19. Incubi

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Solo quando le ultime grida di Ridal si spengono, mi accorgo che Alibi stringe violentemente la mia mano.

Sono spaesata da questo gesto e resto a fissare la pelle colorata di verde sotto i suoi anelli ossidati.

Il buio ci avvolge ancora, ma nessuno dei due ha il coraggio di spezzare il silenzio.

E io non so cosa sento.

È come se mi vedessi da fuori, come in un film, in quelle scene che non finiscono mai.

Forse mi sento come quei paesaggi che scorrono al contrario, fuori dal finestrino del treno.

Forse mi sento come il suono dei cavi che vengono immessi nell'amplificatore.

Forse mi sento come quando ti strappi le pellicine dalle dita con i denti e sanguini senza neanche accorgertene.

Ecco. Io non riesco ad accorgermi di cosa stia succedendo.

E resto in questo sentire ovattato anche quando Alibi si avvicina e il suo respiro freddo mi bagna le labbra.

Resto inerme, anche mentre mi stringe entrambi i polsi e sento tintinnare i suoi bracciali dorati.

Resto immobile, anche mentre mi bacia e la sua lingua mi lascia in bocca una pasticca effervescente che si scioglie immediatamente.

Da quel momento, la mia vista si spezza con un lampo.


Flash.


Sono nel Teatro dei Veri Maniacali.

Ma non c'è Luce sul palco.

Al suo posto c'è una donna bionda con un lungo abito da sera grigio che scende lentamente le scale di velluto per raggiungere la platea.

Qualcosa luccica nella sua mano sinistra. Un coltello.

Provo ad alzarmi, ma solo in quel momento mi accorgo di essere legata a una sedia della platea. Ci sono altre persone come me bloccate ai loro posti che terrorizzate cercano di divincolarsi. La donna si diverte a passare tra le file di poltrone e a sfregiare le persone che gridano o piangono, senza però emettere alcun suono.

Quando arriva davanti a me, la donna sorride freddamente in un modo che mi ricorda tanto la Regina Bipolare. Poi con il suo coltello incide un triangolo sulla mia fronte, con la punta verso il basso.

«Sono diventata cattiva perché ognuno di voi mi ha dimenticato», dice mentre la ferita geometrica sulla mia fronte si colora di rosso e il sangue cola sul naso fino a bagnarmi le labbra.

Prima di andarsene la donna bionda mi slega i polsi e abbandona tra le mie braccia un fagotto di lenzuola vecchie. Solo dal calore capisco che sto tenendo tra le braccia un bambino, ma mi accorgo che è senza volto. Sfioro la superficie liscia del suo viso, cercando gli occhi, il naso o perlomeno la bocca, ma la sua faccia è completamente levigata.

«Devi prendertene cura tu. Nessuno lo farà al tuo posto.»


Flash


Una fitta alla testa e lo scenario cambia.

Sono in un atrio poco illuminato e un ragazzo indiano con addosso vestiti dai colori sgargianti pare aspettarmi paziente.

«Vuoi sapere chi eri nelle tue vite precedenti?», parla con un forte accento e il suo largo sorriso stranamente mi calma.

Mi tocco la fronte aspettandomi di sanguinare ancora, ma le mie dita sono bianchissime.

Annuisco appena al ragazzo che mi conduce in una stanzetta piccolissima e spoglia.

C'è solo un letto addossato alla parete e una sedia di legno vuota. L'unica finestra che c'è nella camera è molto in alto e ha le inferriate.

Lo strano accompagnatore spinge un carrellino nella stanza, con sopra una vecchia TV senza cavi. Dice solo: «Appena accenderai la televisione, vedrai tre immagini di te nella tua vita precedente». Poi mi lascia tra le mani un telecomando, prima di andarsene e chiudersi silenziosamente la porta alle spalle.

Quando accendo la TV, con mia sorpresa, schiacciando i pulsanti, tutto ciò che vedo è la ripresa di un utero dall'interno. Lo capisco perché dopo i primi secondi appare un feto. Ma non è per nulla come il neonato di prima.

Questo piccolo sacco di pelle ha occhi enormi e brillanti. Nel loro nero mi sembra quasi di poter vedere ardere le stelle.

Il bambino che galleggia nell'utero mi guarda fisso, senza dire una parola, sbatte solo di tanto in tanto le palpebre e per un attimo penso che potrebbe sporgersi e uscire dallo schermo per accarezzarmi una guancia.

Sostiene a lungo il mio sguardo, senza mai abbassare gli occhi.

Quando premo i tasti sul telecomando l'unica cosa che cambia sono le rughe che aumentano sulla sua pelle.

L'ultima immagine che vedo è questo feto anziano, che con sguardo penetrante e austero mi fissa, custodendo tutti i segreti dell'universo.

Mi dice solo: «Per uscire di qui devi trovarmi».


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora