Lexa, Syra, Vorian e Kael non hanno nulla in comune, se non il dolore che li divora dall'interno. Quattro ragazzi segnati da disturbi mentali, costretti a incontrarsi ogni settimana nello studio della stessa psicologa. All'inizio le sedute collettiv...
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🔥POV LEXA
Sette volte. Settantasette volte. Ho contato i modi in cui potrei uccidere qualcuno senza lasciare tracce. Ma ogni volta qualcosa non va. Ogni volta la mia mente mi dice: 'Non basta'.
Lo penso mentre passo la spugna sul tavolo per la terza volta, ma la macchia d'acqua continua a sorridermi come una bocca sbagliata. Inspiro. Sette respiri. Espiro. Ancora sette. La macchia è ancora lì. Strofino più forte finché le unghia si scontrano con il legno del tavolo.
Non importa quanto pulisco. Non importa quante volte controllo la serratura, il gas, il telefono. Non importa se conto i passi, se conto i respiri o ordino i libri per altezza.
L'idea rimane. Il seme è già piantato. E Lentamente cresce.
All'inizio sembrava solo un pensiero intrusivo, uno di quelli che col tempo ho imparato a contraddistinguere come 'irreale'. Ma questo non se ne va, cazzo. È sempre presente. Forse è sempre stato lì, nascosto sotto le mie continue fissazioni e ossessioni.
Non penso ai volti. Non penso alle vittime. Sono solo ombre, silhouette nere che appaiono nei miei sogni e si accasciano a terra una dopo l'altra, silenziose, perfette, ricoperte di sangue.
Come se la morte fosse l'unica cosa davvero ordinata, pulita, finale.
Mi sciacquo le mani. Ancora una volta. Ancora due. Ancora sette. L'odore del sapone mi inonda fastidiosamente le narici, ma non posso fermarmi. Se mi fermo ora, qualcosa andrà storto. Forse ucciderò davvero qualcuno. Forse non riuscirò a smettere. Forse sarò io quella uccisa.
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C'è un rumore fuori dalla porta: un passo, forse. Mi blocco, il cuore che batte così forte da farmi male ai timpani. E se fosse lei? E se la psicologa mi stesse spiando?
Chiudo gli occhi. Mi vedo nella stanza del suo studio: la luce soffusa, l'odore di tè, il ticchettio dell'orologio che scandisce ogni parola. Detta e pensata.
<< Se aveste la certezza di non poter essere mai scoperti, a chi togliereste la vita? >>
Non ha detto "se lo fareste". Ha detto "a chi". Come se fosse inevitabile. Come se ne fosse convinta.
E se lo fosse?
Magari l'ha già capito. Magari vede nei miei occhi questa...cosa. Magari lo vede negli occhi di tutti i presenti nella stanza e si rifiuta di dirlo apertamente.
Magari riesce a vederlo. Questo buco nero che risucchia ogni pensiero "normale" e lo sostituisce con altro. Con immagini di lame che scorrono sulla pelle. Che trafiggono. Con le mie mani intorno a un collo, la pressione giusta intorno al collo della vittima.
No. Non sono io. Non posso essere io.
Ma allora perché la parte più profonda di me... sorride?
Riesco a vederla.
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Mi siedo per terra, schiena contro la parete. Il pavimento è freddo. Abbasso lo sguardo e inizio a contare le piastrelle perfettamente pulite: una, due, tre piastrelle a sinistra. Sette a destra. Sempre sette. Mi stringo le ginocchia al petto e cerco di respirare.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette.
Non basta. Non basta più, ormai. ⸻
Quando riapro gli occhi, è già buio. Non so da quanto tempo sono qui. Il telefono lampeggia sul tavolo della cucina: un messaggio. "Vorrei che fossi più sincera nelle nostre sedute, Lexa. Stai facendo progressi straordinari."
Straordinari. Come se mi stesse modellando a sua immagine. Come se questo fosse ciò che voleva davvero. Come se stesse provocando quella parte di me che non ha deciso cosa diventare, come se provocandola sapesse che sta per esplodere.
Le dita mi prudono. Mi scopro a immaginare il suo viso, quella calma di cartapesta che si frantuma quando le afferro la mascella e la stringo finché i denti scricchiolano. Finché i suoi tentativi di vivere, finiscono.
Non io. Non io. Non io.
Ripeto la frase nella mente come un mantra, mentre le mani si stringono negli avambracci e scavano nella pelle, cercando un punto dove il dolore possa rimettere ordine.
Non io. ... O forse sì?
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