8. In my veins

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Canzone : in my veins - Andrew Belle

8.
Quella mattina mia sorella mi tempestò di brutte notizie. Ero tornata al college con il morale davvero atterrato. L'idea di dover tornare lì, a New York, mi terrorizzava. Avevo fatto di tutto pur di fuggire via e realizzare il mio sogno: una città lontana, college e amiche. Non potevo permettere che l'ennesima ricaduta di mio padre mi trascinasse indietro. I miei genitori facevano così; quando cadevano, volevano ad ogni costo trascinare giù anche noi figli. Era per questo che Jessica aveva fatto a mio padre da porta voce. «Riporta tua sorella qui», gli aveva detto. Senza motivazioni, lui aveva deciso che io avrei dovuto assistere alla sua autodistruzione ancora una volta. Forse sperava che io lo aiutassi ad uscirne come sempre. Peccato che nel mentre per poco non mi ero rovinata la vita. Bottiglie di scotch frantumate a terra, casa sottosopra, lacrime ogni notte e chiacchierate struggenti fino all'alba. Lui si era rimesso in piedi grazie a me l'ultima volta. Tutti erano partiti: Jessica al mare con la sua migliore amica, Jonas impegnato coi corsi estivi e di Alex... Be', del primogenito nessuna traccia da quando aveva deciso di trasferirsi in California. Dopo essersi laureato alla Stanford in legge, aveva preso casa lì ed aveva iniziato a lavorare. Così ci disse per telefono. Che aveva iniziato a lavorare, ma senza nessun dettaglio, quindi non avevo idea di che mestiere facesse mio fratello. In tutta onestà, non lo vedevo affatto come un avvocato. Coi suoi tatuaggi e quei modi bruschi, a primo impatto sembrava un malvivente. Quindi mio padre era ancora il cardiochirurgo più stimato di New York grazie a me, dopo che lo avevo spinto a disintossicarsi, ma non mi aveva mai ringraziata. Ma non potevo di certo lamentarmi... Tra lui e la mamma era lui "il buono". Almeno lui non mi aveva mai picchiata o ustionata col mozzicone della sua sigaretta dopo essersi fatto di chissà quale farmaco. A volte i soldi non ti rendono felice, ma solo povero. Sembra la classica frase che dicono i ricchi, questo è vero, eppure io ne ero la prova. Ricca ma sola. Mia madre ne era la prova: ricca ma cattiva. E anche mio padre ne era la prova: ricco ma eternamente infelice.

Jessica sarebbe stata in Florida per un altro paio di settimane. Stava ristrutturando la villetta di nostra madre per metterla in affitto. Era lì che mi ero innamorata di Miami Beach. Mia madre ci era nata, e l'unica estate di pace della mia infanzia la passai lì. Lei prendeva i suoi medicinali, papà si era preso una pausa dal lavoro e i miei fratelli erano ancora troppo piccoli per partire coi loro amici ed abbandonarmi come fecero gli anni dopo. Era impossibile dimenticare papà mente mi aiutava a collezionare conchiglie o gli invani tentativi di Jonas di insegnarmi a surfare. Gli sport non avevano mai fatto per me. Solo adesso capivo che non era la Florida il mio sogno, ma una famiglia.

Fatto sta che, seppur non avessi ancora dato a mia sorella una risposta, non avevo intenzione di ripartire. Nei giorni successivi tutti mi notarono un po' strana. Julie e le sue manie di avere il controllo della situazione minacciarono anche di portarmi in ambulatorio. Ero semplicemente un po' pensierosa ed angosciata. L'idea che mio padre stesse male mi tormentava, ovvio. Non importava che tipo di padre fosse stato per me. Lunedì, come promesso, io e Jake andammo a comprare due cheesecake al limone. Lui mi disse che era in assoluto la più buona che avrei mai assaggiato. E in effetti fu frustrante dovergli dare ragione. La prima sparì durante il tragitto tra Miami e Cheansburg, mentre la seconda la nascosi nel mio minifrigo con la promessa che presto l'avremmo condivisa durante una scorpacciata notturna. Alla fine avevo dimenticato ciò che mi aveva detto quel giorno. O almeno avevo tentato di non pensarci e a non sentirmi offesa dato che mi aveva chiesto scusa, e anche se non lo ammetteva, faceva di tutto per non sentirsi in colpa. Potevo dire di aver esaurito definitivamente la sua "passione", dato che aveva smesso di chiedermi di uscire e anche di far finta di non guardare altre ragazze. Anzi, adesso si parlava addirittura d'altro al college. Non ero più al centro dei pettegolezzi, ma bensì ci si trovava l'odiosa ragazza dai capelli rossi che squadrava sempre dall'alto al basso. Ogni tanto a pranzo Jake gli si sedeva vicino e avevo intravisto gli stessi sorrisi che rivolgeva a me sorgergli sulle labbra. Non si era totalmente dimenticato della mia esistenza, infatti ogni volta che mi vedeva in giro per il campus mi veniva incontro o gridava il mio nome a squarciagola pur di catturare la mia attenzione. Lo divertiva molto mettermi a disagio davanti agli altri studenti. Il giovedì di quella settimana Julie mi disse che avevo fatto bene a resistere alle avance di Occhi Belli. Ormai lo chiamava così. Anche lei aveva capito che non era stato colpito dalla freccia di cupido o da un colpo di fulmine... era fatto così. Non ci ero rimasta poi tanto male, non ero nemmeno convinta che alla base del suo atteggiamento ci fosse della malizia. S'invaghiva facilmente, forse. O più probabilmente non s'invaghiva di nessuno ma te lo faceva credere per farti sentire speciale per un attimo. Per questo non me l'ero presa se adesso avesse già desistito con me. Mi aveva adulata quasi per farmi sentire meglio, per farmi acquisire sicurezza in me. Ma aveva funzionato? No, ovvio che no. Mi sentivo persino peggio di prima. Mi sentivo diversa, ma non come se fossi migliore degli altri. Come se fossi un gradino indietro. A diciassette anni nessuno dovrebbe avere ancora paura del mondo, della gente. Dovrebbe vivere.

Amami nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora