Prologue.

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Eleonor White, 02/12/1967 - 14/10/2014.

Era passato esattamente un mese dalla morte di mia madre. Un pazzo furioso, ubriaco avevano detto i poliziotti, al volante di un Suv, se l'era portata via investendola in pieno mentre attraversava la strada.

Osservai la sua foto all'interno della cornice posta sulla lapide. Era ancora una bella donna. Nessuna ruga le circondava il volto. Aveva ancora molto da darmi, da insegnarmi. Ma lei non c'era più e io non riuscivo a farmene una ragione. Non ci sarei mai riuscita.
Posai la rosa bianca sopra la pietra che nascondeva il suo corpo esangue e mi allontai, uscendo dal cimitero.

Ero sola.
Una diciassettene senza una casa, senza un lavoro e senza nessuno. Già perchè anche mio padre non c'era più. Non era morto, aveva semplicemente avuto la brillante idea di abbandonare me e mia madre per andare alle hawaii con una donna più giovane e più ricca.

In sostanza, adesso ero abbandonata a me stessa.
Di andare in un centro di accoglienza non se ne parlava nemmeno, così ora mi ritrovavo a girovagare per le strade di Los Angeles con in tasca soltanto tre dollari e acqua gelida che mi scorreva nelle vene al posto del sangue.
Ero costretta a chiedere l'elemosina tutto il giorno, tutti i giorni, e quale posto migliore per farlo se non la bella scalinata di un teatro?
A teatro ci vanno le persone ricche, o comunque benestanti, e devo dire che, da quando mi ero stabilita lì, avevo soldi a sufficienza per mettere qualcosa sotto i denti.
Sì certo, qualcuno era gentile a darmi due spiccioli, ma la verità è che a nessuno piacciono i barboni.
Nessuno ti guarda nemmeno in faccia se sei un barbone, nessuno ti chiede mai come stai, nessuno che ti offra mai un aiuto anche piccolo, banale.

Già, nessuno tranne lui. Quello del teatro.
Era un ragazzo appena più grande di me, a parer mio.
Era alto, magro e con i capelli castano chiaro. Avevo potuto osservare da vicino i suoi occhi qualche giorno fa quando, oltre ai soliti cinque dollari, mi lasciò anche un pacchetto di caramelle gommose. Nel tempo che ci mise ad estrarre il cartoncino dalla tasca, mi soffermai su quelle iridi ambrate. Erano di un colore innaturale, magico, oserei dire raro.
Mai visti occhi così.

Nonostante fosse costantemente di fretta, Lui non si scordava mai che io ero lì.


Saver || J.B. {Conclusa} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora