Chapter twenty eight

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Liam's POV

E' il terzo giorno consecutivo, e Styles rimane sempre lì, seduto dietro la scrivania in ciliegio, smuovendo tra loro i polsi circondati dalle spesse manette di metallo.
Ha lo sguardo perso sulla catenella, il corpo inchiodato alla sedia e circondato da poliziotti.
Lo guardo, rimanendo con le braccia incrociate al petto e appoggiato al muro alle mie spalle.
Continua ad avere gli occhi annebbiati, il labbro inferiore che trema e delle borse così profonde che riescono a distinguersi benissimo al di sotto del ciuffo riccio che gli ricade sul viso dimagrito.
Le lancette dell'orologio ticchettano, e lo scandire del tempo fa tendere i miei nervi così tanto da poterli fare saltare al minimo movimento.
Sono passati tre giorni, ed Harry Styles continua a dirmi che non c'entra niente in tutto questo.
"Io non volevo fare del male" sussurra, sollevando talvolta le mani ammanettate e appoggiandoci contro al fronte. Poi le fa ricadere pesantemente sulla scrivania, guardandomi con i suoi occhi verdi lucidi.
Il ticchettio dell'orologio è l'unico rumore in questa stanza, la luce bianca che si proietta su Harry rende il suo corpo ancora più ricurvo, come se volesse chiudersi in sè più di quanto sia già. Stringo i fogli che ho in mano e mi avvio verso di lui.
Sbatto la plica sul bordo della scrivania, ma l'unica cosa che ottengo in risposta è Harry che stringe ancora di più le mani in pugno.
"Senti" dico tra i denti, e se potessi prenderei tra le mie mani il suo bel faccino e l'obbligherei a guardarmi negli occhi. Odio quando non prestano attenzione alle mie parole, chiunque sia. Harry è diverso da Jessica. Lei mi ha sempre sfidato, guardandomi negli occhi anche più del dovuto. Solo quando aveva qualcosa da nascondere non si azzardava a puntare i suoi occhi azzurri su di me, e riuscivo chiaramente a percepire le vibrazioni che il suo corpo emanava. Harry sta facendo la stessa cosa.
Eppure non sa che riesco a far parlare anche quegli umani che sono condannati all'ergastolo. "Sono stanco di fare questo giochetto con te."
Harry ha gli occhi fissi sulla catenella che gli lega i polsi, i capelli sciolti sul viso. Stringo la mascella. "Io ti farò parlare, Styles, è inutile che continui a nasconderti."
Harry finalmente solleva il capo, rivolgendomi i suoi occhi arrossati e le labbra spaccate, come se se le fosse morse ripetutamente fino a quando non avesse sentito il sapore ferroso del sangue sulla lingua.
"Io non c'entro niente" mi dice con voce roca e a quel punto sbatto il palmo della mano sulla scrivania, facendolo spaventare.
"Smettila, smettila di dirlo!" Punto con l'indice i fogli sul tavolo, non distogliendo mai lo sguardo dal suo. "Tu devi parlare, Styles, o giuro che ti torturerò fino a quando le parole non cadranno supplicanti dalla tua bocca."
"Payne" dice una guardia, ma lo zittisco fulminandolo con un'occhiataccia.
Harry stringe i denti, e noto il suo pomo d'Adamo sollevarsi e abbassarsi ripetutamente come se fosse a disagio. "Tu non sei nato il primo di Febbraio, tu non sei americano e i tuoi genitori non dovrebbero essere a Londra, in quanto sono tra gli imprenditori più famosi di Chicago. Avresti dovuto fare attenzione al tuo curriculum prima di parlare con la signorina Jessica Lawrence."
Harry mi guarda, assottigliando gli occhi, ma continua a non parlare, come se il solo pronunciare il nome della sua fidanzata non gli avesse fatto alcun effetto.
"Ho capito a cosa stai giocando" dico, abbassandomi verso di lui e coprendolo con la mia ombra. "Ma sappi che io rimango sempre più bravo e furbo di te."
