Amnesia

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"It hurts to know you're happy
And it hurts that you've moved on
It's hard to hear your name
When I haven't seen you in so long"

Percy tiró su con il naso, e si chiese se avrebbe mai smesso di piangere.
Il suo corpo era fatto per il 75% di acqua, okay, e lui amava l'acqua, ma non poteva tutta uscire dagli occhi in meno di un giorno, no?
In un primo momento aveva aderito a pieni voto a quell'ipotesi. Man mano, invece, le sue sicurezze erano andate sfumando, perché stava piangendo davvero troppo, e non riusciva neanche a smettere.

Era steso sul suo letto, le copert tirate fin sopra al mento e il viso ormai infossato nel cuscino, zuppo di lacrime. Non sentiva freddo, eppure aveva addosso solo un paio di boxer.
Diciamo solo che il suo corpo -cervello, quella piccola parte che era rimasta intatta del cuore, i nervi, le lacrime, il sangue, e ogni singolo tipo tipo di cellula presente nel suo corpo- erano concentrati a piangere e disperarsi.
Il suo sguardo era ovattato dalla patina di lacrima che aderiva agli occhi, e che cresceva sempre fino a cadere.

Però riusciva a scorgere il posto vuoto delle lenzuola davanti a lui.
Un singhiozzo lo scosse, l'ennesimo perlopiú, quando immaginó la figura di un biondino abbandonato lì, con la mano tra il viso e il cuscino e la bocca dischiusa, gli occhi ghiaccio coperti dalle palpebre e l'aria serena.

Era passato tanto, da quel giorno.
Se Percy chiudeva gli occhi umidi, sentiva le grida che Jason gli aveva buttato contro, e quelle di Percy, che erano straripate dalle sue labbra come un fiume in piena.
Se Percy apriva gli occhi bagnati, vedeva ancora davanti a lui la figura del ragazzo che, svelto, si infilava il maglione viola, si abbotonava i jeans, e dopo una fugace occhiata che era disprezzo allo stato puro, era corso via. Lasciandolo solo.

I singhiozzi continuavano a scuoterlo, una sua spalla era anche indolenzita. Le mani erano zuppe, non erano adatte a fare da fazzoletti.

Le lenzuola erano scomposte.
quante volte le aveva strette, in preda alla passione che Jason gli aveva donato?
Quante volte ci aveva affondato la testa, quando Jason gli sussurrava complimenti?
Perché Jason se n'era andato?
Non stavano benissimo insieme? Perché, dannzione, si erano lesionati con le parole, strappandosi la pelle e immergersi in coltelli?
Perole.
Coltelli.
Ferite.
Ferito.
Solo.

Davanti a sé, Percy si ricordò di come aveva passato le giornate dopo la scuola con il volto nelle lenzuola, inondandosi le narici del suo odore e indossando la maglia che lui aveva lasciato nel suo armadio.
Non voleva dimenticarlo, eppure l'odoreera svanito e sua madre era finita col lavare tutta la roba.

Se poggiava il viso più in là, sentiva un altro odore. Il cugino di Jason, quello che aveva portato a casa la sera prima, che aveva accarezzato e fatto suo, il quale aveva lasciato il suo numero sul comodino, il suo profumo, e un bacio freddo sulle labbra del moro.

E poi un mal di testa atroce lo consitrinse a chiudere gli occhi, e rivide quel momento della sera precedente in cui aveva mandato a quel paese Jason. Come aveva potuto?
Non era stato lui, lo giurava. Non era lui, in quel momento.
Lui l'avrebbe stretto e baciato in quel momento.

"Oh Santo Olimpo, Percy!" Esclamó una voce, dall'uscio della porta. Percy dovette tirare più volte su con il naso, stropicciarsi gli occhi e asgiugarseli con il dorso ancora umido della mano, prima di notare una figura bionda avvicinarsi e sedersi sul suo letto.
Era ancora tutto sfocato, finché la figura non passò i pollici vicino ai suoi occhi, contemporaneamente e delicatamente, e davanti al moro apparve la figura della sua migliore amica, Annabeth.

Era preoccupata in viso, si vedeva. Chissà se l'aveva chiamata sua madre.
Non sarebbe stata la prima volta.

"Perché stai ancora piangendo, Percy?" Chiese, premurosa. Il ragazzo avrebbe spiegato tutto, parlare ad Annabeth serviva sempre, ma non sapeva neanche lui perché stava piangendo.
Aveva cominciato quando Nico era uscito dalla sua stanza dopo averlo chiamato timidamente fidanzato, e a Percy era collassato il cuore.

Non si sentiva pronto, e allo stesso tempo si sentiva dannatamente in colpa, perché stava sfruttando la persona a cui piaceva da smepre, solo per dimenticarne il cugino.

"Ho saputo da Reyna che Piper le ha detto che Will le ha raccontato che Nico, ieri sera, è venuto a casa da te. E che... hai capito. È vero?"
Percy, seduto con le gambe scomposte, la schiena ricurva e le braccia pesanti lasciate accanto ai suoi fianchi, fece un cenno con la testa vicino al suo comodino, dove Nico aveva lasciato il suo numero.

"Secondo lui siamo fidanzati" sussurró, asciugandosi i residui del temporale di prima che l'aveva inondato.
Oh Dei, e ora perché parlava di temporali?

"Oh, Percy..."

"Devo andare a spiegargli tutto" proseguí, sicuro. Far del male ad un'altra persona? Per carità, nelle sue condizioni era riuscito a malapena ad emarginare le sue stesse ferite.
Non aveva voglia, né la forza, di far male.

"No! Percy, perché?" Continuó la bionda, scrutandolo attentamente.

"Perché io..."

"Percy, tu devi stare con Nico. Quando vuoi guarire? È passata una settimana da Jason, puoi anche alzarti e riprendere a vivere, eh. Premere il tasto play, togliere la pausa."
I suoi occhi la penetravano, ancora una volta, sembravano leggerlo interiormente. Come se le sue fibre fossero parole.

"Io e Jason stavamo insieme da tre anni..."

"E ora sei fidanzato da circa tre ore con Nico." Lo interruppe.
"Provaci" continuó passandogli il bigliettino nelle proprie mani.

Quando Annabeth, poi, lasciò la sua camera, Percy decise che se avesse chiamato quel numero, avrebbe ricominciato.
Niente più Jason, niente più biondi, niente più indossare occhiali altrui, niente più maglioni viola giganti o braccia che lo proteggessero. Con Nico ci sarebbero state maglie nere piccoline e braccia tenere ed esili, da proteggere.
Ma senza più Jason, non ci sarebbero stati rimpianti, magliette lavate, rancori, sofferenze, o strane voglie che lo assillavano e che protestavano in tutti i modi di dimenticare tutto, tutto ciò che era stato, e ricominciare da capo, anche se non era nelle condizioni esatte.

Il telefono squillava tra la sua mano sudata e il suo orecchio, aveva indossato dei jeans e si era buttato addosso la felpa arancione.
Fissava ancora il biglietto con la serie di numerini scritti di fila.
Era una grafia strana, non la conosceva per niente.
Lo sguardo di Percy ricadde, poi, su una foto sul comodino. C'era una figura che assomigliava tanto al lui di qualche mese fa che aveva il volto di un biondino tra le mani, che si metteva sulle punte per raggiungerlo e baciargli le labbra, nonsotante il rossore di questo.
Era un maledetto contrasto tra gli squilli che gli risuonavano nelle orecchie.

Quando un flebile 'pronto' li sostituí, Percy abbozzó un sorriso.
"Hey, Nico, ciao. Ti va di vederci tra un po'? Ti passo a prendere sotto casa."

E così Percy si alzó, prese la cornice e, prima di uscire dalla stanza, la fece ricadere nel cestino, tra le carte di caramelle e fogli stropicciati.

Aveva ricominciato.
Aveva dimenticato.

"I wish that I could wake up with amnesia,
Forget about the stupid little things.
Like the way it felt to fall asleep next to you,
And the memories I never can escape.
Cause I'm not fine at all"

Salve!
Non uccidetemi. Dai. Anche voi shippate giusto un po' Pernico, giusto? Bene.
ANYWAY.
Ragazzi. Ho finito "Sangue Dell'Olimpo"
Io... mi sento male. Ciò.
Leo... e... Calypso...
E la Solangelo.
E LA JERCY.
Cioè, io sto sclerando di brutto brutto.
Mi sento incopleta. La mia vita non ha più senso.

Never Be Alone // JercyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora