Capitolo 10: Soli

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1 anno e 45 giorni dopo la presentazione di Katalepsis

I capelli biondissimi che davano una grande impressione di morbidezza, sono legati solo in parte all'insù lasciando due piccole ciocche scendere e coprire le piccole orecchie a punta. La frangetta, situata poco sopra le sopracciglia, contorna i due occhi vispi e azzurri, non chiarissimi, ma comunque azzurri. Il naso, minuto anch'esso, sembra solo un accento sopra le labbra formose. Un viso piuttosto giovanile montato sopra un portamento da donna vissuta definisce il look di Sue Ashman. Il tailleur nero, la magliettina bianchissima e la ventiquattrore con l'apertura a comandi digitali sono sempre presenti nel vestiario del trentaduenne procuratore del distretto nord di Cartage City.

Sue non è un procuratore di quelli famosi, in realtà non è neanche felice di fare questo lavoro che ha ottenuto grazie a un caso in passato risolto solo per un'intuizione generata dalla noia. Sue non si esalta mai per nessun caso, non si fa notare dai superiori e non richiede mai casi interessanti per far carriera. Fa il suo, tutto qui.

Potrebbe sembrare che questo faccia di lei un pessimo procuratore, ma come diceva il suo fratellastro di recente passato a miglior vita (non per atti criminosi, semplice incidente sciistico): l'imperizia e la volontà sono concetti separati. Essere costretti a fare qualcosa non sempre porta a un'esecuzione bagnata dalla pigrizia.

Sue odiava il suo fratellastro. Non era perché la sua stessa nascita le ricordava che suo padre si dava da fare in qualsiasi città generando sempre nuovi Ashman. E non era neanche un semplice odio fraterno. Semplicemente non lo sopportava come persona. Lo odiava. E questo ovviamente è un problema quando la persona che odi è morta tragicamente: finisci per odiare te stesso autoaccusandoti di cinismo e insensibilità.

La morte del fratellastro, non per la parentela, ma per il modo di morire, ha reso Sue più incerta riguardo alla perizia sul suo lavoro. Si può morire sciando, guidando o giocando a tennis. Si può morire anche facendo uno stupido lavoro senza essere mai riusciti a raggiungere nessuno dei tuoi veri obiettivi. Ammesso che Sue ne avesse qualcuno.

Morire facendo cose normali e noiose... Sue ci pensava continuamente.

Fino a oggi non aveva fatto altro che pensare in maniera negativa al suo lavoro. Ogni giorno rendeva il suo umore peggiore di quello precedente. Eppure oggi la vista di un cadavere le ha provocato un fremito nell'animo molto forte.

Di cadaveri ne aveva visti a dozzine, non era certo una novità per lei ritrovarsi a poche decine di centimetri da membra fredde e utili, ormai, soltanto come concime. A scuoterla è stata una visione. Aveva già visto in passato quella ragazza adesso dissanguata, truccata in maniera pesante, distesa in quella vasca piena di cubetti di ghiaccio mantenuti da un tubo collegato in maniera rudimentale al freezer, tubo che ha permesso il mantenersi del cadavere in condizioni eccellenti nonostante il grande ammontare di giorni fra l'omicidio e il ritrovamento.

Quella ragazza, le risulta familiare.

Passeggia nervosamente, Sue, per tutto il bagno sudicio, talmente sporco da risultare quasi color rame per via dell'acqua delle fogne strabordata dal water. Sue passeggia, su e giù, su e giù, stando solamente attenta a non urtare nessun muro. Il tetano era in agguato. Passeggia fino a sentire il rumore dei suoi stessi passi nella testa, rumore che le ricorda una sala affollata, tante persone, un posto dove era stata di recente...

La sala d'esposizione Horatio nei quartieri latini della città!

La mente si è appena schiarita. I ricordi si addensano in nuvole e cadono giù come pioggia acida: quella ragazza è la protagonista del quadro di Peter Almavacia; quadro che Sue aveva ammirato, così come in realtà fecero tutti i presenti in sala durante la presentazione dell'opera quella sera di tre settimane fa.

KatalepsisWhere stories live. Discover now