"Payne" mi avvisa l'ufficiale Parrish, indicandomi con un cenno del capo la porta trasparente alle mie spalle. Seguo la traiettoria del suo sguardo e annuisco.
Mi stacco dalla scrivania, mentre Harry sbatte furiosamente le manette metalliche contro il bordo della scrivania. "Continuerò sempre a dire che io non c'entro niente in tutto ciò."
"Abbiamo le prove" dico in tono consapevole e canzonatorio mentre mi avvio verso la porta. Circondo il pomello con la mia mano e in un breve flash mi viene in mente Jessica che blocca il mio movimento. Serro gli occhi per scacciare l'immagine dai miei pensieri, stringendo la presa intorno al pomello. "Sappiamo sei stato tu nonostante i trucchetti che hai utilizzato per mascherarti. Credi davvero che saresti potuto sfuggire a me?" dico guardandolo da sopra la spalla. Harry espira rumorosamente dalla narici e sbatte di nuovo i pugni contro la scrivania. Giro il pomello, aprendo la porta. "Forse con me non parlerai, ma finalmente dopo tre giorni riuscirò ad estrapolare da te tutto quello che tieni racchiuso in quella mente."
La dottoressa Paltrow saluta, entrando nella stanza con il giubotto già sbottonato. Studio i suoi movimenti, nonostante la mia voce sia ancora rivolta ad Harry. "La psicologa mi darà una mano."
Harry indietreggia di scatto con la sedia e tre guardie si avvicinano a lui, tenendolo fermo e seduto nonostante il suo sguardo sia spalancato e rivolto verso la dottoressa appena entrata che, lentamente, fa scivolare la giacca dalle sue spalle. Assottiglio lo sguardo nella sua direzione, mentre la Paltrow si avvicina e si appoggia con le mani al bordo della scrivania. Ha un elegante completo nero addosso, i capelli sollevati sulla nuca con una pinzetta e lo sguardo indagatore. Harry e la dottoressa si guardano, il primo con lo sguardo completamente terrorizzato. Non l'ho mai visto così, nemmeno quando siamo andati a prenderlo da casa sua. La dottoressa ha un guizzo impercettibile all'angolo delle labbra carnose, leggermente colorate con una tonalità rosea. Le schiude piano.
"Bene, bene" dice, continuando a studiare con lo sguardo Harry. Allunga una mano verso di lui, mentre io rimango in disparte, quasi addossato alla parete. Gli sfiora il mento, ma Harry muove la sua testa in scatti meccanici, serrando le palpebre. Le guardie lo immobilizzano, tenendogli il capo e le spalle immobili. La dottoressa rimane con la mano a mezz'aria, questa volta sorridendo apertamente. "Finalmente capisco tutto."
Aggrotto lo sguardo. "Cosa intende?" chiedo, dubbioso. C'è qualcosa di più profondo del solito qui, e sono motivato a trarlo fuori con i denti, se necessario.
La Paltrow si gira verso di me, indicando Harry con il pollice alle sue spalle. "Io e il signor - com'è che ti conoscono? Styles?" appunta, rivolgendosi al diretto interessato.
Noto il labbro di Harry che trema e riporto lo sguardo sulla dottoressa che mi punta nuovamente gli occhi addosso. "Io e il signor Styles ci conosciamo da un bel po', direi. O no, Harry?" dice, sottolineando il suo nome. Stringo i denti.
La Paltrow mi indica la sedia esattamente posta di fronte ad Harry. "La prego, agente Payne, si sieda. Io ed Harry abbiamo una storia da raccontarle."
Le guardie mantengono il viso di Styles, impedendogli di agitarsi. Lo vedo così pallido che, se fosse stato libero, si sarebbe volatilizzato in un minuto. Annuisco e mi avvio verso la sedia, con la dottoressa che mi guarda con le sopracciglia sollevate e un sorriso ad incresparle il volto.
Mi siedo, appoggiando i gomiti contro la scrivania. Guardo Harry negli occhi, annuendo di nuovo. "Prego, dottoressa" dico, socchiudendo le palpebre. "Parli pure."

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