Chapter thirty

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N/A pt.1
Una piccola premessa.
Questo capitolo darà tutte le risposte alle vostre - presunte - domande e credo sia abbastanza forte dal punto di vista sentimentale. Magari mi sbaglio, ma per me é stato così.
Ci vediamo in fondo!

Rimango ferma di fronte l'ingresso, le spalle basse e gli occhi fissi sul vetro riflettente delle porte. Ho le mani gelide che nascondo prontamente nelle tasche del pantalone. Faccio un grosso respiro. Ormai sono arrivata fin qui, non posso semplicemente tornarmene indietro.
Spingo un piede in avanti e le porte scorrevoli si aprono, rivelandomi l'ingresso del IPLA, l'istituto psichiatrico di Los Angeles. Quando varco le porte, un brivido mi pervade il corpo.
Liam è appoggiato al muro con le spalle e le braccia sono incrociate sul petto. Per la prima volta, lo vedo vestito come un normale ragazzo, jeans e camicia azzurra dalle maniche piegate fino al gomito. Mi guarda avvicinarmi a lui e allarga un braccio, accogliendomi. Ingoio a vuoto.
"Sono felice tu abbia deciso di venire" mi dice, stringendomi a sè.
Sono passati cinque giorni da quando ho trovato le lettere rivelatrici di Har-Jake sotto lo stereo.
Cinque giorni duranti i quali ho cercato di spiegare a me stessa quanto è successo, non riuscendoci. Non credo riuscirò mai a giungere a capo di questa situazione. La mia vita è crollata, riducendosi in una miriade di pezzi che non so quanto tempo impiegherò per rimettere insieme. L'unica persona che mi avrebbe potuto aiutare è la stessa che n'è stata la causa.
Liam mi ha chiamato, pregandomi di raggiungerlo in centro. Ha detto che devo sapere tutto, non posso rimanere in balìa di una confusione totale che alberga nella mia mente.
Annuisco e lui mi fa cenno di avviarmi verso una stanza sulla destra. L'ambiente è totalmente bianco, c'è un mondo di gente che passeggia per i corridoi, guardandosi attorno sperduta, come se stesse vivendo un'esperienza ultraterrena. Tutta la situazione mi fa venire i brividi.
Liam mi lascia entrare per prima nella stanza, dove una donna dal camice bianco abbottonato fino al petto mi accoglie con le mani infilate nelle tasche larghe. Liam rimane in disparte.
"Lei è la dottoressa Paltrow" mi dice alle mie spalle, a bassa voce come se non volesse disturbare con la sua presenza. "E' lei che si preoccupa di Jake."
Mi giro a guardarlo. "Cosa? Tu...sai?" chiedo, sbigottita.
La Paltrow fa un colpetto di tosse. E' struccata, ha solo un filo di lucidalabbra a contornarle la bocca. "Sì. E' giunto il momento che anche lei sappia tutto."
Mi indica con la mano curata la sedia in pelle nera mentre la dottoressa si va a sedere dietro la scrivania. Guardo di nuovo Liam e gli chiedo di sedersi accanto a me.
La Paltrow aspetta che Liam chiuda la porta e si sieda accanto a me, poi incrocia le dita sul bordo della scrivania. Alle sue spalle, una porta in legno è chiusa.
"Da cosa vuole partire esattamente?" mi chiede la dottoressa.
Guardo Liam di sfuggita che si sta guardando la manica arrotolata. Riporto l'attenzione sulla Paltrow. "Dall'inizio."
"Allora si metta comoda."


"Vuole ancora vederlo, dopo quello che le ho raccontato?"
Ho gli occhi colmi di dolore e rabbia puntati sulla dottoressa. Liam mi guarda con occhi bassi e la bocca stretta in una linea dura.
Non avrei mai creduto possibile che una persona così potesse prendermi in giro in questo modo. Di chi sono innamorata, allora? Di una persona che non esiste, di una persona che non è chi credevo fosse e si è fatta beffa di me e della mia ingenuità in materia.
L'avevo detto io, che sarei dovuta rimanere una collega, solo una semplice amica sul lavoro. E invece no, mi sono rovinata con le mie stesse mani permettendo che una persona del genere si radicasse in me, manovrandomi a suo piacimento. Una persona totalmente malata che è riuscita a nascondere i suoi demoni dietro due occhi verdi e luminosi e un visino affascinante.
"No" rispondo alla dottoressa.
Liam mi prende la mano e continua a fissarmi. Poi si gira verso la Paltrow. "Potrebbe lasciarci qualche minuto da soli?"
La dottoressa alza un sopracciglio, sorridendo con un lato delle labbra. "Tecnicamente siete nel mio studio."
Stronza.
Ci alziamo e usciamo, chiudendoci la porta alle spalle. Liam mi guida verso una poltrona nell'ingresso, seduta accanto ad un uomo solo che legge il giornale. "Jess" mi dice, piegandosi sulle ginocchia perché le altre sedie sono occupate. "Sei qui, ormai."
"Io non posso vederlo, Liam. Cosa farei di fronte a lui? Non riuscirò a guardarlo nemmeno."
Lui stringe le labbra, la barba che gli accarezza il mento e delinea il profilo della mascella.
"Non sai neanche se tornerai mai un giorno qui. E' meglio fare chiarezza adesso e subito."
"Io.." Io, cosa? Davvero, ho così tanti pensieri ed emozioni contrastanti nella mia testa che non so più a chi e a cosa dare retta.
"Pensaci, Jess."
"Io lo odio" dico tra i denti.
Liam mi guarda attentamente come se volesse studiarmi. "Non ci crederò mai."
Abbasso lo sguardo sulle mie mani incrociate sulle cosce. "Vorrei farlo, però."
Liam si rimette in piedi, sgranchendosi la schiena mentre l'uomo al mio fianco si gira a guardarlo con occhi piccoli e neri. L'agente lo fissa di rimando, distogliendo lo sguardo, a disagio. Mi stende una mano per farmi alzare.
"Un ultimissimo sforzo, Lawrence. E' una delle ragazze pù cocciute che io abbia mai conosciuto. Ha deciso di prendere parte a delle indagini di cui non le sarebbe dovuto interessare niente, presentandosi nel mio studio privato. Non può non fare ciò che le spetta di diritto."
"Intendi picchiarlo fino a quando non cade per terra, esangue?" dico, accennando un'ombra di sorriso sul mio volto spento.
Liam alza gli occhi al cielo. "Come vuoi, non sono nessuno per bloccarti, in ogni caso."
Mi alzo in piedi senza afferrare la sua mano stesa. "Sei un poliziotto."
"Chiuderei un occhio" mi dice, facendomi l'occhiolino. Mi poggia una mano dietro la schiena e ci avviamo di nuovo verso lo studio della Paltrow che è seduta ancora dietro la sua scrivania a sistemare alcuni blocchi di documenti.
"Potrei.." inizio, ingoiando a vuoto. Lo sto davvero facendo? Gli sto davvero permettendo di condizionarmi ancora e ancora?
La Paltrow mi guarda. "Sì" risponde soltanto, e si alza. Si avvia verso la porta in legno chiusa alle sue spalle. Mi fa cenno di seguirla. Liam rimane sotto l'arcata. Lo guardo e solleva le spalle.
"E' arrivato il momento che io mi faccia da parte. Vai" mi esorta, regalandomi un bellissimo sorriso che vorrei tanto ricambiare, ma i miei muscoli facciali non vogliono collaborare. Gli appoggio una mano sulla spalla e seguo la dottoressa lungo il corridoio bianco che mi si presenta davanti. Ho il cuore a mille e lo sento rimbombare insieme ai miei passi che ticchettano contro il pavimento e il rumore si propaga per la lunghezza del corridoio. Ci sono un'infinità di porte chiuse, la dottoressa le supera tutte irremovibile e mi metto dietro di lei con lo sguardo basso. Più mi avvicino, più sento la necessità di uscire e respirare, come se tutta la tensione che provo permeasse l'ambiente e mi stesse schiacciando i polmoni. Poi la Paltrow, improvvisamente, si blocca di fronte ad una porta che sembra essersi confusa con il muro che la circonda. "E' in isolamento" mi dice e annuisco. E' talmente surreale, tutto ciò.
Gira la maniglia e mi fa entrare per prima nella stanza. La prima cosa che vedo è una grandissima vetrata sulla mia sinistra che si affaccia su un giardino bellissimo, curato e illuminato dal sole. Tra i vari cespugli finemente tagliati, c'è un tavolo in legno su cui Harry è appoggiato. Scuoto il capo. Lui non è Harry.
E' seduto su uno sgabello, un braccio piegato sul tavolo e la testa abbassata sul foglio che sta scrivendo, con il sole che gli colpisce la schiena, proiettando la sua ombra sul piccolo tavolo. La Paltrow si avvicina ad un bancone sulla destra. Intanto mi guardo intorno. Il giardino, tramite una porta, è collegato ad una stanza perimetrata da pareti in vetro, c'è solo uno sportello che permette la comunicazione, largo abbastanza da far passare un braccio. Agli angoli della stanza sono poste quattro telecamere per tenere la situazione sotto controllo. La Paltrow si appoggia con i fianchi al bancone alla sue spalle, picchiettando un piccolo microfono alla sua destra. "Usiamo questo per parlargli. Soprattutto quando ha una delle sue crisi."
