Capitolo 30.

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Il fetore aleggiava ancora nell'aria. Luce provò a sondare il suo stato d'animo, alla ricerca di qualcosa: niente, non sentiva niente. Il desiderio di gridare, tutta la sua paura e il suo dolore: non c'era. Non urlò, non aveva senso farlo. Gridare non avrebbe cambiato le cose, ne aveva trovato un altro.

C'era un altro corpo davanti ai suoi occhi e, questa volta, era stato lui a metterlo lì, per lei.

Era un chiaro messaggio, lui sapeva che lo stava cercando. Una sottile minaccia, lei sarebbe stata la prossima.

Si guardò intorno nell'eventualità di scorgere qualcosa tra le ombre degli alberi e dei cespugli, ma non c'era nulla.

Il suo sguardo tornò sul corpo appeso all'albero, davanti a lei. Si chiese se si era abituata a quel genere di cose, o se, semplicemente, lo shock sarebbe arrivato più tardi. Per il momento, non sentiva nulla. Se non quella puzza nauseabonda, che era permeata nelle sue narici e non ne voleva sapere di andarsene.

Bonnie, alle sue spalle, stava piangendo. Una delle sue mani si mosse istintivamente, raggiunse il retro dei jeans e tastò le tasche posteriori alla ricerca del suo cellulare. Quando lo trovò lo prese tra le mani, ignorò le chiamate perse, e sbloccò lo schermo per chiamare Lachowski.

L'uomo rispose immediatamente. «Lucille, hai trovato qualcosa?»

«Sì, dovrebbe venire qui», rispose la ragazza, senza allontanare gli occhi da quell'immagine.

Temeva che, se avesse distolto lo sguardo, la ragazza sarebbe scomparsa.

«Qui, dove?» le chiese lui, la ragazza lo sentì muoversi.

A casa mia, dove dovrei sentirmi al sicuro. Nel mio bosco, quello dove sono cresciuta. Lì, dove la morte non sarebbe mai dovuta arrivare.  «La Locanda.»

Chiuse la chiamata e ripose il telefono, lì dove l'aveva trovato. Di nuovo, le sembrava di vedere le cose in modo sfocato, come attraverso un specchio d'acqua. Sentiva sua madre piange e suo padre che provava a consolarla. Perché piangi, mamma? Piangere non cambierà le cose.

Percepì dei passi che si avvicinavano a lei. Due braccia, quelle di suo padre, l'afferrarono da dietro e la trascinarono lontano da lì. La giovane provò a battersi e a scalciare, non voleva andarsene. Non voleva allontanarsi da quel punto, da quell'albero.

«Andiamo, tesoro» le intimò, suo padre, all'orecchio.

Gli permise di stringerla a sé e di appoggiarla contro il suo petto, anche se non ne aveva bisogno.

Non doveva essere rassicurata, non le serviva. Era inutile sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene. C'era un cadavere, a qualche metro di distanza da dove abitavano. Come potevano le cose andare bene? Nulla andava più bene, e da troppo tempo, oramai.

No, non si era abituata. Ma, le andava bene così, non sarebbe riuscita a vivere con la consapevolezza di essere diventata insensibile alla morte.

Joe la liberò dal suo abbraccio e la prese per mano. Bonnie era ancora dietro di loro, in lacrime. Luce si liberò dalla sua presa e corse da lei, si inginocchiò al suo fianco e le cinse le spalle con un braccio.

«Andrà tutto bene», le mormorò, perché lei aveva bisogno di sentirtelo dire, accarezzandole i capelli con l'altra mano.  «Andrà tutto bene, mamma.»

Continuò a rassicurarla e a dondolarsi insieme a lei, sotto lo sguardo del padre. Non sapeva che altro fare. Voleva chiedere loro scusa, per averli messi in quella situazione. Si doleva di essere la causa del terrore che leggeva negli occhi di suo padre, e delle lacrime che deformavano il viso di sua madre.

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