15. Il pianoforte

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Attenzione: scene smut. Chi non vuole leggere, passi direttamente avanti! ;-)

-Londra-

Erano le due del pomeriggio.
Il tempo era afoso, e le strade praticamente deserte.Harry, svegliatosi tardi dopo la notte di viaggio, aveva pranzato al volo con un sandwich e si era messo in auto, alla volta dello studio fotografico di Louis.
Le indicazioni erano precise, per cui impostò il navigatore soltanto per sfizio; in mezz'ora giunse sul posto.
Il negozio aveva due vetrine dal design essenziale e moderno, sui toni del grigio, dove su uno sfondo di velluto drappeggiato erano messe in mostra due fotografie, una per ogni cavalletto.
Harry si fermò a guardarle.
La prima era un profilo sgranato di bimbe, in bianco e nero, e sembrava d'altri tempi. Il fotografo aveva colto l'attimo esatto in cui lo sguardo divertito si trasforma in risata, ed era perfetta nella sua semplicità.
La seconda era un paesaggio marino, e Harry sorrise al ricordo di Louis che gli diceva che a lui piaceva il mare, non la montagna.
Il fotografo non lo aspettava prima delle quattro, essendo rimasti d'accordo così la notte precedente, quando si erano salutati in areoporto.
Harry ricordava ancora lo sguardo di sua madre che osservava Louis addormentarsi sulla sua spalla, in volo, la sera prima.
Scacciò il ricordo, e provò a spingere la porta del negozio, trovandola aperta nonostante il cartello di chiusura.

La porta era rimasta aperta per una disattenzione di Louis, arrivato nel suo negozietto poco prima di pranzo. Aveva semplicemente dimenticato di chiudere a chiave; l'idea era quella di raccogliere un po' le idee e sviluppare le foto che aveva fatto il giorno prima, preparandole per l'arrivo di Harry nel tardo pomeriggio.
Lo studio fotografico consisteva nel negozio vero e proprio, piccolissimo, e da tre stanze sul retro: la camera oscura, lo studio fotografico dove allestiva i set ed una stanza privata molto particolare.
Quella stanza era il suo rifugio, il suo sancta sanctorum, il luogo dove si rintanava dal chiasso di casa sua quando voleva starsene in pace, senza la presenza amorevole ed ingombrante della sua numerosa famiglia.
Per poter aprire il negozio, infatti, aveva dovuto scendere a patti: non sarebbe riuscito a pagare due affitti dato i costi proibitivi della zona, e si era adattato a rimanere ancora un po' in casa dei suoi, aspettando con pazienza che le cose girassero a favore e finalmente potersene andare per conto suo.

La stanza era interamente tappezzata di fotografie. Ce n'erano di grandi e di piccole, in bianco e nero ed a colori, in una miriade di immagini caleidoscopiche senza un nesso apparente.
Null'altro che fotografie, ed al centro, il suo pianoforte.
Louis adorava quella stanza. Non vi faceva mai accedere nessuno, tenendola abitualmente chiusa a chiave; era troppo personale, troppo forse sdolcinata, ma era lo spazio che si era ritagliato nel mondo.
Nemmeno i suoi amici ne erano a conoscenza: le uniche persone che l'avevano vista erano i suoi genitori, quando avevano accompagnato il figlio a stipulare il contratto d'affitto; i trasportatori che vi avevano collocato il pianoforte, l'accordatore, ed il suo ex fidanzato,che l'aveva preso in giro per quella debolezza, senza capire di star ferendo la sensibilità di Louis, che non ce l'aveva più portato.
Che quello fosse stato un segnale inconscio per Louis per decidere di rompere quel legame era forse troppo; certo è che il fotografo aveva iniziato a dubitare che fosse la persona giusta per lui dopo quell'episodio.

Erano le due, e Louis era al piano.
Aveva passato tutte le fotografie, una ad una, ed aveva sviluppato la quindicina che ora era esposta sul bancone in negozio. Dieci di esse erano scatti rubati nel sonno ad Harry, il mattino precedente.
Stava suonando, e come sempre, quando lo faceva, viveva per la musica. Si faceva coinvolgere fino alle lacrime nelle melodie.
Non ne aveva mai scritta nessuna; non era un compositore. Lui creava solo immagini. Però adorava seguire gli spartiti.
In quel momento privato, stava suonando ad orecchio " Time forgets" di Yiruma. Era una delle composizioni più tristi che avesse nel suo modesto repertorio; lo aiutava a pensare.

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