6. Un discorso banale

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"Ehm ciao, sono..." Mi bloccai e sentii delle risatine provenire da qualche parte, mi voltai verso la torre da cui ero entrata. "Ciao, sono Jessica del Liceo... Non ho un testo, semplicemente perché non l'ho scritto, ma vi volevo raccontare lo stesso della mia esperienza ad Auschwitz. La prima cosa che vi vorrei raccontarvi è successo proprio qui, ad Auschwitz-Birkenau, proprio presso questo monumento... Io ho la tendenza di voltarmi e guardare dietro (perché sono una vittima del passato) ogni volta e lo feci anche qui. Ad ogni passo in questo campo, io mi voltavo e guardavo il punto dove eravamo entrati, però ad ogni passo lo scorgevo sempre di meno e la nebbia non aiutava di certo. Fino a che non arrivai qui, presso questo monumento, mi voltai e non la vidi più, non vidi più quella torretta... Era stato devastante per me... Avevo paura. Era la mia ancora, il mio punto di riferimento e lo avevo perso... Avevo una sensazione che stavo andando verso qualcosa di strano, di spaventoso, verso una qualche fine, forse la morte. Non sapevo cosa fare. La torre simboleggiava l'uscita, una speranza, un riferimento. E l'uomo, è un essere che ha sempre avuto bisogno di un appoggio, di un qualcosa a cui aggrapparsi, di un riferimento, per non perdersi, per capire e per volere, che sia la famiglia, che sia un'ideale, che sia un bene materiale, che sia... una qualsiasi cosa. Io avevo perso di vista quell'entrata che per me era l'uscita. Eppure era lì, dietro la nebbia. "

...

"La seconda cosa che vi voglio raccontare è successo al campo base, per entrare al suo interno bisognava attraversare un tunnel, un tunnel dove all'interno rimbombavano i nomi delle vittime, nomi vuoti, ma allo stesso tempo così pieni, nomi che non mi dicono niente, ma che hanno una lunga o una breve storia dietro. Uscito da lì si notava a sinistra le case che appartenevano al campo base e a destra, fuori dal campo, una zona residenziale. La cosa che mi colpì subito è stata la somiglianza, sembravano uguali dall'esterno, stessa struttura, stessa forma, stessa planimetria, stessa grandezza, solo che quelli a destra erano più colorati, più moderni, mentre quelli a sinistra erano mattoni grezzi. Non notavo la differenza, eppure uno era il campo di concentramento e l'altro una normalissima zona residenziale, abitata da persone. Realizzai la differenza solo entrata all'interno del blocco 11, dove le stanze erano state ricostruite come erano prima. Però non lo notai subito, entrata al suo interno infatti sembrava un corridoio normale, con stanze che potevano essere quelle per gli ospiti, salotti, cucine, studi... Ma c'erano i letti a castello, quei letti a castello, claustrofobici. Talvolta non c'erano nemmeno i letti e le storie erano raccapriccianti... La differenza c'era, c'era eccome. Però da fuori sembrano così simili."

Smisi di parlare, guardai per l'ultima volta le persone e me ne andai.

Per mia fortuna che mi presero subito perché le mie gambe non avrebbero retto da sole.

Piansi.

Un pianto liberatorio.

Un pianto felice.

Un pianto disperato.

Un pianto... chiassoso.

"Sei stata bravissima"

Mi misi in ginocchio in un angolino.

"Sei stata bravissima"

"Sei stata bravissima, non era per niente banale ciò che hai detto" La prof.

Avrei voluto ringraziarle, ma l'unica cosa che feci in quel momento era piangere ancora più forte, non la smettevo più. Non riuscivo più a smettere.

Ci sedemmo sui gradini con la Cla a sinistra, la prof a destra e l'Elly di fronte.

Io piangevo, talvolta ridevo... Talvolta mi guardavo intorno e talvolta mi perdevo.

"Ho lo stomaco attorcigliato" dissi ridendo

"Già, un bel nodo" rise di cuore Elly

"Ci credo, mi meraviglierei del contrario" Disse la prof.


"Ne vuoi una?" Chiese una signora, porgendomi delle caramelle.

"Grazie."

In quel momento realizzai che avevo ancora i guanti, me li tolsi, o forse me li tolsi leggermente prima, comunque me li tolsi. Vidi Einstein e lo strappai via da quel bottone della mia giacca che lo teneva appeso. Tolsi il cappello e rimasi lì a farmi coccolare. Adoro gli abbracci, più in generale i contatti umani, ma talvolta li disprezzo anche, cioè sono umana anch'io.

"Come stai?" chiese un signore avvicinandosi.

"Sto così"

"Anche io sto così, ma io non sto piangendo. Dai."  Lo disse con un tono dolce e gentile, mentre mi accarezzava la testa.

Fissai forse un po' intorno, mi lasciai coccolare ancora, d'altronde chi rifiuterebbe abbracci e coccole gratuite (Si, so di essere contraddittoria). Tolsi la sciarpa e la buttai per terra.

"Aspetta che se no si sporca." La persona sulla mia destra raccolse la sciarpa.

"Tanto è già sporca, non è la prima volta che la butto per terra."

"Talvolta anche tu ti butti per terra." Disse Elly e ridemmo.

"Vero, si sta comodi sul pavimento." Risi.

"No, ma tutte quelle volte che tornavi dal bagno? Sembravi sempre sull'orlo di cadere." Cla.

"Ma è fatta così, sarebbe più strano se succedesse il contrario" Elly.

"Esatto, lì ci sarebbe da preoccuparsi." La prof.

Ridevo, piangevo, ridevo, piangevo, piangevo e ridevo, ma che cavolo stava succedendo?!

Piangevo.

La gente continuava a parlare, le classi andavano ad una, ad una, ma io ormai non ero più lì, non li sentivo più.

"..zia"

"Pouff, Situazia" Risi, un sorriso sincero, forte e chiassoso.

(Per chi non lo sapesse, la nostra guida una volta sbagliò a dire "situazione" e disse "situazia" e la cosa ci fece davvero tanto sorridere, quindi sentendo una persona che ha detto qualcosa che finiva con "...zia" mi fece ripensare a quello)

"Aspetta che ti faccio vedere qualcosa per farti ridere" disse la Cla

"Ce la fa tranquillamente anche da sola" disse l'altra guardandomi mentre ridevo come una matta alla mia stessa battuta.

Smisi di ridere.

"Ciao Catetti." Mi voltai verso di lei che si era unita al gruppetto.

"Pouff, hai il Sole in faccia per caso?" Sorrise.

La guardai in faccia con gli occhi socchiusi per la luce del Sole che proveniva da dietro la sua figura e risposi: "No."

Mi sdraiai sul pavimento, con il cappuccio in testa. Il cielo era di un bellissimo celeste intenso, non c'erano nuvole, nemmeno una, come se anche lui si fosse appena liberato di un peso. Era bello e sentivo un po' di calore sulla mia pelle, calore dovuto alla luce dell'amico Sole. Mi alzai quasi subito.

"Mi stanno guardando male." Dissi riferendomi ai quei pochi volti che avevo visto stesa per terra.

"Ma fregatene." Fu la risposta.

Rimanemmo su quei gradini fino alla fine della commemorazione.

continua...

Capisco che i dialoghi possono essere molto casuali e talvolta forse non resi bene, ma erano stati buttati giù così e ora come ora non ho più il diritto di riscriverli.

Artssie

Auschwitz dietro le quinteWhere stories live. Discover now