E' IL MOMENTO

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Il cuore mi si arrestò. Cercai di prendere fiato ma l'aria mi restò incastrata in gola. I polmoni annaspavano alla ricerca di ossigeno ma la mia bocca spalancata non ne volava sapere di ingurgitare aria... era troppo occupata a trattenere un urlo e a trasformarlo in un gemito.

Dalla mia posizione potevo vedere i capelli arruffati di Alec e le sue mani enormi ancora ancorate all'orlo del mio abito e della mia sottana, ammucchiato in un ammasso di stoffa sopra le mie cosce. Istintivamente chiusi le gambe e le mie ginocchia cozzarono l'una contro l'altra.

Il panico e l'imbarazzo arrivarono tutto in un colpo. Non mi ero mai sentita tanto umiliata in tutta la mia vita: cosa diavolo era quella roba???

Degli ampi pantaloncini di stoffa bianca, simili a quelli indossati da alcuni clown, erano legati poco sotto le mie ginocchia con dei nastrini bianchi. Ti prego, Dio, se esisti, dimmi che non sono le mutande usate in quest'epoca. Dimmi che fa tutto parte di un assurdo scherzo.

Spostai lentamente gli occhi da quella cosa orrenda che indossavo ad Alec: nel suo sguardo non vi trovai nulla di diverso da una profonda eccitazione. Corrugai la fronte e finalmente riuscii ad inghiottire un pò d'aria. Quindi gli uomini del milleseicento si eccitavano alla vista di questi mutandoni che avrebbero scandalizzato pure la mia bisnonna? E se mi fossi presentata in perizoma e tacchi alti che avrebbe fatto? Si sarebbe squarciato il petto per estrarre il suo cuore e fargli un massaggio cardiaco?

L'umiliazione e l'imbarazzo mi tinsero le guance di rosso. Una reazione che ad Alec ovviamente non sfuggì e lo spinse a calmarsi. L'eccitazione e il desiderio gli offuscavano la vista e acceleravano il suo respiro, eppure le sue mani restarono caute e ferme sulla stoffa, in un gesto galante che mi regalò del tempo prezioso.

"Dovremmo spostarci nel letto, non credi?", mi incoraggiò.

Annuii con un impercettibile movimento della testa. Il mio cervello lavorava frenetico alla ricerca di un modo per sfuggire all'inevitabile. E fu a quel punto che intravidi a lato del mio campo visivo la bottiglietta.

"Vorrei prima medicarti". E ovviamente nel farlo gli avrei fatto così tanto male che la sua libido si sarebbe sottoerrata per molto, molto, molto tempo.

Alec chiuse gli occhi, frustrato, e le sue dita si aprirono lentamente, una dopo l'altra, lasciando la presa sul mio abito.

"La tua verginità mi appartiene, Nadine", mi imbeccò. La rabbia era tenuta a bada dalla passione a stento trattenuta, ma bastava un niente per farla esplodere. Lo intuii dal modo in cui teneva serrata la mascella. "Questa notte farò di te mia moglie, e preferirei farlo senza che tu giocassi al gatto col topo".

Annuii ancora, incapace di parlare, consapevole di essere riuscita ancora una volta a rimandare il momento grazie alla mia astuzia. La notte era ancora lunga ma se fossi stata abbastanza abile nel farlo urlare dal dolore, avrei senz'altro schivato le sue avance. Conoscevo abbastanza bene il corpo umano da sapere esattamente quali punti potessero dolergli di più. Avrei usato tutte le mie conoscenze mediche per salvarmi.

Mi sollevai, sistemandomi la gonna e grazie al cielo quella specie di mutanda scomparve dalla mia vista. Quindi mi inginocchiai di fronte ad Alec, esaminando da vicino il taglio: la pelle era arrossata e gonfia e alcune gocce di liquido purolento misto a sangue si erano secchate attorno al taglio.

"Puoi passarmi la lozione?", chiesi, alitandogli contro il fianco.

La sua pelle reagì immediatamente, accaponendosi, e la stoffa sul davanti dei calzoni cominciò a tirarsi. Dovevo stare calma. Respirare e contare fino a dieci. E nel frattempo magari avrei anche potuto dire cinque o sei padre nostro.

SE TI PRENDO SARAI MIA // Vincitore #wattys2016 "In Tutte Le Librerie d'Italia"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora