‼️NUOVA REVISIONE IN ARRIVO‼️
Due filamenti di DNA, due trame dello stesso destino, intrecciate nella storia fino ad arrivare ai giorni nostri.
O più precisamente, all'anno in cui Seth, il dio del deserto e del caos mi trovò.
Questa è la mia malediz...
Il rombo di una moto fece vibrare le mura di casa.
Non sapevo da quanto tempo fossi lì, distesa sul letto con un fazzoletto di sangue stretto tra le dita, a rimuginare sulle parole di Calanthe in mezzo a quei fiori troppo accesi.
'Non sono loro quelli che hanno ucciso tuo padre.'
Avevo appena finito di tamponare i capelli incrostati di sangue, quando dei pugni si abbatterono come falci con la stessa intensità delle imposte sbattute dal vento in una casa stregata.
Lasciai la carta insanguinata per terra e andai verso quel rumore, evitando che i piedi scalzi sfiorassero i vetri della porta della mia stanza ormai inesistente. Quando arrivai a quella dell'ingresso, la aprii con migliaia di insulti pronti per la mia amica.
«Ascolta Cal...»
Richiusi la bocca.
Non era lei.
Ma il Caronte tatuato che ogni notte mi tormentava inchinandosi davanti a me in quella sala d'attesa, per dirmi che mio padre non c'era più. E che in quel momento occupava il mio ingresso nella bellezza di un corpo statuario racchiuso in un giubbotto in pelle nero.
Amos.
«Sei tu» affermai secca.
«Posso...entrare?» Si era appoggiato al montante in attesa del suo lasciapassare.
«Mi hai portato dei fiori?» Tenevo l'anta della porta in una mano, pronta a sbattergliela in faccia.
«No» disse senza sorridere.
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Sapeva.
«Allora puoi entrare.»
Il ciuffo ondulato gli ricadde di lato, morbido, coprendogli leggermente l'occhio.
Mi seguì in silenzio come fossi una cameriera che gli avrebbe mostrato il suo tavolo, quando si bloccò davanti a quello spettacolo pietoso di vetri e fiori.
Così tagliente e allo stesso tempo delicato.
«Rajah...?» Quel tavolo non gli piaceva.
Si voltò verso di me con occhi sgranati, studiandomi, come fossi un esperimento di laboratorio mal riuscito.
«Non chiedermi cos'è successo.» La mia voce era ridotta a un sussurro mentre scivolai a terra, accanto al bracciolo del divano con le mani tra i capelli. «Ma so perché sei qui, Amos.»
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