dei pantaloni beige, molto classici.
-Ciao- esclamò, quando lo vide, spostando lo sguardo confuso dalla statua di sale di Niall Horan a lui -Sono Taylor, la vostra nuova vicina. Mi sono appena trasferita qui, e ho pensato di venire a presentarmi. Questa è per voi-
Parlava velocissima, e nel mentre gli porse quella che aveva tutta l'aria di essere una crostata fatta in casa.
-Oh, ti ringrazio- sorrise Harry, scansando Niall, che arretrò di un paio di passi, sempre zitto, e afferrando la torta -Mi piacerebbe avere qualcosa per ricambiare, ma temo che i biscotti che sta facendo mia figlia possano essere potenzialmente letali-
Taylor scoppiò a ridere.
-Io sono Harry, comunque- si presentò, allungando una mano -E questo è...-
-Niall- rispose il suo migliore amico, in automatico, con voce piatta.
Taylor sorrise a entrambi, leggermente meno convinta quando spostò gli occhi su Niall.
-E così hai comprato la casa qui accanto, eh?- chiese Harry, più per le regole del buon vicinato che per reale curiosità. Inoltre, Niall non era affatto d'aiuto -Che io ricordi, è sempre stata vuota-
-A dire il vero è dei miei genitori- spiegò Taylor -Loro vivono in Francia da anni, ma era la casa di famiglia, quindi non hanno mai voluto separarsene. Non era nei miei progetti venire qui, è troppo grande per me... ma viste alcune circostanze, non ho potuto farne a meno-
Harry annuì distrattamente. Non le chiese i dettagli, qualcosa gli diceva che non ci tenesse a spiegare nei particolari il motivo per cui si era dovuta trasferire. E comunque, non erano affari suoi.
-Vuoi entrare un attimo?- le chiese allora, conscio che non fosse propriamente cortese lasciarla lì fuori al freddo -Preparo un the-
-Oh no, grazie- si affrettò a rispondere la ragazza -Sto ancora disfando quintali di scatoloni, sarà meglio che torni al mio lavoro. È stato un piacere conoscervi-
-Piacere mio- ribattè Harry -E grazie per la torta-
Lei salutò con la mano, affrettandosi lungo il viale che attraversava il giardino.
Era quasi sparita alla loro vista, quando Niall sembrò scongelarsi, riscuotendosi di scatto.
-Ciao!- esclamò, ma Taylor ormai non poteva più sentirlo. Harry lo guardò, leggermente sconcertato. Aveva sempre saputo che l'amico fosse piuttosto strano, ma a tutto c'era un limite.
-Beh- sentì dire da una voce alle loro spalle, mentre chiudeva la porta -Questa è la scena più ridicola alla quale abbia assistito-
Si voltò, e Louis era lì dietro, in bilico sulle stampelle, un ghigno divertito sulle labbra.
-Cosa fai in piedi?- sbottò Harry -Devi stare fermo fino a domani-
-Non potevo perdermi questa conversazione- spiegò Louis -Nialler, sicuro di stare bene? Mi sei sembrato un po' a corto di fiato-
Niall sibilò qualcosa tra i denti, limitandosi ad alzare il dito medio nella sua direzione, facendo ridacchiare Harry.
-Oddio, ma ti piace Taylor?- sorrise anche lui, meno perfido di Louis, ma altrettanto divertito dalla situazione.
-Se gli piace?- si intromise il suo ex marito -Diciamo pure che la crostata era l'ultima cosa che avrebbe voluto da lei-
-Stronzi- borbottò Niall -Mi ha solo colto alla sprovvista, tutto qua-
-Già- annuì serafico Louis -La prossima volta le diremo che, oltre suonare il campanello, dovrà anche farsi annunciare dalla banda-
Harry si mise una mano sulla bocca per non ridere in faccia a Niall. Si era scordato di quanto Louis a volte potesse essere divertente e pronto alle battute. Si era scordato tante cose.
-Lasciatemi in pace- Niall scrollò le spalle, tornando in cucina -Ho dei biscotti che mi aspettano-
-Portali a Taylor, che magari la conquisti!- gli gridò dietro Louis. Altro dito medio.
Lui però non se ne curò, anzi, rivolse semplicemente lo sguardo verso Harry, e risero insieme, come due ragazzini.



Sophia arrivò da loro mentre Harry stava preparando la cena. Erano mesi che non la vedeva, e ogni volta si ritrovava a pensare che fosse un peccato che le cose fossero andate a finire così, perché per lui era stata un'amica, un'amica vera.
-Dovresti farti vedere da queste parti più spesso- le disse contrariato, puntandole contro il mestolo con cui stava girando le verdure.
-Lo so- sospirò Sophia -Ma sai com'è, a casa tua è piuttosto facile fare brutti incontri. I bambini dove sono?-
Harry si guardò distrattamente attorno, poi scrollò le spalle.
-Ovunque- rispose, con tono rassegnato. In effetti era più o meno così, considerato che i ripiani della cucina erano invasi di colori e pupazzi. C'era persino un triciclo di plastica relegato in un angolo. Evidentemente non era così bravo come credeva a mantenere l'ordine.
Sophia si lasciò sfuggire una risatina, buttandosi i lunghi capelli castani dietro una spalla. Gli mancava. L'aveva sempre trovata solida, e forte, una sorta di figura materna, nonostante avesse solo un anno più di lui. Gli mancava e basta.
Un rumore di stampelle e imprecazioni segnalò l'arrivo di Louis che, come entrò e vide Sophia, parve incassare la testa tra le spalle.
-Non mi odi, vero?- mormorò, chiaramente imbarazzato. Erano due anni che non si incontravano, visto che lei era praticamente sparita dalla circolazione, mantenendo i contatti solamente con Harry, che l'aveva chiamata subito dopo la separazione da Louis.
Sophia strinse le labbra per un attimo, poi sospirò, guardandolo con aria neutra. Sembrava che nella sua testa ci fosse un turbine di pensieri nel quale cercava disperatamente di mettere ordine.
- Dovrei odiarti per aver presentato al mio ragazzo il tizio con cui poi l'ho beccato a tradirmi?- chiese, una leggera sfumatura di aggressività nella voce.
Louis dondolò sull'unica gamba sana, guardando per una frazione di secondo Harry, timoroso, per poi riportare gli occhi su Sophia.
Sophia che sospirò di nuovo, come a calmarsi. Le spalle si rilassarono istantaneamente, mentre provava chiaramente a riprendere il controllo.
-No- mormorò infine, adesso addolcita -Non ti odio, tu non c'entri niente-
Louis azzardò un mezzo sorriso, che lei ricambiò timidamente. Harry sapeva che non fosse facile per lei, la rottura con Liam l'aveva massacrata, anche perché non si era accorta di una cosa che le stava praticamente accadendo sotto il naso. Già il tradimento non era una cosa facile da superare, in più beccare il tuo fidanzato con un uomo, doveva essere anche peggio.
Lei, però, non ci mise molto a recuperare la propria compostezza. Accavallò le gambe e posò le mani sul bancone di fronte a sè, assumendo subito un atteggiamento professionale.
-Allora- esordì -Volete dirmi qual è il problema con Leah?-
Louis zoppicò fino al tavolo, lasciandosi cadere su una sedia.
-Beh..- mormorò imbarazzato Harry, non sapendo come spiegare la situazione senza ferire i sentimenti dell'ex-marito.
-Non mi parla- lo precedette Louis, gelido, intromettendosi -Non mi lascia nemmeno avvicinare a lei, a dirla tutta-
Sophia annuì tra sè, pensierosa.
-Quando vi siete visti l'ultima volta?- gli chiese.
-Circa due settimane fa- rispose Louis -Ho portato i bambini a prendere un gelato prima di tornare in Spagna, ma sembrava abbastanza tranquilla-
-E prima?-
-La vacanza in Thailandia. Siamo stati là venti giorni, io, loro, e due delle mie sorelle-
Harry abbassò il capo, nel ricordare il periodo in cui era stato lontano dai suoi figli. Erano state giornate lunghissime, da passare solo in quella casa vuota. Mai, mai avrebbe pensato di dover essere costretto a dividere il proprio tempo con loro. Mai avrebbe pensato che non sarebbe stato presente al primo bagno in mare di Blake, o che semplicemente avrebbe dovuto passare venti giorni senza vedere i loro sorrisi, senza sentire la loro presenza accanto a sè. Era stato terribile.
