1. Sangue e camelie

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Per tutta la vita ho sentito qualcosa di violento dentro. Era uno sbattere d'ali lungo la spina dorsale, dei passi dentro il mio cervello. Vedete, il mio problema è che sono sempre stata innamorata della mia tristezza, del modo particolare che ha di strapparmi piccoli lembi di pelle con i suoi denti minuscoli.

Devo continuare a respirare. Devo ricordarmi di farlo, perché a volte il rumore esterno mi invade a tal punto da spezzarmi.

Sono vestita di fantasmi piegati di baci. Il sapore di un labbro tagliato mi accarezza.

Una volta custodivo silenzi che spingevano lontano, ansimavo e crescevo, con enormi radici frantumavo le stelle.

Portavo le mani sempre più in alto, quasi potessi riavvolgere sulla lingua i pugni nello stomaco.

Ma un giorno è successo qualcosa:

non ho sentito più niente.


Il primo ricordo che ho.

La terra respira, allarga i polmoni a dismisura con un vento fortissimo. Ci sono strade calpestate nell'erba alta e il frinire caldo delle cicale. Io sono seduta immobile nel sole accecante. Il vento è freddo e così violento che i capelli mi sferzano il viso, per poi liberarsi in aria come scie d'inchiostro. Cerco di tenere gli occhi aperti, perché la luce possa fare strage dentro di me, strage di questo enorme silenzio che barcolla. Grido, ma fuori le labbra restano immobili.

«Ciscandra?»

Chiudo gli occhi, mentre la terra fa un altro respiro. Il rumore che sentivo, inudibile al mondo, era così forte. Sulla pelle. Sulla lingua. Nella testa.

«Tesoro, vieni. È ora di andare.»

Mia madre mi scosta i capelli dal volto. Ha le unghie laccate di rosso.

La prendo per mano e cammino con lei verso l'auto. Non so perché, ma mi volto a fissare la sagoma del mio corpo lasciata nell'erba.

Quella è l'ultima volta che stringo la mano di mia madre. Il suo viso non lo ricordo: nella mia mente è composto da schegge di specchi che girano ritmicamente.


Secondo ricordo.

C'è mio fratello Samuel che piange e io non so che fare per calmarlo. Papà è fuori casa. La cucina è ancora piena di pentole e piatti sporchi. Samuel ha il viso paonazzo e grida sul seggiolone. Io resto a guardarlo col cuore che batte all'impazzata. Prendo il telefono.

«Pronto?»

Batto le dita sulla cornetta per tre volte e aspetto. Poi batto altre tre volte sul ricevitore.

«Cis, sei tu?»

Ancora un battito.

«Arrivo subito.»

Lascio cadere la cornetta senza riagganciare e mi avvicino a Samuel. Sono scalza. Mi sciolgo i capelli e inizio a ballare. Alzo le braccia, stendo le dita, lascio che la luce filtri nella pelle, volteggio.

Sono uno di quei fiori colmi di pioggia, calpestati da passi invisibili. Una musica nella testa mi accompagna. È il rumore del vento, è il profumo dell'elettricità, dei temporali che si avvicinano.

Samuel smette di piangere. Apro gli occhi e scopro i suoi che mi guardano seri: due stelle vecchie miliardi di anni. Gli accarezzo una guancia. Restiamo innocenti a fissarci in silenzio, come due tempeste che aspettano.


Terzo ricordo.

«Mi sta dicendo che sua figlia non parla mai?»

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora