The weight

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"I want to go back, forget that it's over.
Painted in black, when you left me alone"

Un mese.
Trenta giorni esatti.
Settecentoventi ore.
Quarantatremiladuecento minuti.
Duemilionicinquecentonovantaduemila secondi.

Non che avesse contanto così precisamente tutti quei numeri, eh, Jason stava bene.
Se per bene si intendeva vivere monotamente una routine monotona, fatta di amici e discorsi monotoni.
O se bene volesse dire essere tristi, vivere tristemente ogni secondo della tua miserabile vita senza la persona che più ti capisse al mondo, rendendo il mondo triste, rendendo qualunque cosa si paragonasse a lei, triste, rendendoti triste.
E depresso.
Ma Jason stava bene. Una favola.

La sua depressa e monotona routine, però, venne interrotta esattamente dopo quel mese, quei minuti e secondi dopo la sera al locale, ma questo Jason non lo sapeva mentre si riparava inutilmente con un cappuccio zuppo dalla pioggia che gli cadeva addosso sulla strada tra casa e scuola.
La sorpresa che lo sconvolse così tanto da fargli bloccare le gambe e il respiro in un solo istante non fu una festa a sorpresa, o un regalo, o un qualcosa di spaventoso.
Solo un Percy, bagnato dalla testa ai piedi, seduto sui gradini di casa sua. Il viso fradicio, i capelli zuppi, i vestiti con più acqua che stoffa e l'espressione cupa.

Jason ormai era pieno di pioggia fino nei calzini, ma questo non gli importò molto, mentre Percy si alzava nervosamente e sollevava una mano per salutarlo.
Un mese fa l'avrebbe salutato calorosamente.
Trenta giorni esatti fa gli sarebbe corso incontro e, settecentoventi ore fa gli avrebbe detto che era stupido, e che doveva coprirsi.
Quarantatremiladuecento minuti fa lo avrebbe baciato lo stesso, invitandolo ad entrare.
Duemilionicinquecentonovantaduemila secondi fa, non ora.

Ora era lì, le gambe tremanti e immobili, il fiato sparito e il cuore incapace di stase al suo posto, la pioggia sulla pelle e gli occhi sbarrati.
La mano tremava nervosamente, mentre afferrava le chiavi e le tirava fuori dalla tasca.
Voleva scappare dentro casa, chiudere la porta e lasciarlo lì, magari di sasso come c'era rimasto lui a vederlo con Nico.
Ma Percy sembrava avere un'aria così afflitta e desorabilmente sola che gli fece pena.

Era passato un mese che non ci parlava, nonostante gli sguardi nei corridoi si incrociavano e lui si affrettava ad accellerare il passo, ma mai un ciao, una telefonata, un sorriso, un messaggio.
Su whatsapp, Percy (non più piccolo cucciolo di foca♡. Era una storia lunga, comunque) era finito in fondo alla lista. Perfino un certo Ottavino, 'amico' delle elementari l'aveva contattato più recentemente.
Era un mese che non si vedevano e troppi giorni che gli mancava, troppe notti passate a pensare a come fosse stato bello sentire il fiato di Percy ancora sul suo collo, il respiro man mano sincronizzato verso Morfeo.

"Jason... e-ehi" lo richiamò Percy. Si torturava le mani l'una su l'altra, un sospiro tremolante uscì dalle sue labbra.
Jason voleva fare un mucchio di cose, come osservarlo ancora, fino all'infinito, ma riuscìa camminare fino alla porta, ignorando il brivido che gli aveva procurato Percy, sfiorandolo, quando il biondo l'aveva superato.
Aveva aperto la porta, l'avevaspinta in avanti in modo che si aprisse. Poi si era scostato.

"Entra." Aveva detto, guardando gli occhi acqua del mare circontati da acqua della tempesta.

***

Percy si passo le mani tra i capelli fradici, spettinandoli ancora, mentre rientrava nella cucina, pee poi allargarsi la maglia sul petto che Jason gli aveva prestato, bagnata in alcuni punti. Non c'era nessuno in casa, a Jason non andava totalmente a genio.
Lui era seduto sul bancone. Era passata un'oretta. Prima si era fatto la doccia lui, cercando di riordinare le idee. Poi aveva ceduto il posto a Percy, ed eccolo appena di ritorno.

Perché l'aveva fatto entrare?
Era un estraneo, tanto non si salutavano neanche.

