Life In Cartoon Motion

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Mika non avrebbe mai pensato di ritrovarsi nei casini dopo neanche una settimana in quella città, se si poteva chiamare città. Paesino forse si addiceva di più. In sua difesa può dire che era tutta colpa di Fedez.
Ma partiamo dall'inizio, sennò non capite nulla.

Michael Holbrook Penniman Junior si era appena trasferito e suo padre già voleva spedirlo a scuola il giorno dopo. Ovviamente non poteva opporsi ma sicuramente poteva contrattare:"Va bene ma gli ultimi scatoloni li sistemi tu"
"D'accordo fila a letto"
Michael non se lo fece ripetere due volte e salì i scalini due a due per raggiungere la sua nuova camera e morire finalmente su quel letto ancora troppo duro per la sua dolorante schiena.
La sua vecchia camera era più piccola e tempestata di poster dei suoi idoli e foto della sua vita.
Ci sarà tempo di occupare quelle 4 mura bianche, pensò, visto che il padre progettava di rimanere per molto molto tempo.
Il giorno dopo la sveglia ruppe il silenzio amato dal riccio. Non voleva alzarsi, faceva freddo e non conosceva nessuno.

Mi sembrano tre motivi plausibili per restare dentro le coperte.

Peccato che il padre non concordava questa scelta già esclusa ieri sera.
"Alzati Michael, non vuoi mica fare ritardo il primo giorno di scuola"
Lui non voleva proprio andare a scuola. Ma a suo malgrado dovette alzarsi e raggiungere il bagno dove una bella doccia calda gli avrebbe ridato la vita.
Non avendo tempo per la sua solita colazione che consisteva in un classico cappuccino e cornetto, prese un mandarino velocemente, da mangiare in macchina.
Aveva preso la patente da poco e la stanchezza avrebbe influito sulla sua guida poco sicura, ma non se ne curò e alle 7:30 era in strada, parcheggiato a litigare con il navigatore che non riusciva neanche a trovare quel paese del cavolo.

Dopo vari tentativi e 10 minuti persi, alle 7:40 forse il navigatore aveva capito la strada che serviva al riccio. Stamattina aveva aggiustato il suo ciuffo in alto mettendo litri e litri di lacca per farlo reggere. Il suo sforzo non doveva restare vano, doveva raggiungere la scuola senza fare ritardo.
Per fortuna una delle cose positive di quel posto erano le poche macchine in giro e lo zero traffico che quindi si creava.
Alle 8:00 parcheggiò e scese velocemente dal auto. Inutile dire che tanto in ritardo ci arrivò lo stesso.
20 minuti perduti solo per trovare la segreteria e richiedere l'orario e altri 10 per trovare la sua aula.
Arrabbiato come non mai e con il fiatone bussò alla porta che tanto bramava. Attese una risposta e entrò presentandosi alla classe. Puntò l'unico posto vuoto. Tutti lo fissavano increduli mente si dirigeva verso quell'ultimo banco vicino alla finestra. Si toccò in faccia convinto di essere sporco ma la sua mano pallida ritornò pulita. Si sedette vicino a un ragazzo che stava facendo tutto tranne che seguire la lezione. Infatti non si rese conto neanche della presenza del riccio finché esso non sposto la sedia per sedersi. Il rumore lo riscosse dai suoi pensieri e il ragazzo moro si girò di scatto sorpreso di vedere qualcuno accanto a lui. Indossava una maglietta nera che gli fasciava le braccia, ricoperte di tatuaggi, perfettamente. Aveva delle labbra carnose e degli occhi nocciola tra i quali c'era un piercing. Aveva un altro piercing sul sopracciglio che adesso era alzato incredulo.

"Ciao, mi chiamo Michael" si presentò il riccio sussurrando al ragazzo accanto a lui che aveva ripreso ad ignorare tutto e tutti con la testa puntata su un foglio bianco. "Ma puoi chiamarmi Mika"

Il moro non rispose subito, passò qualche minuto e Michael pensava non volesse parlare con lui così aveva preso i libri nel frattempo per seguire almeno la parte restante della lezione.
"Perché?" domandò quella presenza misteriosa vicino a lui.
"Perché cosa?" chiese confuso il riccio.
"Perché Mika?"
Questa domanda confuse Mika. Perché avrebbe dovuto interessargli il suo soprannome?
Aveva un comportamento così strano, misterioso. C'era qualcosa in quel ragazzo che lo incuriosiva.
"È una storia lunga, mia madre mi ci chiamava sempre quando ero piccolo"
Non gli andava onestamente di raccontare della sua vita privata ad uno sconosciuto così la buttò sul generale. Passarono altri minuti prima che il moro riaprì bocca, nel frattempo Mika aveva rinunciato a seguire la lezione.

"Io mi chiamo Federico" disse fissando la lavagna piena di numeri e lettere davanti a lui.

"Tua madre non ti ha dato un soprannome?" domandò il riccio ridendo sotto i baffi.

"Si, ma io non ho intenzione di raccontarti la mia 'storia lunga' perciò è inutile metterti a conoscenza del mio soprannome" detto questo il dialogo tra loro si concluse grazie anche alla campanella che suonò. Federico fu il primo a scaraventarsi fuori dall'aula lasciando un Mika attonito dietro alle sue spalle.

Questa giornata sarà veramente lunga

Pensiero che gli rimase in mente fino all'ora di pranzo. Finalmente poteva raggiungere la mensa. Tirò fuori la piantina della scuola che la segretaria gli aveva dato quella mattina con un caloroso "Buona fortuna".

"Che stai cercando?"
Una voce conosciuta interruppe la sua pseudo ricerca che sapeva non sarebbe andata a buon fine.
Alzò lo sguardo e si trovò davanti quel ragazzo che gli aveva fatto iniziare male la giornata.
"Ah tu...sto cercando la mensa ma posso riuscirci da solo" rispose Mika in tono acido. Gli dispiaceva comportarsi così ma aveva davvero schifato la risposta che cinque ore fa gli aveva dato Federico.
"No, non puoi. Il mio primo giorno qua dentro ho pranzato con una merendina di quelle macchinette perché nessuno mi aveva aiutato e io ero troppo orgoglioso per chiedere." disse indicando le macchinette poste alla fine di quel corridoio troppo lungo per i suoi gusti.
"E il secondo giorno?" domandò Mika curioso. Finalmente quel ragazzo davanti a lui sembrava disposto a dialogare normalmente.
"Ho seguito un ragazzo che aveva fatto l'ultima ora con me. Sembravo uno stalker anche se poi quel ragazzo diventò il mio migliore amico" sul volto gli spuntò un sorriso che nel giro di un secondo scomparve per far ritornare quella solita faccia da mi è morto il gatto.
"Perciò seguimi" si girò e iniziò a camminare.
Mika odiava queste uscite di scena dove lo lasciava sempre da solo alle sue spalle.

"Questo non si può definire cibo"
Mika era seduto davanti a Federico intento a giocare con il cibo. La mensa era abbastanza grande con tavoli spaziosi. Erano tutti pieni, occupati da studenti che sapevano già dove sedersi e vicino a chi. Il fato invece aveva deciso dove e con chi si sarebbe dovuto sedere il riccio.
"Impara a lamentarti di meno qui, vivi meglio" rispose il moro che stava sgranocchiando un pezzo di pane. L'unica cosa commestibile forse. Appena erano entrati avevano raggiunto la donna dietro il bancone impegnata a servire una pappa informe che lei osava chiamare purè. Mika stava rimpiangendo la merendina nella macchinetta che gli sarebbe toccata senza l'aiuto di Federico.

"Perché mi fissano tutti? Stamattina è successa la stessa cosa."

Il ragazzo davanti a lui alzò gli occhi puntandoli in quelli marroni del riccio.

"Non sei tu il problema, sono io."

Disse con un'espressione seria che avrebbe fatto timore al peggior serial killer.

"Nessuno si siede vicino a me da un bel po'"

Mika smise di giocare con il cibo e si dedicò a questo argomento che stava diventando sempre più delicato.
"Posso sapere il motivo? Sto rischiando la vita per aver fatto ritardo questa mattina?" Chiese il riccio scherzandoci su. La sua risata se ne andò quando notò che il moro non aveva riso per niente.
"Non ho ancora uccido nessuno, anche se tu potresti essere il primo" ora il moro stava ridendo, cosa più unica che rara, mentre Mika stava letteralmente sudando freddo dalla paura.
"Tranquillo scherzavo, sai lo faccio anche io certe volte."
Il riccio offeso diede un pugno sulla spalla di Federico che non si fece nulla. Quello che tornò a casa con una mano fasciata fu Mika che dovette raccontare una balla al padre su come fosse scivolato a causa delle pozzanghere in cortile. Mika quel pomeriggio non si fece tante domande su come si fosse fratturato il polso dando soltanto un pugno, non era allenato e non sapeva neanche come si dava un pugno in modo giusto perciò diede la colpa a se stesso. Colpa che Federico sapeva fosse solo sua. Non si fidava del ragazzo riccio perciò non poteva raccontargli la verità o chiedere scusa per qualcosa che in teoria non aveva fatto.

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HOLA \o/
Se siete arrivate fin qua vuol dire che tanto male non è!!
Vorrei precisare alcune cose:
• Le frasi in corsivo sono i pensieri o di Mika o di Fedez.
• In questa storia troverete elementi presi sia da Twilight (purtroppo o per fortuna) sia da Teen Wolf.
• Non ho voluto aggiungere l'accento di Mika nei dialoghi perché sembra rumeno quando si legge.
• Aggiornerò presto anche perché in questo momento sto scrivendo la fine quindi poi il mio compito sarà solo postare.
Per ora non mi viene in mente più nulla.
Fatemi sapere se vi è piaciuto lasciando un commento o mettendo like, e alla prossima!

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