1. Tarnow

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9 marzo 2024, ma è tardi, quindi penso che finirò il testo il 10 marzo.

Dopo tanti racconti incompiuti penso di essere pronta di nuovo a scrivere su carta e penna qualcosa che valga davvero. Non sono per niente sicura di poter rendere ciò che ho provato e ciò che provo ancora a parole, anzi mi pare quasi impossibile, ma come dice il vecchio detto: "Tentar non nuoce". Ora con una tazza di camomilla (non penso proprio che mi basterà ed è pure la seconda) e cioccolato in abbondanza, voglio raccontarvi la mia esperienza ad Auschwitz.
Esatto proprio quell'Auschwitz, il campo di concentramento, quel complesso costantemente rivisitato e reso efficiente in passato da dei geni, sì dei geni, perché alla fine è quello che sono: persone con una mente strabiliante che hanno reso funzionale una macchina, peccato che essa abbia come scopo di strappare delle vite. Vite umane. Delle persone come noi, come me e come voi, miei cari lettori.

"Mi sembra che stiano dicendo cose troppo banali, cose già sentite, cose riviste più volte perché siano perfette e non mi sembra giusto."
"Però alcune volte anche il banale non è sempre banale."

Finalmente un momento di pace per poter mettere in chiaro i miei pensieri che appaiono così tanto ingarbugliati. Mi trovavo nella Hall dell'Hotel, erano le mezzanotte passate e seduta sola sul divanetto tirai fuori dalla borsa di tela un quadernino arancione ed uno blu, due libricini così leggeri e tascabili divenuti così pesanti per il loro contenuto. Quel giorno avevamo visitato Tarnow, una piccola città di Polonia che in sé porta una storia tanto atroce quanto crudele. Crudele perché la storia ha offuscato la sua bellezza, le case colorate parevano grigie, la piazza pareva vuota, i monumenti urlavano dolore e l'atmosfera pareva di morte.
Morte.

Oggi mi hanno detto che forse porto maltempo, perché quando ero partita per questo viaggio di memoria con la scuola, nel mio paese tornò l'amico Sole che non si faceva vedere da un po' e la pioggia ci aveva seguiti fino a Cracovia.
La pioggia, forse dovrei ringraziarla di averci seguiti, ha accentuato molto quell'atmosfera orrenda, di morte.

Sto di nuovo sproloquiando e la camomilla si sta raffreddando.

A Tarnow avevamo visto il Ghetto, o meglio le strisce bianche che segnano i suoi confini, che non sono solo delle semplici linee, almeno non tutte, alcune sono delle frasi. In particolare c'era scritto: "TU BYLO GETTO" che significa dal polacco "C'ERA UN GHETTO QUI". Di quello, il ghetto, però non è rimasto nulla, solo strisce e dei monumenti, gli edifici erano tutti stati ricostruiti e quelli ancora integri rivisitati. Però le strisce perdono colore e i monumenti non vengono sempre capiti... E allora chi potrà mai garantire che ciò era successo in passato non verrà dimenticato? Molti direbbero la memoria, ma ho già detto in un'altra storia quello che io penso sulla memoria: essa tende a dimenticare pure se stessa, quindi come fa a ricordarsi degli altri? Non dico che siano invani questi viaggi e nemmeno il ricordo, ma non bastano... Come le parole che non mi bastano mai per esprimermi.

Siamo vittime del tempo e della memoria.

Un'altra cosa che avevamo visitato era il cimitero ebraico; il primo impatto che restituisce la vista di quel posto è sicuramente l'angoscia, mai visto un cimitero così tanto malandato, così tanto alla mercé della natura e soprattutto mai visto così tante tombe accatastate l'una sull'altra, da non riuscire più a differenziare quel pezzo di terra che culla quella determinata persona, e la cosa più spaventosa è che non si differenzia davvero. Quelle tombe erano state tolte e usate per costruire strade con lo scopo di sminuire delle persone, per dire a loro che non valgono nulla e la loro fede neppure.

Prima avevo parlato di un cimitero malandato, era davvero messo molto male, le tombe erano coperte di muschi, erano di un colore grigio-verde e non c'erano i fiori, ma dei sassi.
In quel momento ero un po' distratta e non avevo sentito tutta la storia sul perché mettessero i sassi, ma per loro i fiori veri simboleggiano una vita strappata e hanno un rapporto diverso con la morte tanto da non visitare molto spesso le tombe per questo, in quel luogo, pare che la natura tenti di riprendere i suoi terreni.

Dannazione a me che mi ero distratta, la camomilla è sempre più fredda...

Al pomeriggio, sempre di quel giorno, ci siamo diretti verso il bosco cittadino Zbylitowska Gora che in sé conteneva un monumento che simboleggia tutte le vite strappate in quel posto, sepolte in quelle fosse comuni, che di comune forse non hanno nulla. In particolare mi hanno colpito la fossa dei bimbi, da subito si nota la differenza con le altre, erano colorati, pieni di giochi, di vestitini e di caramelle. E' ironico... le caramelle sono lì, ad un passo da loro, ma non potranno mai assaggiarle e dire se erano buone o meno... Come dare qualcosa di buono a qualcuno, ma di renderlo irraggiungibile allo stesso tempo. E' più buono quello che dà o quello che fa sì che tu possa ottenere quello che vuoi?

Poi il modo che li ammazzavano, questi bimbi, fracassare il cranio contro una roccia, seporli mezzi vivi per risparmiare le munizioni... Ma poi come facevano? Come facevano a sorvegliare quelle fosse sentendo i singhiozzi, i pianti dei bimbi ancora vivi? Destinati ad una morte lenta ed atroce, sepolti dalla macerie di quell'umanità della quale non hanno avuto abbastanza tempo, o forse anche troppo, di dare un loro giudizio.
La guida poi ci disse che i soldati che sorvegliavano le fosse ottenevano dei premi e che premi... Vodka e delle ferie.
Una sera in Hotel nella stanza 229 io e una mia compagna di classe avevamo fatto una piccola chiacchierata, saranno state le 3 del mattino e avevamo visitato Auschwitz il giorno prima. Lei mi disse: "Non esiste un premio che possa essere comparabile a ciò che hanno fatto, ma si porteranno sempre sulla loro coscienza ciò che hanno fatto." E non posso essere che d'accordo con lei. E' stata davvero una piacevole chiacchierata, il resto della conversazione ve lo spoilerò più avanti, d'altronde siamo solo al primo giorno, il 5 marzo del 2024.

Era tardi e me andai da quella Hall tanto affollata, piena di volti sconosciuti e di chiacchiericcio meravigliandomi di come non mi sia sentita a disagio in mezzo a quella folla.
Per fortuna che la colazione era alle 7.

La camomilla pare uscita dal frigo come del resto tutto il mio corpo.

Continua...

Artssie

Auschwitz dietro le quinteNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