Capitolo 2

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Un grugnito quasi animalesco svegliò il ragazzo di soprassalto
« Perché queste dannate valigie sono così piccole! »
Eiran si trascinò fuori dal letto con riluttanza. Accese lo schermo del cellulare per controllare l’ora e la luce gli ferì gli occhi abituati al buio. Le quattro meno un quarto. La sera prima Darlene era crollata sul divano dopo altri venti minuti di pianto e non aveva avuto il tempo di preparare la valigia. E adesso, in mezz’ora, avrebbe non solo dovuto vestirsi, ma anche capire cosa portarsi dietro per un periodo non meglio precisato in uno Stato il cui clima era ignoto. Una cosa impensabile per una maniaca del controllo.
Già che era in piedi, il ragazzo accese la macchina per il caffè e andò in bagno per una breve doccia. Non avrebbe permesso a Darlene di viaggiare da sola a quell’ora della notte: non essendo abituata a certi orari, avrebbe rischiato di addormentarsi al volante.
Mentre stava uscendo dal bagno con un asciugamano a cingergli la vita, i due si scontrarono.
« Oddio, ti ho svegliato? Perdonami, farò più piano. » iniziò la ragazza a ruota libera, senza accorgersi che davanti non aveva un un blob assonnato in cerca di vendetta, ma una persona completamente sveglia e pronta all’azione.
« Quello che sento è per caso odore di caffè? E perché ti sei fatto una doccia in piena notte? Fammi indovinare- » Eiran la zittì premendole un indice sulla bocca.
« È troppo presto per sentire qualcuno lamentarsi. Io ti accompagno in aeroporto, non si discute. E comunque, se non mi avessi svegliata tu a momenti mi sarebbe partita la sveglia. » e con un tempismo al limite del ridicolo, proprio in quel momento, dalla stanza del ragazzo partì “Beautiful Way” dei You Me At Six.
« Ora dimmi, vuoi anche tu del caffè? »
La ragazza scosse la testa « Vorrei provare a dormire in aereo. »
Il fatto che non provò a ribattere la sua scelta fu un buon segno. Non che questo l’avrebbe fermato, anzi, solo che così facendo risparmiarono una discussione futile che gli avrebbe mangiato fin troppo tempo.
Venti minuti più tardi, i due si ritrovarono alla porta dell'appartamento, pronti a partire con una valigia stracolma, che rischiava di scoppiare come una bomba a mano da un momento all’altro. Allo sguardo interrogativo del ragazzo, Darlene scosse la mano con fare sbrigativo « Reggerà. »
Il viaggio fu breve, non più di dieci minuti, ciò non significa però che fu tranquillo. Mentre la ragazza dormiva, infatti, per poco non rischiarono un incidente. Di certo un ubriacone di rientro da una serata. Quando le persone impareranno ad essere responsabili, il mondo sarà un posto migliore” pensò Eiran a pochi secondi dalla sventata tragedia. Già si vedeva scorrere davanti i possibili titoli dei giornali, se non fosse stato abbastanza reattivo: “Un ubriaco in contromano investe un’altra auto nel pieno della notte, la ragazza morta stava andando a trovare la nonna malata terminale. Nessun sopravvissuto”.
Oltre a questo gli vennero in mente mille scenari: Darlene morta e lui ridotto in stato vegetativo, la telefonata che avrebbe dovuto affrontare con i genitori di lei e le urla disperate provenienti dall’altro capo della linea, il processo, la testimonianza in tribunale, oppure la sua di morte, ugualmente tragica, ma molto meno compianta e ovviamente la morte di entrambi. In nessuno di questi scenari, però, nonostante fosse la realtà, nessuno dei due ne usciva incolume. Al suo cervello piaceva fare scherzi del genere, nonostante il pericolo fosse superato, questo si divertiva a torturarlo ancora un po', come se la vita vera fosse troppo monotona per i suoi standard. Gli venne diagnosticata l’ansia cronica in adolescenza e dopo anni di terapia e psicofarmaci, era ancora lì, un coinquilino snervante sempre pronto a rovinargli la giornata.
Tentò uno degli esercizi di respirazione che gli aveva insegnato lo psicologo durante le sedute. Eiran li aveva sempre considerati inutili, ma in assenza di alternative migliori si accontentava. Si rifiutava con tutto se stesso  di arrendersi al panico senza nemmeno provare a lottare.
« Stai bene? Che succede? » Darlene, ovviamente. Quella ragazza non si era svegliata con una manovra brusca e un concerto di clacson, ma al cambiamento del suo ritmo respiratorio le si erano drizzate le antenne.
« Niente, sto bene. »
« E io sono il Dalai Lama. Dimmi. »
« Ti ho detto che è tutto ok. »
« Lo sai che non ti fa bene tenerti tutto dentro e rimuginare, se è successo qualcosa posso aiutarti, ma devi essere tu a fare un passo verso di me. »
« Se ho detto che non è successo niente è perché non è successo  niente. Smettila, non sono un bambino, non trattarmi come se lo fossi! »
« Io non ti tratto come un bambino, anche se alcune volte non sembri superare i cinque anni, stavo provando ad aiutarti t- »
« Un cretino era contromano. » sbottò alla fine. Sapeva che si stava comportando male nei confronti della ragazza, che aveva già fin troppe cose a cui pensare, e sapeva che in realtà lei voleva essere d’aiuto, ma nei momenti di crisi il suo cervello e come reagiva al mondo esterno diventavano imprevedibili e di conseguenza il supporto altrui non sempre era utile.
Darlene non ebbe il tempo di concentrarsi e metabolizzare l’ultima affermazione dato che le nocche di Eiran erano diventate bianche per quanto forte stringeva il volante, aveva lo sguardo allampanato e il respiro era sempre più frenetico. La discussione con Darlene aveva aggravato la situazione già abbastanza precaria. La ragazza, per cercare di calmarlo, alzò una mano per toccargli la spalla. Come un flash, le venne in mente uno dei consigli che aveva letto su un articolo riguardante gli attacchi di panico: niente contatto fisico. Si fermò appena in tempo. La sua eccessiva vicinanza lo avrebbe potuto spaventare e avrebbero rischiato di sbandare. Dato che far parlare lui non aveva funzionato, Darlene decise di cambiare approccio.
« Ehi Rey, va tutto bene. Non è successo niente. Stiamo bene. Ho sbagliato, non dovevo forzarti, ma è tutto ok adesso. » iniziò a recitare parole confortanti. Nonostante si conoscessero da anni, Darlene aveva ancora qualche difficoltà nel valutare le situazioni e per questo non sempre riusciva a calmarlo al primo tentativo. Per questo,quando il ragazzo riprese contatto con la realtà, lei si scusò.
« Non sei la mia baby sitter, non è un tuo dovere calmarmi ogni volta. » Eiran non riusciva a guardarla in faccia, e non perché stesse guidando. Non che si vergognasse dell’accaduto, ormai faceva parte della loro quotidianità, ma si vergognava di come aveva risposto a Darlene. Nonostante questo lei lo aveva aiutato.
« Ma smettila, sono tua amica. Non sarà un dovere lavorativo, ma è un dovere morale. Io devo, perché voglio essere la migliore amica possibile per te. E prima che tu dica qualsiasi cosa, so che quando sei nel panico dici cose che in realtà non pensi. E, se mi posso permettere, è ridicolo che tu senta il bisogno di specificarlo almeno una volta a settimana. Lo so, piccolo procione ansiogeno. »
Eiran entrò nei parcheggi dell’aeroporto facendo il possibile per nascondere gli occhi umidi, mentre Darlene fece finta di non vedere  nulla. La loro convivenza, per la prima volta in cinque anni, si sarebbe interrotta. Darlene era diventata fondamentale nella vita del ragazzo, così come Eiran lo era nella sua. La loro separazione, anche se per giusti motivi, non sarebbe stata facile.
Dopo essersi salutati un’ultima volta, Darlene si diresse verso la zona dei controlli portandosi via con sé un po’ della felicità del ragazzo.  Una volta assicuratosi che il volo non fosse stato cancellato e che la ragazza passò tutti i controlli senza problemi, Eiran si concesse un momento di debolezza mentre tornava alla macchina, lasciando cadere quelle lacrime che scalpitavano per uscire. No, non sarebbe stato per niente facile. Oltre all’assenza della sua migliore amica, infatti, Eiran non aveva riflettuto a fondo, quando si era proposto di gestire il bar, che questo avrebbe implicato dover prendere una volta per tutte il toro per le corna e affrontare la sua fobia sociale. Non far finta di superarla standosene da solo seduto ad un tavolo, ma avendo giornalmente conversazioni con estranei oltre ad una convivenza forzata con Ollie per tredici ore al giorno.

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