1."First Day

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1.Primo Giorno.

Tutti dicono che il primo giorno di college sia fondamentale, che sia una pagina voltata. Come se avessi la possibilità di azzerare il tuo passato e costruirti una vita nuova dove ogni cosa è differente, dove non c'è nulla di familiare.

Tutti pensavano ai loro nuovi inizi. Si guardavano attorno contenti, tra le braccia dei loro genitori con gli occhi traboccanti di lacrime. Per molti di coloro che mi stavano intorno quello era un inizio, ma per me era una fine. Avevo sempre trovato in ogni inizio, una fine ben precisa durante la mia vita. Mentre tutti gioivano per ciò che li aspettava, io ero ancorata a ciò che perdevo.
Forse non perdevo molto, quello sì.
Sapevo che in realtà non stavo perdendo niente.
Ma quel niente, per molto tempo, era stato il mio tutto. Non ero completamente pronta a lasciarlo andare ma sapevo di dovere.

Tante volte avevo pensato a cosa avrei visto nel mio primo giorno qui alla Kingstom University del sud Florida. Niente di ciò che avevo immaginato corrispondeva alla realtà. Avvertii una sensazione mai provata.
Era l'indipendenza, il sentir di poter fare finalmente della tua vita ciò che esattamente vuoi?
Non lo sapevo con precisione.
Forse era la scia di una malinconia estiva che lasciavo alle mie spalle unita al desiderio di veder realizzate le mie speranze.

La malinconia, il carattere più evidente della mia personalità, mi accompagnava in ogni passo, in ogni luogo. Non era vaga tristezza la mia, oppure semplice disillusione. Ma una profonda e radicata malinconia, quella che può provare solo chi ha conosciuto in pochi anni che al peggio non c'è mai fine. Che l'impotenza difronte ciò a cui la vita ti pone, esiste, e che a volte tutte le tue speranze non contano, perché le persone a cui tieni hanno il potere di portartele via.
Una folata di vento ruppe il caldo appiccicoso, sferzandomi i capelli. New York se n'era andata, non era più lì casa mia.

Il campus era immenso. C'era tanta gente tra la quale nascondersi per apparire inosservata - e io ne avevo bisogno. Odiavo le dinamiche di gruppo ed essere messa al centro dell'attenzione. Finivo per guadagnarmi l'odio di svariate persone quando ero costretta a passarci del tempo insieme. Al genere femminile io non stavo molto simpatica, tranne  che a Julie e ad Isobel. Eravamo una combinazione perfetta. Una reazione chimica dove la mia stizzosa schiettezza, l'esuberanza di Julie e la fastidiosa ingenuità di Isobel, bilanciate dal bene che volevamo l'un l'altra, creavano un composto esilarante. Per questo eravamo amiche dalle elementari, funzionavamo alla grande. Julie sollevò gli occhiali da sole maculati sulla sua testa, sgranò gli occhi guardando da destra a sinistra.
«Ci credete che è il nostro primo giorno di college?»
Era un edificio molto moderno e in confronto a Yale, che avevo visitato questa primavera, sembrava più uno di quei licei pubblici che appaiono costantemente nelle serie tv idolatrate dal pubblico adolescenziale americano. Mi piaceva. Una stradina di ghiaia procedeva per una ventina di metri fino all'ingresso, affiancata da pini, prati inglesi immensi, e la luce solare assorbita dai miei occhi illuminava tutto quel verde, e non serviva che andassi a Central Park per vederlo.
Ci vivevo.

"Il miglior programma di Medicina dello stato" annunciava lo striscione giallo penzolante sopra la porta d'ingresso. Attraverso di esso, brulicavano studenti con i loro zaini in spalla. Sarei stata una studentessa di medicina anch'io d'ora in poi... e tutto era così accogliente che mi permisi di provare un pizzico di eccitazione.

Il campus era pieno di persone: quasi temevi di muoverti per il rischio di imbatterti contro la spalla di qualcuno. Alcuni di loro, come quelli che adesso sedevano nel muretto accanto all'entrata del Pringhall, il mio dormitorio, avevano almeno duemila dollari addosso di soli vestiti, telefoni dell'ultimo modello in mano e una Lucky Strike tra le labbra. Poi adocchiai un'altra cerchia di persone, forse con delle ragazze sarebbe andata meglio. Se ne stavano riunite in circolo a chiacchierare sul prato, ma anche loro... troppo diverse da me. Extension un po' dappertutto, risate sguaiate anche a dieci metri di distanza e un uso spropositato della parola "sgualdrina" per rivolgersi l'una all'altra. Vidi passare ragazzi incredibilmente muscolosi intorno al mio dormitorio, con dei borsoni in spalla. Probabilmente esisteva una squadra sportiva. Non avevo avuto piacevoli esperienze con gli atleti del mio liceo, dove avevo fatto l'errore di inciampare nel buco nero del cheer-leading ed essere categorizzata per sempre come una barbie priva di materia grigia.

Amami nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora