Volterra A. D. 1398

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Il viaggio fu lungo, il primo viaggio in aereo della lupa, il primo viaggio in assoluto fuori dai confini della sua terra.

La stranezza del paesaggio, così dissimile dalla riserva, la grande città, l'aeroporto e la strada in macchina fino alla Val di Cecina, la fecero sentire fuori posto, un alieno atterrato su di un pianeta lontano.

Ma forse, tutto quel subbuglio non era causato dal viaggio o dalla distanza di quella terra; forse tutto appariva distorto per il motivo folle e pericoloso per il quale lo avevano intrapreso, per la paura di farsi più male di quanto il dolore fisico potesse fare, di perdere e fallire nel proprio intento, senza la possibilità alcuna di appello.

Al contrario, Renesmee sembrava perfettamente a proprio agio alla guida dell'auto sportiva fiammante che avevano noleggiato. I grandi occhiali scuri le coprivano gran parte del viso latteo, i capelli erano costretti in un tirato chignon e le mettevano in risalto la fronte ampia, il naso piccolo e le bellissime labbra carnose, rosa come i boccioli delle rose in maggio.

Ma le mani, strette saldamente intorno al volante, le dita lunghe, ancora più bianche sulle nocche, tradivano lo stesso terrore della lupa, la stessa paura di fallire.

Quando giunsero a Volterra, sotto le ultime luci di un sole morente, la città era in pieno tumulto.

Nel suo cuore medievale e pulsante, nel magnifico Parco di Castello, sotto la mole della Fortezza Medicea, austera come una madonna fiorentina, il centro storico della città si animava di un passato ancora vivo e palpitante, mentre turisti e visitatori venivano trasportati, come per magia, settecento anni indietro nel tempo.

Dall'alba al tramonto, ogni angolo della città era piombato nello scenario aspro e scarno del 1398: tra i mercati animati da artigiani, popolani e contadini, audaci cavalieri erti sui propri destrieri, nobili e dame esibivano abiti sontuosi e sbandieratori, balestrieri e soldati, giocolieri, musici e giullari facevano rivivere l'incanto del misterioso medioevo di Volterra.

Leah rimase con gli occhi sgranati e la bocca schiusa, come una bimba per la prima volta ammaliata dallo spettacolo del circo, mentre la folla variopinta e chiassosa le si agitava intorno.

Arrivarono alla piazza del Palazzo da una delle viuzze che le si aprono intorno, confuse in una fiumana di persone.

Si guadarono negli occhi per un solo momento, il tempo necessario a ripetere nella mente all'unisono il loro piano e a dirsi senza parole che ce l'avrebbero fatta, che dalla loro parte avevano la forza di legami indistruttibili, dell'amore incondizionato e dell'amicizia, e che per questo non avrebbero fallito.

Si strinsero forte in un abbraccio caldo e incoraggiante per entrambe, il primo vero contatto fisico che avevano da sempre, finché Renesmee non le diede le spalle incontro al suo piano.

La vide allontanarsi, confondersi in mezzo alla gente comune, lei che di comune non aveva avuto mai nulla da che era nata.
La guardò, fino a che il suo occhio attento riuscì ad arrivare, mentre spariva, contro corrente, tra le viuzze affollate e strette.

Fu solo allora che si pentì e si maledisse per aver accettato di farle da complice. Immaginò la voce imperiosa del suo alfa, imprecare contro di lei e la sua leggerezza; stringere i pugni fino ad ingrossare le vene, sotto la pelle scura, afferrarle la gola e mandarla all'inferno, per aver mancato all'obbligo di proteggere la sua vita.

Una serie di immagini torbide e angoscianti le agitarono il petto e il respiro: morte e sangue, ferite e lacrime, come torrenti, le ferirono il cuore, mentre si rendeva conto che per porre rimedio a ciò che aveva fatto non le rimanevano che le preghiere.

Allora pregò, nella sola maniera che conosceva, con rabbia disperata, con la lucida fierezza con cui aveva sempre chiesto.
Pregò il Creatore della Vita, i suoi antenati, i guerrieri che avevano difeso la sua gente e chiamò suo padre, che sentiva ancora dolorosamente a metà strada tra il cielo e la terra.

Renesmee doveva vivere e con lei Jacob e il loro bambino, perché i loro mondi soprannaturali e distinti potessero essere per sempre uno solo.

Dovevano vivere perché erano suo fratello e sua sorella, perché erano passato e futuro insieme.

E doveva nascere pure quel bambino, il figlio di suo fratello, l'unico figlio che forse avrebbe mai aveto lei.

Dovevano vivere tutti e basta e se le forze celesti che li avevano messi insieme se ne fossero infischiate, allora se ne sarebbe occupata lei stessa, senza pietà per nessuno, nemmeno per la propria vita.

Intanto si era fatto buio, mentre le grida e le risate dei turisti continuavano, ingnare di tutto quel tumulto interiore. Le strade erano illuminate da fioche torce alle mura delle costruzioni.

Tutto si confondeva nella poca luce, tutto si scioglieva alla propria vista, minata dalle lacrime.

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Ben trovate!
Come state tutte?
Nuovo capitolo, spero che vi stia piacendo il mio tentativo di dare più attenzione ai sentimenti e alle caratteristiche dei personaggi.
In Love and Darkness ho dato spazio solo al legame tra Ness e Jake, nel sequel invece vorrei tratteggiare un po' anche gli altri e la complessità dei rapporti che intercorrono tra loro.
Negli ultimi due capitoli è toccato a Leah, che trovo una splendida virago.

Grazie come sempre a chi passa di qui, a chi vota e a chi commenta.
Un bacio!




The fight for you is all I've ever knownWhere stories live. Discover now