-Sai Louis- disse a quel punto Sophia, spezzando l'improvviso silenzio -Io credo che Leah sia arrabbiata. Non era più abituata a vederti così a lungo, a stare con te, e probabilmente ha pensato che tu fossi tornato da lei. Quando invece sei andato via di nuovo, le si è spezzato il cuore-
Harry vide gli occhi di Louis diventare improvvisamente lucidi, e fu costretto a distogliere lo sguardo, perché non era un'immagine che sarebbe riuscito a sopportare. E, in più, avvertiva un vago senso di rabbia iniziare a scorrergli nelle vene.
-Ma ha solamente tre anni- sussurrò Louis, stringendo appena i pugni.
-Appunto- sospirò Sophia -Non reagisce razionalmente come potrebbe fare se fosse più grande, va ad istinto. Julian sapeva che quella vacanza non era nulla più di quello, l'ha capito quando ha visto che Harry è rimasto a Londra...lei invece ha solo recepito il messaggio "il mio papà è tornato". E quando hai ricominciato a lavorare, per lei è come se voi due vi foste separati una seconda volta-
-Giuro, non voglio contraddirti, sei tu la psicologa infantile- mise le mani avanti Louis -Ma quando io e Harry ci siamo lasciati non l'ha presa così male. Andava tutto bene-
-Veramente lei...- iniziò Sophia ma, ricevendo un'occhiata fulminante di Harry, si bloccò di colpo.
Louis spostò lo sguardo su entrambi, poi assunse un'espressione rabbiosa.
-Cosa?- sibilò -Lei cosa?-
Harry spense il fuoco sotto le verdure, appoggiandosi con i fianchi contro il bancone alle proprie spalle.
-Cosa non mi hai detto?- ripetè Louis, lo sguardo gelido e le spalle contratte.
Harry si morse il labbro inferiore, poi sospirò profondamente, senza il coraggio di alzare gli occhi su di lui.
-Dopo che sei andato via- mormorò infine -Leah ha avuto un periodo un po' difficile. Non voleva dormire da sola, spesso faceva la pipì a letto. Così ho chiesto aiuto a Sophia per gestire la cosa-
-Hai chiamato lei, e non hai chiamato me?- ringhiò Louis, incredulo.
-Le mancavi, Louis- cercò di intervenire Sophia -È una reazione perfettamente normale e...-
-Non è questo il punto- Louis sbattè il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare gli altri due -La mia bambina stava male perché io non c'ero, e tu nemmeno me l'hai detto?-
-Beh, ti aspettavi facesse i salti di gioia?- ribattè Harry, nervoso, forse perché si rendeva conto di essere nel torto -Ti sorprenderà saperlo, ma nessuno da queste parti era particolarmente contento-
-Non cercare di rigirare le cose a tuo favore- sbottò Louis, alzandosi in piedi a fatica -Sono anche io suo padre, era mio diritto sapere che avevi chiamato per Leah una psicologa infantile, non importava che fosse tua amica. Non era compito tuo tagliarmi fuori. Ma a quanto pare è una cosa che ti riesce piuttosto bene, o sbaglio?-
Harry rimase a bocca aperta, di fronte a quella sparata, senza avere la più pallida idea di cosa dire. Potè solo rimanere a guardare, mentre Louis si dirigeva fuori dalla cucina al massimo della velocità che gli consentivano le stampelle.
Una volta rimasto solo con Sophia, Harry si prese la testa tra le mani con un gemito. Cazzo, avrebbe dovuto prevedere una reazione del genere.
-Scusa- sentì dire a quel punto dall'amica -Ero certa che glielo avessi detto-
-Non è colpa tua- mormorò Harry -Non so nemmeno io perché non l'ho fatto, a dire il vero. Forse ero arrabbiato con lui, forse ha ragione sul fatto che volessi tagliarlo fuori. Forse...-
-No- lo bloccò Sophia, scuotendo la testa -Sai anche tu di non essere questo tipo di persona. Tieni ancora troppo a lui per ferirlo deliberatamente, e lo sai-
Harry soffiò fuori l'aria dalla bocca lentamente, mentre cercava di distendere i propri nervi. Non voleva pensare a ciò che aveva appena detto Sophia, o alle implicazioni di quella frase. Lei era lì per Leah, non per fare da terapista di coppia.
