16. La Stanza del Tè

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Temo che Dalila abbia torto riguardo a tè e pasticcini, perché quando le nubi rosa si abbassano dileguandosi, quello che ci troviamo davanti è una distesa di bassi e piccoli tavolini viola, imbanditi di torte, dolciumi, biscotti, teiere e tazze impilate una sull'altra, alcune crepate, altre in equilibrio così precario che ci si sente in dovere di sussurrare.

Eppure quello che penso spinga Didì ad afferrarmi la mano per stringerla in una morsa, sono l'infinità di bambini seduti ordinatamente sulle piccole sedie di plastica, che, appena percepiscono il nostro arrivo, voltano meccanicamente la testa verso di noi. Tutti contemporaneamente.

Per un attimo riesco solo a deglutire la saliva che aumenta in gola e, solo dopo, noto che tutti, sia maschi che femmine, sono vestiti elegantemente con abiti confezionati su misura e hanno le labbra cucite con gli angoli verso l'alto, in un sorriso strambo.

«Oh, Cristo sulle Furie!», esclama Didì, e penso che non sia un buon segno sentire quella strana imprecazione a distanza di così poco tempo.

«Che facciamo?», dico spaesata.

«Oh, my love! Perché lo chiedi a me? Pensi che io sappia che fare con questi dannati

raccapriccianti bambolotti? Forse dovremmo buttarci a terra e fingerci morte», sussurra la drag queen a una velocità incredibile. Non so come riesca a parlare così rapidamente senza mangiarsi nessuna parola.

La grande distesa di bambini è ancora immobile e in silenzio, sempre voltata verso di noi. Grandi occhi seri ci squadrano e per un attimo mi chiedo chi avrà il coraggio di accennare il primo movimento.

Con la coda dell'occhio noto che alle pareti della stanza sono ammassate montagne di giochi: peluche, trattori, soldatini, palle, bambole, trenini. C'è persino una giostra con i cavalli, mentre gli altri giochi non riesco a riconoscerli, perché sono disassemblati in diversi pezzi.

Solo quando Didì esclama, «Oh, per carità! E adesso?», mi accorgo di una piccola figura che cammina verso di noi.

Indossa un completo verde scuro e il colletto della sua camicia è coperto di macchie scure. Forse inchiostro. Il bambino si avvicina con passi veloci, tenendo stretta al petto una bambola con gli occhi arancioni e lunghi boccoli neri.

Mentre mi irrigidisco e sollevo lo sguardo sugli altri bambini immobili, sento Didì mettersi dietro alle mie spalle, lasciandomi in prima linea.

Il bambino si ferma a un metro da me.

Ora riesco a vedere che quelli sulla sua bocca paiono fili di ferro, ormai diventati da tempo parte della sua carne, come vene scure sotto pelle. Il sorriso inquietante è sconnesso dai suoi grandi occhi scuri, che mi fissano disorientati.

Vedo che la guancia della sua bambola è rotta. Deve esser fatta di porcellana.

Qualche istante dopo la sua manina si allunga verso di me e, anche se spaventata, afferro la sua presa, mentre Didì bisbiglia: «My love!». Mi volto verso la drag queen, facendogli segno di seguirmi, mentre l'inquietante e minuscola figura mi conduce silenziosamente tra i tavoli.

Tutte le piccole teste nella sala si voltano al nostro passaggio.

Dalila e io prendiamo posto al tavolo del nostro accompagnatore. Stranamente, a differenza degli altri tavoli, le sedie restanti sono occupate unicamente da giocattoli, non da altri bambini.

Vedo Didì spostare la sedia educatamente e sedersi come meglio riesce a terra. È troppo grande per quella sistemazione. Sembra un gigante trasportato in un modellino giocattolo. Lo vedo sorridere nervosamente con il panico negli occhi, mentre il bambino prende una teiera e gli allunga una tazza scheggiata.

«Oh! Bene! Proprio il tè che avevo chiesto poco prima. Che fortuna! Grazie!», dice iniziando a ridere istericamente, mentre stringo le dita alla mia sedia.

Mi pare di vedere la bambola di fronte a me sbattere gli occhi arancioni un paio di volte, mentre Dalila si lascia andare a un fiume frenetico di parole: «Mia madre ne preparava uno uguale sai? De-li-zio-so! Ma credo che questo sia ancora più buono. No! No! È sicuramente più buono. Ha forse dei frutti rossi o della cannella dentro? Mi sembra di riconoscere anche dello zenzero!»

Percorrendo la stanza, il mio sguardo si blocca su qualche particolare che non avevo considerato prima.

Sulla parete più vicina a noi, dietro a un alto cumulo di giochi, si può scorgere un punto in cui la carta da parati è strappata e, sotto, sbuca appena l'angolo di una porta. Premo violentemente le labbra tra loro e mi volto cercando lo sguardo di Dalila, perso ora a inneggiare i versi di una qualche poesia sconosciuta, con gli occhi chiusi e le braccia spalancate al soffitto.

«Didì», dico pacatamente.

«... sì sì e poi c'è sicuramente la canzone di David Bowie! Rock 'n Roll Suicide! Che attenzione, signori! Quella è POESIA cantata. La conosci? No? Quella che fa...»

«Didì», ripeto a voce più alta.

«Oh, no love! You're not alone! You're watching yourself but you're too unfair! Oh, no love! You're not alone! Gimme your hands cause you're wonderful!», si mette a cantare, gridando con gli occhi chiusi e iniziando a dondolare, perso nella sua canzone.

Cerco allora di scuoterlo, o perlomeno di afferrargli un braccio, perché mi accorgo che c'è decisamente qualcosa che non va.

Alla giostra che ho notato appena entrata nella stanza, sono attaccati dei cavalli veri e mi si contorce lo stomaco nel vedere le aste di ferro conficcate direttamente nei loro sterni. Mi chiedo come facciano a essere ancora vivi.

È come se i miei occhi si fossero abituati all'ambiente e ora potessi vedere particolari inquietanti prima invisibili.

Come ad esempio i pezzi di corpo, le gambe e le braccia umane che spuntano dai cumuli di giochi ai bordi della stanza.

«Didì! Dobbiamo andarcene!», grido alzandomi in piedi.

Ma lui mi guarda e per un momento cerca di trattenere la risata premendo la mano sulla bocca, poi scoppia a ridere a crepapelle, afferrando un altro pasticcino.

«Smettila di ingozzarti! Non devi mangiare questa roba!», gli dico, prendendogli il tartufo al cioccolato dalle mani e buttandolo via.

«Oh, senti! Non è che ora, solo perché tu sei così secca, io non posso strafogarmi! Io adoro i pasticcini! Adoro, adoro la cioccolata e che si fotta miss Web e le sue prediche che bisogna tenersi in forma per lo show! Io sono una fucking pizza queen in ogni caso!», strilla impazzito.

Il bambino mi guarda calmo, seduto sulla sua sedia, e la sua tranquillità mi mette i brividi, come se qualsiasi cosa io avessi in mente di fare ora, sarebbe ininfluente.

Totalmente inutile.


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroWhere stories live. Discover now