Annuisco, riportando lo sguardo su Harry. Ha un camice bianco a rivestirgli il corpo, i capelli tenuti indietro da un fascia e lo sguardo perso sul foglio che sta ricoprendo di parole su parole.
Accanto a lui, c'è una plica di fogli posti accuratamente uno sopra l'altro. "Come sai" dice la dottoressa e, sebbene non la stia osservando, le presto attenzione. Nonostante tutto, Harry è capace di attirare il mio sguardo più di quanto abbia mai fatto chiunque altro. "Scrive per ricordarsi chi è."
Serro le palpebre, annuendo. Rimaniamo in silenzio, io con gli occhi fissi sul ragazzo che amo e che ho scoperto amarmi a sua volta. Non me lo ha mai detto. L'ha solo scritto, mentre io continuavo a pregare che quelle piccolissime paroline dalla portata enorme potessero abbandonare la sua bocca delicata e rosea. Non so quanto tempo passa, ma comunque lui continua a scrivere ininterrottamente, come se quella fosse la sua unica possibilità di salvezza. Ed è proprio così. E' passato troppo da quando l'ho visto, e sebbene io lo conosca benissimo, in questi momenti mi sembra di star vedendo uno sconosciuto totale. All'improvviso, noto il suo braccio che inizia ad avere degli spasmi, la mano che regge la penna inizia a tremargli ed è costretto a smettere di scrivere, stringendola nell'altra. Appoggia la fronte contro il tavolo in legno e il mio cuore inizia a battere. La Paltrow è irremovibile e non ho idea di cosa fare.
La schiena di Harry si piega e noto chiaramente degli scatti che non gli si addicono per niente. Le sue labbra si muovono come se stesse parlando a se stesso, gli occhi sono chiusi e le palpebre che si stringono sempre di più. Poi le sue braccia si spalancano e le mani si stringono attorno al bordo del piccolo tavolo. Lo rovescia con uno scatto e si alza in piedi, rabbioso. Si scaglia contro un cespuglio, per poi cadere a terra e riempire di pugni il terreno, come se stesse intavolando una lotta.
Ed è proprio così.
La Paltrow aziona subito il microfono. "Jake!" urla, e la sua voce rintrona per tutto il complesso. Urla tre volte il suo nome prima che il ragazzo si giri verso di lei, con lo sguardo inferocito e la bocca piegata in una smorfia. "Jake, concentrati!" grida la dottoressa e appena il mio sguardo si scontra con quello di Harry ferito dal sole, mi rendo conto di essermi appiattita contro la parete, terrorizzata. Lentamente, i fogli che Harry ha fatto volare per aria, si adagiano sull'erba piatta e il suo respiro rallenta. Quando socchiude gli occhi e scorge la mia figura terrorizzata, si blocca e il suo sguardo si spalanca. Respira profondamente.
Si mette in piedi e viene contro il vetro, appoggiandoci una mano sopra. Le dita sono allargate, come se volesse che la appoggiassi sopra come accade sempre nei film.
Ma questo non è un film, è la realtà, ed Harry deve ancora riuscire a distinguere e separare bene le due cose. "Jessica" mima con le labbra. Io distolgo lo sguardo. Mi chiama a voce più alta ora, ma non posso farlo, non ce la faccio. Guardo la dottoressa.
"Mi porti via."
Lei annuisce. Lascia il microfono attivo e mi prende una spalla, ma prima che possa abbandonare la stanza, vedo Harry piegarsi per terra e spostare freneticamente tutti i fogli sparsi, girando a controllarli uno per volta. Scuoto il capo, ma poi la sua voce risuona per la stanza, nonostante sia al di là del vetro. "Dottoressa!" urla, sventolando un foglio in mano, scritto da entrambe le parti. "Dottoressa!" la chiama ancora, facendola bloccare. La Paltrow mi spinge via, facendomi tornare indietro lungo il corridoio mentre lei va da Harry.
Quando riapro la porta in legno, Liam giocherella con il telefono sulla poltrona di fronte la scrivania. Solleva subito lo sguardo. "E' successo qualcosa?" mi chiede, ma prima che possa dargli una risposta, ecco la dottoressa che riappare alle mie spalle, porgendomi lo stesso foglio che Harry stava sventolando qualche istante prima.
Mi giro a guardarla e lei con lo sguardo mi indica il foglio che regge in mano. "E' per te."
Lo afferro con titubanza, poi Liam guarda la dottoressa. La Paltrow annuisce ed entrambi escono dallo studio, lasciandomi sola dentro queste quattro mura. Mi siedo sulla poltrona della dottoressa e sistemo il foglio, notando la stessa calligrafia di quelle lettere che ho letto. Questa però è datata tre giorni fa.

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