-Comunque- disse allora, cercando di tornare sull'argomento principale -Se dici che Leah si comporta così perché le abbiamo solo creato confusione, far tornare a stare qui Lou durante la riabilitazione è stato un errore, vero?-
Sophia inclinò appena la testa, chiaramente nel tentativo di dare la sua opinione senza essere troppo brusca.
-Forse sì- disse alla fine -Per un bambino non è utile vedere entrare e uscire di casa un genitore, è come essere abbandonato ogni volta. Ma ormai è fatta, e so che il tuo è stato un gesto assolutamente in buona fede-
Harry scosse la testa, lasciandosi cadere su uno sgabello. Aveva combinato un disastro, aveva agito senza pensare, credendo che le cose potessero semplicemente andare per il meglio, senza cogliere le altre possibili sfumature.
-Haz, non colpevolizzare te stesso- Sophia gli posò una mano sul braccio, neanche potesse leggergli la mente -Forse questi due mesi saranno complicati, ma magari vi permetteranno di appianare un po' di divergenze-
-Non abbiamo nulla da appianare- rispose automaticamente Harry.
-Ah no?- chiese scettica Sophia -A giudicare da quello che ho appena visto non sembra-
Harry strinse i denti, ma non rispose. Aveva creduto di essere più bravo, di essere migliore. Si era sentito orgoglioso di se stesso per aver reagito in modo così maturo alla separazione, per aver evitato discussioni con Louis, per essere rimasto in piedi. Per non aver obbligato i suoi figli ad assistere a sceneggiate, come era toccato a lui quando i suoi genitori si erano lasciati. Des e Anne avevano fatto di tutto per tenere lui e Gemma il più possibile fuori dalle loro liti, ma le pareti di una casa erano sempre troppo sottili.
-Siamo riusciti a comportarci civilmente finora- mormorò infine, gettando un'occhiata distratta all'orologio. Presto avrebbe dovuto mettere la cena in tavola, se non avesse voluto sentire strepiti e rimostranze. -Non voglio litigare con lui, non l'abbiamo mai fatto-
-Forse è questo il problema, non credi?- disse Sophia, guardandolo comprensiva -Non sempre litigare è un male, Haz. Anzi, spesso è l'unico modo per confrontarsi, per capirsi. È come quando si ha un lutto, non lo si affronta mai veramente finchè non si piange ogni singola lacrima, finchè non si entra in contatto con il proprio dolore. E io il tuo dolore per la separazione da Louis, non l'ho mai visto-
Harry si strinse nelle spalle. Sapeva che non fosse l'unica ad essersi posta quella domanda. Liam e Gemma avevano passato mesi a guardarlo con circospezione, come se si aspettassero che sarebbe crollato improvvisamente. Ma lui non l'aveva mai fatto. E come avrebbe potuto? Aveva una casa, un lavoro, tre bambini a cui mancava il loro papà. Non si era potuto permettere di soffrire, di piangere, di arrabbiarsi. Non si era potuto permettere di essere un uomo, semplicemente, e non un padre, un fotografo, un personaggio noto. No.
-Dov'è il tuo dolore, Harry?-
La voce dolce di Sophia gli fece alzare gli occhi al cielo, mentre si voltava e apriva il frigorifero, per prendere qualcosa da bere.
-Non psicanalizzarmi, per favore- si limitò a dire, posando sul bancone una bottiglia di vino e riempiendo due bicchieri.
-Tu rispondimi e basta- sorrise lei, afferrandone uno e portandoselo alle labbra.
Harry si prese qualche istante per pensare. Bevve il vino, sentendone il sapore pungente sulla lingua, e poi la freschezza giù per la gola.
-Lontano da me- mormorò infine -Chiuso sotto una teca di plexiglas-
-Dove non può fare male, giusto?-
-Giusto- disse piano, fissando il liquido chiaro che roteava nel bicchiere -Non credo che potrei gestirlo, Soph-
Lei gli puntò addosso i suoi grandi occhi verdi, scuotendo appena la testa.
-Sai come ho superato la mia rottura con Liam?- gli chiese poi, tranquilla.
Harry fece cenno di no.
-Mi sono chiusa in casa per settimane. Ho mangiato gelato, da sola davanti alla tv- spiegò lei -Ho guardato tutti i film strappalacrime, ho ascoltato canzoni strazianti. Ho distrutto tutte le nostre foto, per poi cercare disperatamente di incollarle di nuovo. Ho fatto le cose peggiori e più autodistruttive che mi venissero in mente. Poi, un giorno, sono uscita. E ho visto che il sole splendeva, che le persone esistevano ancora. Che la vita andava avanti-
-Praticamente mi stai dicendo di mettermi a letto e abbruttirmi?- scherzò debolmente Harry.
-No- sorrise lei -Ti sto dicendo che solo quando ti concedi di stare male, ti lasci lo spazio per poter guarire-
Harry non sapeva cosa dire, e Sophia allora si alzò dallo sgabello e prese la giacca, indossandola.
-Sarà meglio che vada, stasera ho un appuntamento- le brillarono gli occhi, mentre parlava -Saluta Louis e i bambini per me, d'accordo? Per Leah non ti preoccupare, sarà lei ad avvicinarsi a Louis quando si sentirà pronta, datele del tempo. Comunque, se hai bisogno, chiamami-
-Grazie-
Harry le diede un bacio sulla guancia, poi la osservò mentre si dirigeva fuori dalla cucina. Avrebbe voluto accompagnarla, ma si sentiva come se i suoi piedi fossero pesanti come piombo.
-Soph?- la richiamò però, quando ormai era quasi sulla porta.
Lei si voltò e lo fissò, in attesa.
-Dimmi-
Harry attese qualche secondo, cercando di trovare il coraggio di formulare quella domanda. Poi si rese conto che avrebbe dovuto solamente farla.
-E tu sei riuscita a guarire?-
Gli parve che i suoi occhi diventassero lucidi, ma forse fu solo un'impressione.
-Non lo so-


Una culla con un fiocco blu appeso sopra. Mensole bianche dipinte a mano, pareti con quadri colorati appesi, peluches e giocattoli ovunque. Un fasciatoio, delle tende di lino candide e soffici. Una lampada con disegnati sopra dei piccoli cavalli. Un pallone da calcio di pezza, che tanto non sarebbe mai riuscito a convincere Louis a lasciar perdere.
Harry abbracciò quella stanzetta con lo sguardo, pensando a tutte le ore passate lì dentro, cercando di curarla nel minimo dettaglio. Louis si era ostinato a voler dipingere da solo le pareti, e ovviamente aveva fatto un disastro, alcuni punti più scuri e alcuni più chiari, come Harry aveva previsto sarebbe successo. Aveva già salvato sul cellulare il numero di un pittore di interni, in modo che passasse di lì e sistemasse tutto all'insaputa di Louis, alla prima trasferta, ma poi aveva deciso di lasciar perdere. Voleva che suo figlio un giorno potesse vedere ciò che il suo papà aveva fatto per lui, seppur terribilmente.
-Haz, cosa fai qui?-
Sentì due braccia avvolgerlo per la vita, quindi il mento di Louis posarsi sulla sua spalla. Con dolcezza, si appoggiò contro di lui, la schiena a contatto con il suo petto.
-Mi era sembrato di sentirlo piangere- rispose, a voce bassa.
-Bugiardo- Louis si alzò sulle punte per baciarlo sulla guancia, da dietro -Stai tranquillo, ok? Sta bene, respira, e dorme come un sasso. Non serve che tu lo controlli ogni dieci minuti-
-Io non...-
-Harry, sei corso qui appena mi sono alzato per andare in bagno, prima- lo prese in giro Louis -Forza, andiamo a dormire anche noi adesso, con la radiolina sentiremo se dovesse svegliarsi-
Di malavoglia Harry annuì, quindi si lasciò prendere per mano e guidare in camera propria.
Avrebbe dovuto abituarsi a questa cosa di essere padre, di avere una piccola creaturina di tre chili scarsi che dipendeva da loro in tutto e per tutto, che avrebbe richiesto amore, pazienza, speranze, sogni. E lui era più che disposto a darglieli. A dargli tutto, a concedergli tutto, ogni minimo granello di sè.

