❝Apnea e verità❞

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dal mio cuore,
proviene un rumore secco.
non riesco a capire se questa
sia la realtà o un sogno.

— Butterfly

ʟᴀsᴛ ᴏꜰ ᴍᴇ ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ

Dopo aver preso un caffè con Namjoon, Amber tornò a casa, finito il suo turno di lavoro, e si sedette sul letto, sorseggiando tè verde in una tazza fumante. Si beò di quel momento di riposo e, finita la sua bevanda, decise di appisolarsi. Chiuse gli occhi e si distese comodamente sul letto, senza tirar su le coperte. Ignorando persino la luce del sole che illuminava la stanza, cominciò con il suo solito rito pre-dormita: si mise ad elencare silenziosamente i difetti del suo ex-ragazzo, ridendo di quelli più irritanti per non piangere della ferita ancora aperta, ma, quando finalmente le sembrò di aver trovato pace, un fastidioso pensiero rubò il suo sonno. Non aveva niente a che vedere con il ragazzo a cui stava pensando, bensì aveva come la sensazione di star dimenticando qualcosa di importante.
Sulle prime Amber ignorò quel sesto senso, ma esso insisteva tanto che quest'ultima non riuscì a chiudere occhio nemmeno dopo aver ripetuto il cosiddetto "rito" altre due volte. Succedeva sempre così, Amber non poteva rimandare le cose a "dopo". Doveva fare tutto subito per liberarsi dell'angoscia che l'avrebbe divorata, anche per le minime sciocchezze. Così, balzò di nuovo a sedere sul letto e si scompigliò violentemente i capelli, irritata da quel senso di dimenticanza.
«Mi verrà un esaurimento nervoso», mormorò tra sé e sé, alzandosi in piedi.
Si guardò intorno, guardando distrattamente la sua camera da letto, come se il ricordo di ciò che avrebbe dovuto fare sarebbe potuto balzare fuori da un momento all'altro.
Rimase così per qualche minuto fino a quando la stanchezza distruttiva la costrinse a buttarsi nuovamente sopra le coperte. Fu in quel momento, con i lisci capelli d'orati scompigliati sul cuscino e lo sguardo stanco, che i suoi occhi verdi furono attratti dal bianco camice di lavoro, appeso ad una gruccia del suo armadio, le cui ante aveva lasciato aperte. Socchiuse gli occhi e affinò lo sguardo, mentre i pensieri si restringevano focalizzandosi sul solito punto. Kim Youra.
Si avvicinò lentamente al camice, stringendo i capelli in una coda, e una volta davanti all'armadio tastò le tasche dell'indumento. Nella tasca destra due foglietti di carta sfiorarono le sue dita sottili e subito Amber tirò fuori i cartellini.

«Kim Hyuna e Kim Youra.»
Leggendo, i loro nomi risultavano facilmente confondibili. Scrutando le informazioni, le date del decesso coincidevano perfettamente.
Alzò le sopracciglia e fece scrocchiare le ossa del collo. Amber non credeva nel destino, ma il fatto che proprio quei due cartellini si fossero intrecciati la incuriosiva per le eccessive coincidenze. Si chiese perché non li avesse buttati quando avrebbe potuto farlo e così cominciò a pensare fino a quando, improvvisamente, non aveva più sonno.
La sua scrivania era in parte illuminata dai raggi del sole che penetravano oltre la sottile tenda della sua finestra. Dopo essersi seduta, posò i cartellini affianco al suo computer portatile, che venne immediatamente acceso.
Google. Kim Youra. Enter.
Una serie di ricerche comparvero sotto il nome della donna ed Amber ne rimase subito colpita. Ogni ricerca aveva titoli straordinari che lasciavano senza parole. Amber, con gli occhi strabuzzati, fece scorrere velocemente il cursore sulla prima ricerca il cui titolo era: "Miracolo a Daegu, ragazzina di quattordici anni si risveglia in obitorio".
La pagina si aprì e Amber lesse attentamente l'articolo. Che si trattasse di una bufala?
L'articolo era precisamente di due anni prima e parlava di questa ragazza, il cui nome era precisamente Kim Youra, che, dopo esser stata data per morta e chiusa in un obitorio, si era risvegliata dalla morte apparente. Tutto ciò era accaduto proprio nell'ospedale in cui Amber lavorava: il Victoria Hospital.
Improvvisamente la ragazza sobbalzò sulla sedia e si alzò di scatto.
«Mio dio, si, mi ricordo... mi ricordo di te.»

Esattamente due anni prima, Amber aveva assistito al miracolo. La bambina dal viso pallido e il caschetto corto emerse come il flash di una macchina fotografica nella mente confusa di Amber. Si era ritrovata chiusa nell'obitorio e aveva procurato lo svenimento di un medico, recatosi nella stanza per portarla a fare l'autopsia. I suoi capelli nero lucenti, lunghi appena sotto le orecchie, erano il ricordo di lei più vivido. Ricordò come, incosciente dell'accaduto, il suo corpo tremava in mezzo alla folla di dottori.
Adesso Amber ricordava, lei c'era stata quel giorno. Quel giorno che aveva quasi rimosso.
Sentendo il baccano che gli altri medici, accorsi in obitorio, si era precipitata in stanza. Senza fiato, per mesi e mesi aveva pensato a quell'avvenimento, scioccata, e adesso, a distanza di tempo, se ne era quasi dimenticata. Ricordava il visino bianco e infossato della giovane ragazzina ed il modo in cui quest'ultima aveva cercato uno sguardo di conforto tra i medici e non aveva neppure sfiorato il suo. Ricordava come le aveva stretto la piccola mano mentre i medici le spiegavano cosa le fosse successo e cosa le sarebbe accaduto se non si fosse svegliata prima. La bambina non l'aveva mai guardata negli occhi.
Era stato un suo collega a spiegare l'accaduto ai giornalisti ed era stata accanto a lui quando era successo. Per giorni l'ospedale si era ritrovato pieno di paparazzi e i medici cercavano di evitare qualsiasi tipo di interviste. Persino lei, che al tempo lavorava lì solo da un anno, si era ritrovata circondata da una decina di giornalisti e direttamente mandata in televisione.

CHERRY BLOSSOM | k.thDove le storie prendono vita. Scoprilo ora