Lo sconosciuto

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Capitolo 1


I lupi sono liberi: si inchinano alle leggi del branco, ma quando non c'è più posto tra i fratelli abbracciano la vita solitaria e vanno in cerca di nuovi spazi.


Ricordava perfettamente il giorno in cui incontrò quegli occhi, quel momento era impresso nella sua mente come un marchio a fuoco. Erano passati due anni e tre mesi, e ancora ricordava ogni istante con estremo piacere.
Come un'ossessione, ogni giorno attendeva quel momento, bramava quell'ora del tardo pomeriggio. Il rituale si svolgeva sempre nel solito modo; lei aspettava pazientemente, l'altro passava davanti ai suoi occhi senza voltarsi, con passo disinvolto e il viso corrucciato. Attendeva l'autobus per circa cinque minuti, e poi scompariva. Tutto qui, soltanto pochi minuti, ma per Evelyn Mitchel, quegli attimi erano divenuti essenziali. Non riusciva a capire fino in fondo il motivo di quell'ossessione, che poi era mutata in una abitudine giornaliera. L'attraeva il mistero che aleggiava intorno a quell'uomo; non conosceva il suo nome, cosa facesse per vivere, dove andasse tutti i giorni. La sua mente, colma di fervida immaginazione, spaziava dalle idee più banali, alle idee più fantasiose e assurde.
Anche quel giorno, nonostante il freddo e la lieve pioggia, attese il momento che tanto aspettava. Si era concentrata così tanto sulla strada che non sentì i passi che sopraggiungevano alle sue spalle.
«Me lo sono perso?»
Quelle parole improvvise fecero sussultare Evelyn, che si voltò all'istante, riconoscendo immediatamente quel marcato accento francese. «Margot, sei tu! Ti ho detto mille volte di non sorprendermi alle spalle!»
Margot Leroux era nata in Francia, da genitori francesi, ma viveva a Eagle Falls da quando aveva quindici anni. Non aveva mai perso l'accento, e non si era mai impegnata in tal senso, pensando che fosse affascinante e che attraesse i ragazzi. Lei e Evelyn si erano conosciute a scuola, e dopo un iniziale antipatia, era divenuta amiche inseparabili.
«Excusez-moi! È che non vorrei perdermi lo spettacolo.»
Evelyn sorrise. Aveva reso partecipe anche l'amica in quella strana abitudine. «Tranquilla, lo sconosciuto non è ancora arrivato» rispose continuando a guardarsi intorno.
Già, lo sconosciuto, era un ottimo soprannome. Dopo vari giorni di attese e di sguardi, Evelyn dichiarò ufficialmente che lo avrebbero chiamato in quel modo.
Le due ragazze si sedettero su una delle panchine vicino al parco e attesero. «Come va alla redazione?» chiese Margot masticando una caramella.
«Piuttosto bene, per adesso porto soltanto i caffè e le ciambelle, non male, eh?»
L'altra iniziò a ridere. «Pensavo fossi una giornalista, non una cameriera.»
Evelyn roteò gli occhi.
Anche a lei non piaceva essere rilegata nel punto più basso della gerarchia della redazione, ma se voleva diventare una buona giornalista doveva partire da lì e cercare di fare carriera con forza d'animo e determinazione.
«E a te come va? Riuscirai a suonare nell'orchestra?» rispose cercando di cambiare argomento. «Cercano un paio di violiniste, io mi sono presentata per l'audizione. Mi faranno sapere, come sempre.»
Evelyn annuì con forza, sapeva che la sua amica aveva un talento innato e sperò che il provino fosse andato bene. Cercò di dirle che le augurava buona fortuna, ma le parole le morirono in gola.
Lo sconosciuto stava arrivando.
Fu come bere acqua fresca nel deserto, come prendere aria dopo che si è stati sommersi per lungo tempo.
Spuntò all'orizzonte con le mani nelle tasche dei jeans e il solito incedere lento, ma deciso, puntuale come sempre. Entrambe si voltarono in quella direzione, pronte a godersi quegli attimi di piacere che allietavano le loro giornate.
Gli occhi di Evelyn si posarono sul viso dai lineamenti forti, sul pizzetto che circondava le labbra carnose e delicate e sui capelli folti e scuri. Infine osservò quegli occhi misteriosi, pieni di qualcosa che lei non riusciva a decifrare. Non solo erano di una forma quasi felina, erano di due colori diversi. L'occhio destro color del ghiaccio e l'altro nero come la pece. Le spalle larghe e possenti erano coperte dalla solita giacca di pelle. I jeans, che evidenziavano i muscoli ben definiti delle gambe, erano neri e strappati sulle ginocchia. Ai piedi portava degli stivali da motociclista.
Quando lo sconosciuto passò oltre la panchina, senza degnarle di uno sguardo, le due ragazze si voltarono per osservare la schiena e i glutei scultorei.
«Chiappe di marmo...» sussurrò Margot inebetita da quello spettacolo.
«Come può essere ogni giorno più bello?» replicò Evelyn continuando a fissarlo.
Lo sconosciuto arrivò in poco tempo alla fermata dell'autobus, dove rimase in piedi ad aspettare.
«Devi andare da lui» concluse Margot ricomponendosi.
«Sai, ho cercato su google, è raro, ma anche le persone possono avere gli occhi di due colori differenti»
«Interessante... ma hai sentito cosa ho detto?» Evelyn si voltò verso l'amica. «Ho sentito, ma cosa dovrei dire? È imbarazzante.»
«Improvvisa. Cerca di far emergere la giornalista che è in te.»
Evelyn sospirò, cercando di riflettere velocemente. Dopo tutto quel tempo doveva fare qualcosa, non poteva rimanere su quella panchina per tutta la vita aspettando di vederlo passare. Erano mesi che pensava a cosa potesse dire, ma nessuna delle sue idee era convincente.
«Eve, tra poco arriverà l'autobus. Sbrigati» insistette Margot.
L'altra si alzò in piedi, lo sguardo deciso e i pugni stretti. «Hai ragione. Adesso vado lì e... no, non posso» balbettò sedendosi nuovamente.
Margot le strinse un braccio e cercò di farla alzare, quella storia doveva finire o quanto meno cambiare. «Ti prego, ne va della mia salute mentale» Evelyn controllò la fermata dell'autobus, lo sconosciuto era ancora immobile. «Okay, va bene. Hai ragione. Sono pronta» così dicendo si alzò lentamente e, con passo incerto, si incamminò lungo la strada.

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