Julian.
Quasi troppo, da sopportare, quel sentimento strabordante che credeva avrebbe potuto provare solo per una persona nella vita, ovvero Louis. Temeva quasi si sarebbe potuto dividere, quell'amore, quando avessero avuto un figlio, e invece sorprendentemente si era limitato a raddoppiare. E questo gli dava gioia, e pienezza, ma anche paura, perché una cosa così grande lo rendeva fragile. E insicuro. Ora non aveva più un solo punto debole, ne aveva due. Due cose che, se avesse perso, ne sarebbe morto.
Quel pensiero però, svanì piuttosto rapidamente, perché sentì Louis premersi contro di lui sotto le coperte e, come sempre quando lo faceva, ogni pensiero, ogni paura, ogni irrazionale timore su un futuro che, per quanto roseo, sembrava sempre troppo incerto, semplicemente tacque.
Fu il rumore di un tuono a svegliarlo, solo qualche ora più tardi. Harry sbattè gli occhi un paio di volte, la stanza illuminata fiocamente solo dalle luci dei lampioni fuori. Si girò nel letto, sentendo lo scrosciare della pioggia, e allungò istintivamente una mano verso il lato di Louis, ma non lo trovò.
Il lenzuolo era fresco, il cuscino anche, segno che doveva essersi alzato da un po'. Di solito, quando Louis dormiva, creava attorno a sè un bozzolo di calore quasi impossibile da sopportare. Harry si mise a sedere, rabbrividendo appena. Aveva sempre freddo, quando dormiva senza di lui, motivo per il quale fin dall'inizio aveva sempre fatto i salti mortali per seguirlo durante le trasferte, in modo da non dover passare più del tempo strettamente indispensabile lontano da lui.
Cercò di ignorare la sensazione di angoscia che lo prese istintivamente. Forse perché era la prima notte con Julian a casa, forse perché era una situazione nuova, forse perché quelli erano i primi passi della loro famiglia ed era terrorizzato di vedere andare tutto in pezzi da un momento all'altro, ma d'improvviso era nel panico. D'improvviso sembrava tutto così fragile, e così vuoto, come quel letto. D'improvviso gli erano tornate alla mente le parole di Jay, quella storia che aveva raccontato tante e tante volte, su come una mattina si fosse svegliata e suo marito Troy semplicemente non c'era più, lasciandola da sola con un neonato da crescere.
Harry si alzò, attraversando la stanza a passi veloci, in testa solo un'eco che ripeteva "fai che non se ne sia andato, ti prego".
Sapeva di essere totalmente irrazionale, in fondo, perché conosceva l'uomo che aveva sposato, conosceva quello in cui credeva, conosceva quello che voleva, ma proprio per quell'irrazionalità non riuscì a impedire al proprio cuore di battere all'impazzata, al respiro di farsi affannoso, alla mani di tremare.
Uscì in corridoio, mentre un tuono rimbombava, dandogli per un attimo l'impressione che l'intera villa tremasse. Accelerò il passo, lanciando distrattamente un'occhiata verso la stanza di Julian, quando vi passò davanti, e si bloccò di scatto, riparandosi dietro la parete per non farsi vedere.
Sporse appena la testa, e Louis era lì.
Stava camminando su e giù, e nonostante il buio Harry poteva indovinare i contorni del suo corpo sottile, tra le braccia quel fagottino che era suo figlio. Lo stava cullando dolcemente, parlandogli sottovoce.
-È solo il temporale, non c'è nulla di cui aver paura- lo sentì dire -E poi ci sono io, con te-
Ad Harry si strinse il cuore nel sentire quelle parole, e dovette obbligarsi a rimanere fermo al suo posto, perché l'istinto di entrare era davvero forte. Però non lo fece, perché sentiva che quello fosse un momento solo loro, e non voleva rovinarlo. Seppe di aver preso la decisione giusta non appena Louis continuò a parlare, perché disse l'unica cosa che lui avesse bisogno di sentire.
-Non ti lascerò mai solo. Mai. Te lo prometto-

I still believe in summer daysDonde viven las historias. Descúbrelo ahora