CAPITOLO 2

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L'ufficio di Max è un casino, l'avevo riordinato solo qualche giorno fa ed ora è già un disastro. Ci sono fogli sparsi ovunque, armi smontate e persino dei vestiti appallottolati e abbandonati su una poltrona.
Jeanine è stata chiara: questo lavoro è solo una facciata, mi sarei finta una brava assistente davanti ai membri della fazione e basta, a tutto il testo doveva pensarci lui.
Non è del tutto vero, ho un altro compito, ma Max non lo sa.
Una parte importante del mio lavoro consiste nel plagiarlo, manipolare la sua mente, plasmarla come fosse creta tra le mie mani e spingerlo ad abbracciare i nostri ideali e allontanarsi da quelli degli Intrepidi.
È un lavoro lungo e complesso che non ha orari, è senza fine, costante e delicato. Sono due anni che fingo di essere interessata a quello che fa, che mi offro di svolgere qualsiasi lavoro, anche se non mi compete e fingo di considerarlo un uomo dalla condotta morale esemplare.
Ho fatto qualsiasi cosa per guadagnarmi la sua fiducia in modo che abbassasse la guardia a tal punto da permettermi di iniziare il mio lento e costante lavaggio del cervello. La scarsa intelligenza di Max e la sua quasi totale mancanza di personalità hanno reso le cose molto semplici. Mi sbagliavo. Sebbene non sia un genio, Max non è stupido come pensavo, gli ci è voluto un po' ma alla fine ha capito quello che volevo fare e ha voluto trarre più benefici da questa collaborazione.
Jeanine non lo considerava un problema, gli promise l'incarico di unico capo dei nuovi Intrepidi, gli avrebbe promesso anche di farlo diventare il suo braccio destro se questo non suonasse un'esagerazione. Jeanine aveva già deciso la sorte di Max, forse ancora prima delle sue assurde richieste, poco importa sapere quando prese la decisione che lui sarebbe tragicamente morto difendendo i leader del nuovo governo.
Purtroppo questo non salva me dalle sue fastidiose attenzioni.
«Adal, per oggi non ho in previsione nessuna riunione che richieda la tua presenza, quindi sei libera.»
«Grazie Max. Sistemo questo caos, ti faccio del caffè decente e poi vuoi che ti porti qualcosa da sgranocchiare prima che me ne torni al mio lavoro?» gli domando sorridente, come se fosse un piacere fargli da serva.
«No, ci penso io.»
Mi guardo intorno e domando: «Intendi aggiungere casino a quello già esistente?»
Lui sorride e a me vengono i brividi. Conosco quel sorriso.
«No. Intendevo per le cose da sgranocchiare.» Si alza dalla sedia e inizia a passeggiare per la stanza.
«Domani arriverà il futuro nuovo capofazione» dice, raccogliendo delle cartellette da terra. «Che tipo è?»
«Se Jeanine l'ha scelto deve essere uno in gamba»
«Non lo conosci? Ha solo due anni meno di te e la vostra fazione non è così grande»
«Lui aveva quattordici anni quando io ne avevo sedici, socialmente eravamo come in due fazioni diverse» gli rispondo.
Ho un vago ricordo di Eric, era uno tra tanti. L'ho incrociato per un anno intero la mattina prima di andare a scuola, seguivamo lo stesso percorso facendo jogging e non gli ho mai rivolto neanche un cenno di saluto. Era una cosa normale, a quell'età le ragazze non guardano i ragazzi più piccoli ma quelli più grandi. Io non guardavo neanche quelli. Non mi interessavano, ero troppo concentrata sul mio brillante futuro come braccio destro di Jeanine per sprecare tempo con futilità come il sesso fine a se stesso o per procreare. Non volevo che le debolezze umane mi offuscassero i pensieri rallentando così la mia ascesa.
«Ma lui è il prescelto» esclama alzando le braccia al cielo come farebbe un predicatore pazzo.
«Capelli castano chiaro, occhi azzurri, alto sul metro e settanta scarso, magro, denti inferiori un po' storti e classico carattere da Erudito»
«Un altro pelle e ossa che passerà le sue giornate in infermeria» sbuffa «Dovrò inventarmi qualcosa per tenerlo in classifica.»
«Ho detto magro, non pelle è ossa. Credo sia abbastanza in carne...»
«Credi?»
«Non lo so, te l'ho detto che non facevo molto caso a lui. Era un ragazzino, si stava ancora sviluppando, magari ora è più robusto! Ossatura robusta, ok?»
«Speriamo che gli altri iniziati siano incapaci» sospira rassegnato.
«Non ti preoccupare, tu evita che si faccia troppo male, al resto ci penso io.»
«Cosa intendi?» domanda con un velo di preoccupazione negli occhi.
«Meno sai, meglio è» mi limito a rispondere.
Mi volto, afferro la maniglia della porta ma non faccio in tempo ad aprirla.
«Adal. Dimenticavo. C'è una cosa che dovresti fare per me» dice appoggiandomi una mano sulla spalla.
Di nuovo quel sorriso. So già cosa dovrò fare.
«Vado a prendere il necessario.» 

THE TRANSFERWhere stories live. Discover now