16. Horror

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16. Horror

16. Trascinai la valigia con entrambe le mani, non capendo perché sembrava voler rimanere con le rotelle ancorate al terreno. Rischiavo di cadere persino sul tacco tre centimetri dei miei stivaletti. «Alexis, credo che tu debba comprarti una nuova valigia», stabilì Julie, camminando per il corridoio col suo bagaglio a mano e tirando su dalla cannuccia del frappè alla fragola. «Oh, sì, grazie dell'idea, davvero, non ci ero arrivata.» Camminai di spalle. «Per favore avvisami quando arriviamo in cima alle scale.» «Sì, certo.» Incontrando un corpo proprio dietro di me, schizzai in avanti come se mi avesse pizzicato il sedere. «Simon, che diamine, stai attento.» «Sta' attenta tu, cammini all'indietro. Da' qua, faccio io.» Schiacciò il trolley in basso e lo utilizzò come maniglia fino al parcheggio. Neanche il tempo di riesumare i pantaloni lunghi e i maglioni che la neve si scioglieva e il sole tornava ad abbagliarmi gli occhi. Ecco perché tutti avevano degli occhiali da sole in testa. Jake ci aspettava a braccia incrociate, appoggiato al cofano della sua auto. «Alla buon'ora.» Si diede una piccola spinta e strappò di mano a Simon il mio bagaglio per andarlo a mettere nel cofano. «Julie aveva bisogno di un frappè per tirarsi su», disse Simon, in tono di presa in giro. Lei gli diede una spallata. «Tu dovevi farti la barba.»

Mi allacciai la cintura del sedile anteriore. Jake accese il motore e quando partì il solito rombo, si girò a guardarmi. «Che hai fatto ai capelli?» Tirai giù lo specchietto e dopo essermi vista, sciolsi una coda di cavallo vertiginosamente alta. Come mi era venuto in mente di uscire così? «Stavi bene...» «E ora no?» Mi riavviai una ciocca oltre la riga. «No... cioè, intendevo dire che stai bene oggi.» Mi accigliai. «Vuoi dire per caso che ieri e gli altri giorni non stavo altrettanto bene?» Jake sembrava in difficoltà. Accidenti, se c'era cascato in pieno. «No... dicevo solo che...» incespicò. Mi scappò una risata. «Stronza.» Scosse la testa e tornò con lo sguardo dritto difronte a sé.

Simon si affacciò tra i due sedili anteriori. «Allora, si parte o no?» «Ecco, ecco...» Jake impugnò il volante ed uscì dal parcheggio. «Ho sentito una cosa interessante, oggi nella hall. Alison è incinta.» La macchina inchiodò nel cancello d'ingresso. Jake roteò il collo, gli occhi spalancati e le nocche impallidite. «C-cosa?!» Il volto di Simon era serissimo. Poi lentamente le sue labbra si piegarono all'insù e scoppiò in una grassa risata. «Dio, tranquillo, non diventerai papà così presto. Scherzavo.» Jake afferrò una palla da football semi sgonfia incastrata tra il vetro e il cruscotto e gliela lanciò in faccia. Tirò la frizione ed entrò in strada. «Ahi, mi hai fatto male. Okay, okay, scusate. Effettivamente non mi ero reso conto di quanto imbarazzante potesse diventare questa conversazione.» Julie gli diede di gomito e io, dopo aver alzato il volume della radio quasi al massimo pur di non dover sentire nessun'altra voce, girai il viso verso il finestrino. Simon tornò seduto contro lo schienale . Sentii gli scocchi dei diversi baci che lui e Julie si scambiarono per tutto il tragitto. Jake mi diede bottarelle sul ginocchio per richiamare la mia attenzione ogni trenta secondi, ma decisi saggiamente di ignorarlo. Avevo anche ignorato quel suo: «Boccoli D'oro, mi guardi?» Il mio atteggiamento probabilmente apparse tutt'altro che indifferente. Ma ci ero rimasta malissimo. Ora capivo cosa volesse dire quando aveva detto che lui e Alison non erano amici come lo eravamo noi due.

La macchina si fermò nel garage, lo stesso garage in cui io mesi prima avevo sconsideratamente scelto di introdurmi. Ci misi più di Julie e Simon a scendere, giusto il tempo di slacciarmi la cintura. Eppure quel tempo gli bastò per aprire una conversazione. «Sei arrabbiata?» No, ma ero molto delusa. E non da lui, perché Jake si era sempre mostrato per quel che era. Ero delusa da me stessa, per aver creduto che tenesse più a me che a lei o a altre ragazze della nostra scuola. Per essere stata così stupida da credermi speciale. Non lo ero affatto. «No.» Increspò la fronte. Per qualche motivo non ne sembrava particolarmente contento. «Davvero?» «Sì. Perché dovrei esserlo?» «Non lo so.» Feci un sorriso a labbra strette e montai giù. Avrei tanto voluto tornare nella mia camera, anche se ci fossero stati dei topi.

Amami nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora