Capitolo 2.

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VACE'S POV
Erano passate due ore ed eravamo in terza ora. Tra poco ci sarebbe stata la ricreazione e non vedevo l'ora perché stava o morendo di fame.
«Sis, ci prendiamo il panino? Lo prenoto?» mi chiese. Annuii con un enorme sorriso e facendo su e giù con il capo come quando gli adulti facevano qualche domanda ai bimbi.
«Ovvio, würstel come sempre» mi misi a ridere dopo aver detto la parola "würstel".
«Come sempre» rassicuró la mia Sis con un sorriso e poi iniziò a digitare il messaggio nel suo telefono.
Passai il tempo a guardare fuori dalla finestra, a disegnare qualcosa su un pezzo di carta e a scambiare messaggi, ma il tempo sembrava non passare mai.
Il mio pensiero fisso era quel panino che non vedevo l'ora di avere tra le mani. La mattina non feci colazione -come già pensai altrimenti avrei perso l'autobus- perciò avevo una doppia fame.

DRIIIIIIIIIIN!

Ed ecco che arrivò il momento.
Tutti i corridoi si riempirono, sembravano dei tori che erano in astinenza di cibo e appena suonava la campana uscivano tutti per andare in caccia.
Quando suonava la campana o era meglio uscire prima quando non c'era quasi nessuno o alla fine quando tutti erano già fuori, altrimenti finivi per terra con mille scarpe addosso e pestata fino alla morte.
Sis e Doi erano andate a prendere i panini mentre io ero rimasta con Justin, Leo e Sharon.
Justin era il mio migliore amico e l'avevo conosciuto in un concerto quell'estate: io suonavo il clarinetto e lui il violino e poi ci eravamo ritrovati in classe insieme. Non sapevo come andavamo d'accordo perché eravamo molto diversi e uguali contemporaneamente ma ci capivamo lo stesso la maggior parte delle volte.
Era un tipo che scherzava sempre, prendeva le cose sempre con tranquillità ma se si faceva prendere dal panico "addio Justin". Era sempre stato accanto a me quando c'erano stati problemi e mi aveva sempre rassicurata nelle decisioni che avevo preso nella vita, anche se la maggior parte si rivelarono sbagliate.
Con Leo invece avevo un rapporto molto più completo perché lo conoscevo praticamente da sempre dato le nostre mamme erano state amiche da piccolo quando mia mamma viveva qui in Sicilia, ma non siamo stati legati mai così tanto perché c'era la distanza in mezzo perciò appena mi trasferii definitivamente qui in Sicilia mi sono trovata davvero bene, mi stese accanto anche quando ci fu il mio periodo "buio" anche se eravamo lontani e sapeva tutto di me. Passavamo i giorni a fare videochiamate ai tempi e sentivo la sua presenza e il volermi bene persino dietro un cellulare.
Sharon era l'unica ragazza bionda nella nostra classe. Lei era molto timida, non parlava mai con nessuno e le cose che pensava se le teneva sempre per sé però se prendeva confidenza continuava a parlare a macchinetta fin quando diventavi sorda. Era una persona molto sensibile, se le dicevi qualcosa fuori luogo scappava e si metteva a piangere. Rideva troppo ed era stata la ragazza dei "giochetti" cioè che la prendevano sempre in giro fino a qualche anno fa, mi dissero.
Non la conoscevo tanto bene perché ero qui da poco e ogni tanto appariva persino antipatica, ma le volevo bene ugualmente.
«Tieni Sis» e Johana mi porse nella mano la ragione di vivere, il mio caro e bel panino.

Ero stanca morta e mi ero appena seduta nel divano. Nell'ultima ora avevamo avuto educazione fisica e avevamo corso come quei cani che correvano in mezzo alla neve, come quei poveri animaletti che venivano maltrattati e allenati solo per fare delle gare del cazzo con le slitte.
"Zio...sei a casa?" urlai per la casa sperando che non ci fosse nessuno.
Amavo stare a casa da sola. Quelle poche volte che capitava passavo il tempo a stare in mutande, a ballare con la musica a palla e a cucinare e altre volte  capitava di farmi una bella doccia calda con il vino in mano. Decisi di smetterla di pensare e di provocare mio zio utilizzando una semplice parola per avere la conferma se era lì o no.
"Marco?" Chiesi con voce titubante.
"Polo!" ed ecco che spuntó dietro di me come un canguro.
Veniva sempre fottuto in quel gioco.
Mio zio si chiamava Jonathan e aveva 30 anni, non era né fidanzato e né sposato, diceva sempre che non faceva per lui, che la vita era una sola, e che se la godeva da solo perché in fin dei conti non aveva senso avere una donna che alla fine ti avrebbe tradito appena avuta l'occasione, e poi concludeva sempre quel discorso soffermandosi sempre su di me.
"E poi ho te! Tu sei il mio primo e ultimo amore" diceva sempre alla fine.
«Com'é andata oggi?» mi chiese mentre andò in cucina.
«Bene dai, l'ultima ora abbiamo avuto educazione fisica e ci ha torturati come dei cani il bastardo» ringhiai tra i denti dal nervoso ricordando il fiato e che ebbi alla fine della corsa.
«C'è qualcuno in bagno?» chiesi successivamente, e d'un tratto, mio zio deve sbucare la sua testa dalla cucina lasciando il resto del corpo dietro il muro della cucina.
«No, e sbrigati a farti una bella doccia pervje se continui a stare ferma lì, andrà a finire che tutta la casa farà puzza di sudore» mi offese.
«E poi dai...» alzo gli occhi verso il cielo.
«Che odore è? Di pesce?» fece una faccia schifiata.
«Cosa?» chiesi alzando il braccio e cercando di annusarmi.
In quel momento sentii un "Crack" e una luce su di me. Se la rideva alla grande.
«Pensi sempre di fottermi con quel fottuto Marco e Polo, ma ti dimentichi che io sono più grande, sono tuo zio e ho una cartella di foto tue scandalose nel mio cellulare» puntualizzó.
«Sei molto carina» mi prese in giro.
«Sembri proprio una rana» continuò.
«Ugh! Ti odio!» sbattei il piede e mi avviai verso la mia stanza per prendermi il cambio.
Odiavo quando si prendeva gioco di me, eppure tutta la scena di prima mi fece ridere un po'.
«Lo so che stai ridendo di nascosto!» urló lui fa sotto.
«Non è vero!» urlai contro.
Era inquietante come lui facesse sempre a beccarmi.
«Entra in doccia pesce puzzolente!» proseguì con lo scherzo.
«Non sono un pesce e tanto meno puzzolente, per lo meno...» tolsi la prima scarpa.
«Non mangiare le patatine di nascosto che tanto il rumore del pacco si sente da qua sù!» urlai e in cambio ricevetti solo il silenzio perché sapevo di averlo beccato pure io.
Finiva sempre così.
Risi compiaciuta ed entrai sotto la doccia.

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