"Grazie ancora per i vestiti" mormorò piano quello.
Jason fece un gesto vago, giocando con il bordo del bicchiere. Si alzò poco dopo, fronteggiando il ragazzo.
Leggeva negli occhi di Percy la paura di ciò che Jason avrebbe potuto fargli, e questo fece sentire il biondo quasi importante.
Poi però si rassegnò, e alzò le mani per infrangerle nei capelli mori dell'altro.

Ci passò le dita, le spostò un po' da una parte, un po' dall'altra.
Sentiva lo sguardo di Percy puntato su di lui, e cercò di ignorarlo.
Quando finì, lasciò scivolare le mani sulle spalle del ragazzo.
Finalmente lo guardò, ed ebtrambi gli sguardi erano seri. Cioè, per tutti sarebbero stati tali, ma Percy capiva quanto Jason fosse incerto, così quanto lui riuscisse a captare l'insicurezza di Percy.
Jason spostò appena la maglia, poi fece un passo indietro, e le braccia ricaddero lungo i fianchi, semplici.

"Avevi i capelli spettinati" si giustificò, tornando sul bancone.
A Percy non serviva questa spiegazione, sentiva ancora i brividi perforargli il corpo.

Si sedette sulla sedia del tavolo, guardandosi intorno.

"Non è cambiato molto, eh?"

"È passato solo un mese, sai..." rispose, forse troppo acidamente, il biondino.

"In un mese le cose cambiano."

"Si, come i pensieri su una persona."

"A chi ti riferisci?" Lo sguardo di Percy lo perforò, facendolo sentire messo a nudo, nonostante fosse più alto lui, seduto sulla penisola della cucina.

"Perché sei qui?" Cambiò invece argomento.

"Perché... volevo parlarti..."

"Di cosa?"

"È tanto che non ci sentiamo, Jas"

"Forse c'èun motivo." Jason saltò giù dal bancone, ancora, e sospiró.
"Non posso più dir niente su di te, vero? Non mi appartieni più..." Jason gesticolò, a suo agio. Voleva farlo sentire un po' sciocco, come si era sentito lui la sera di un mese fa.

"Io non intendevo-"

"E io si. Non mi appartieni più, un giorno tornerai a fidanzarti e-"

"Io sono già fidanzato" dichiarò Percy, e di colpo, tutto ciò che Jason aveva solo immaginato, con la consapevolezza che ci fosse una speranza negativa si avverò, in un puf.
Era come un secchio di acqua gelato in una giornata con dieci gradi al sole.
Gelato, ghiacciato, malato, speventoso.

Era come se Percy avesse velocemente dimenticato lui e gli anni insieme, e avesse giàpensato al futuro.
Non era sbagliato, ma Jason non ci era proprio riuscito.

"Da... da quanto?"

"Un mese. Cioè, domani..." Jason lo guardò, cercando inutilmente di non mostrarsi spaventato, ma il respiro era intrappolato nei polmoni e non ne voleva sapere.

"Nico, vero?" Sbottò, i pugni serrati, il labbro interiore tra i denti.

"Si Jason. Ma io... mi spiac-"

"E di cosa?" Mormorò a dentri stretti.
"Ci siamo lasciati, oh dannazione. Puoi fare ciò che ti pare, intesi?"

Percy non era convinto, ma annuì.
Passarono attimi in cui il silenzio era arpionato a loro e non voleva lasciarli in pace, assolutamente, ma prima o poi qualcosa doveva succedere.
"Forse è meglio che vada" proruppe il moro dopo vari minuti, alzandosi.
Jason annuì, piano, con scarsa convinzione.

"Però... Jason?"

"Mh?"

"Restiamo amici. Ti prego." Jason lo guardò, lo scrutò, cercando di non divorarlo con gli occhi. Poi annuì piano.
E prima che Percy chiudesse la porta dell'ingresso, in cui si era già trasferito, gli urló qualcosa.
Giusto perché, se lui non ci capiva nulla, non doveva farlo neanche Percy.

"Salutami mio cugino, poi!"

"You tell me you were happier with him,
you want me to stay
And you tell me that you needed time
but you push me away
But then you try to take me back,
my heavy heart just breaks
No, I can't lift the weight"

Grazie a chi legge e vota.
I vostri commenti sono magnifici, davvero ragazzi :3

Never Be Alone // JercyWhere stories live. Discover now