Capitolo 57 "Pensiero di un giocatore e di un' allenatrice"

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(Pov. Jorge)

In molti si sono chiesti cosa pensa un giocatore di calcio???

beh ora scoprirete cosa penso io ovvero cosa pensa un giocatore professionista di calcio.

Chi non ama il gioco del calcio si perde qualcosa della vita. Pare che questa opinione sia stata

espressa da Bertrand Russell, il grande filosofo e matematico, ma certo è anche l'opinione di tutti

quei milioni di tifosi che nel calcio trovano un irrinunciabile appuntamento. Qual è l'origine del

fascino di questo sport che riesce a coinvolgere masse di persone di ogni ceto sociale, ad

accendere discussioni e a fare, letteralmente, soffrire e delirare il pubblico?

Le caratteristiche del calcio sono essenzialmente due: primo, è uno sport di squadra, cioè di

gruppo; secondo, è uno sport che si serve di una palla. Per questi motivi, apparentemente ovvi e

scontati, la psicologia può dire qualcosa sul calcio, non con la pretesa di interpretare altezzosamente

una realtà sociale complessa e talvolta persino drammatica, quanto nel senso di porgere un punto di

vista, probabilmente un po' diverso, dal quale osservare lo sport del pallone.

In quanto sport di gruppo, il calcio richiede a chi lo gioca, più che in altri sport, un intervento del

pensiero e soprattutto la capacità di interagire con altre persone e di regolare il proprio

comportamento su quello dei compagni di squadra, degli avversari e del pubblico, che infatti viene

spesso definito «il tredicesimo giocatore», specialmente quando è molto rumoroso e partecipativo.

Il giocatore che non aizza né provoca il pubblico, ossia che mantiene il controllo di se stesso, è

quello che meglio usa le sue capacità di collaborazione e il suo comportamento viene giudicato «da

serio professionista».

Ai giocatori si richiedono dunque notevoli capacità di adattamento alle esigenze della squadra, «il

collettivo», poiché le varie abilità tecniche che costituiscono «la classe», cioè velocità, destrezza di

movimenti, capacità di controllo del pallone («i piedi buoni»), doti acrobatiche e coraggio devono

essere sottomesse alle esigenze del gruppo: «Il ragazzo ha classe da vendere, ma deve imparare

a sacrificarsi per la squadra». Così la responsabilità del risultato viene sempre condivisa anche

quando alcuni giocatori «i fuoriclasse» - danno maggiori contributi alla vittoria: «Non faccio

graduatorie di merito, dicono gli allenatori, si vince e si perde in undici».

I meccanismi della vertigine collettiva.

Ma i giocatori devono regolare il proprio comportamento anche in base all'evoluzione della partita,

tant'è che quando la squadra è in vantaggio devono sapere «amministrare» la partita. Il calcio è

dunque un gioco, per così dire, intellettuale, perché non si accontenta della forza atletica, ma implica

un primato della ragione e della creatività quando richiede «l'invenzione» di un Maradona,

l'intelligenza di un Platini o la capacità di giocare d'anticipo come mossa strategica.

L'allenatrice di CalcioWhere stories live. Discover now