Capitolo 1- Istinto

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Capire la psiche umana è impossibile.

Se una persona viene paragonata a un animale, tende a offendersi e ad andarsene per la sua strada; eppure nelle situazioni di maggiore difficoltà, l'essere umano agisce quasi impulsivamente, come se rispondesse a un comando innato. Molti lo chiamano "cervello", "esperienza", "reattività", ma la ragazza sapeva benissimo che quel sentimento era presente nell'animo da molto più tempo: l'istinto.

Esso l'aveva sempre guidata durante le difficili prove alle quali era sottoposta ogni maledetto anno e ora sentiva che stava, nuovamente, crescendo dentro di lei, mentre stringeva il suo mitragliatore SN6 tra le mani e si dirigeva verso l'Area Prova. Ma non c'era tempo per riflettere, doveva agire e basta e, dopo sedici anni vissuti in quella situazione, sapeva che ogni singolo barlume di ribellione, di anticonformismo, sarebbe stato punito severamente.

Si avvicinò al pannello di controllo, inserì i suoi dati e il suo codice personale (che ogni ragazzo era tenuto, o meglio, obbligato a possedere) e si preparò alla dura prova che l'attendeva. Ormai si era abituata, ma ogni volta, ogni anno che si trovava sotto il loro sguardo attento provava un guazzabuglio di emozioni, che andavano dall'orgoglio al terrore puro, passando per le contorte vie dell'ansia e della rabbia.

In attesa del consueto segnale, gli occhi della ragazza si soffermarono sulla sala dove si trovava: non era molto grande, la pianta era quasi un quadrato ma, tra la fioca luce azzurrina che provvedeva da sola a illuminare la stanza e lo scopo per cui era stata creata, alla giovane sembrava molto più profonda, quasi opprimente. Pensandoci bene tuttavia, in Manaol esisteva una struttura ancora più soffocante che da sempre l'aveva affascinata e spaventata; era una di quelle costruzioni che, essendo soggette a innumerevoli leggende, sapeva esercitare sia meraviglia sia timore, e l'animo della ragazza non era di certo escluso.

Un suono improvviso nel dispositivo che aveva all'orecchio la riportò alla feroce realtà. Udì un brevissimo allarme, segno che l'esame era iniziato, e alzò nervosamente l'arma con la quale era cresciuta; altro che bambole, a Manaol o dimostravi da subito di avere uno spirito forte e ubbidiente o...peggio per te.

All'improvviso, nella luce soffusa della stanza si intravide un improvviso bagliore: era un bersaglio, fortunatamente immobile, che la ragazza disintegrò con un singolo proiettile. In meno di un minuto, la stanza si riempì di obiettivi fissi, mobili, alcuni volanti, sia verdi sia neri e la giovane puntava proprio a questi ultimi per ottenere un punteggio finale maggiore.

Iniziò a sparare a raffica, tentando nel frattempo di compiere molte azioni difficili come salti mortali, schivate feline e distruzione di più bersagli con un singolo colpo. Agli occhi di molti sembravano movimenti molto difficili ma la ragazza aveva passato tutta la vita a danzare tra i proiettili e di certo non lo avrebbe smesso di fare proprio ora che voleva impressionarli. Che DOVEVA impressionarli.

Dopo circa una decina di minuti, la giovane udì per la seconda volta il richiamo e, con un gesto che ostentava speranza e decisione, alzò la testa e cercò con lo sguardo l'esaminatore.

Impossibile da non trovare: alto più di due metri, la pelle nera come una pantera dove vi erano molte sfumature verdi e fucsia che si spostavano in continuazione, come se il suo corpo fosse liquido o plasmatico.

I caldi e decisi occhi castani si intrecciarono con quelli bianchi e freddi della creatura che, con la caratteristica voce rauca degli Aldux, disse: -Puoi andare, l'Akamai è finito. Riceverai l'esito questa sera-.

La ragazza, dopo un rispettoso e fastidioso inchino, posò la sua fidata arma e uscì dalla stanza, con la certezza che anche quell'anno avrebbe avuta salva la vita e che sarebbe trascorso come faceva di solito.

Non aveva idea di quanto si stesse sbagliando.

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