5. Commemorazione

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11:00 tutti nella Hall

11:30 sul Pullman e si riparte,

si riparte di nuovo,

di nuovo verso Auschwitz.

Incredibile ma vero, il giorno prima mi ero appena promessa che non ci sarei più tornata, almeno non così presto e il giorno dopo eccomi di nuovo là. Queste sono le bellissime conseguenze di non leggere o ascoltare attentamente i programmi.

Appena usciti dall'autostrada, ero un po' irrequieta, osservavo la strada ogni minuto per scorgere l'ingresso di Birkenau. Non pensavo che il tragitto fosse così lungo ancora.

Tick, Tack... Tick, Tack...

Eccola.

Presi il telefono e il portafoglio, poi vidi lui, il leoncino che avevo preso qualche anno fa a Firenze che avevo volutamente battezzato Einstein per la sua criniera spelacchiata. Non so che cosa mi passasse per la testa in quel momento, però lo presi e lo portai con me. Conforto? Antistress? Oppure forse solo per il puro sadismo di far vedere il campo a qualcuno che l'aveva scampato. Ma che ne so io.

Era una giornata soleggiata.

Il campo pareva un parco per i primissimi secondi, ma poi vidi il filo, le baracche, il memoriale, la ferrovia e ritornai alla realtà.

Era una giornata soleggiata.

"Ha meno impatto con il Sole."

"Già però fa schifo lo stesso."

"Concordo."

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Sono quasi le 8 di sera, sto dilungando più del previsto. Oggi niente camomilla.

Ci dirigemmo verso il memoriale presso il boschetto, mi voltavo spesso a guardare indietro come il giorno prima, come per misurare la distanza con lo sguardo. Ed eccoci alla commemorazione.

"Ma cosa dovevate dire scusa? Non lo avete mica provato sulla vostra pelle, vedere ed essere lì sono due cose completamente diverse." "Infatti era anche il mio dubbio." Prima mattina di scuola alla stazione delle corriere.

Iniziarono a parlare. "Autobus numero... venite" Ero molto indietro e avevo le persone davanti, non vedevo i volti di quelli che parlavano, ma sentivo le parole, anche se non ne ricordo mezza. Giravo in tondo, camminavo, osservavo, ma sembravano azioni involontarie, non capivo.

La perfezione di certi testi era surreale, erano ben fatti, poetici, commoventi (certo che ho la sensibilità di una pietra in questi casi, ma potevano essere considerati tali), presi dal libro, ecco l'espressione giusta. Erano discorsi che si potevano sentire ogni 27 gennaio dell'anno, certo magari intendevano altre cose, altre cose che non avevo colto, ma non saprei, non ricordo più niente...Erano solo domande, niente risposte, solo "Perché?" e non "Perchè...", solo "Come?" e non "Così... ", solo "Perché sono stati così crudeli?" e non "...".

E' d'istinto umano essere ciò che siamo.

Erano discorsi di gruppo, forse uno aveva pure riletto il pezzo dell'altro o forse me la sono sognata, si vede che non tutti sapevano ciò che c'era scritto su quel pezzo di carta, la parola chiave è non tutti. Io ho sempre detestato all'elementari quando dovevo leggere un pezzo di testo non scritto da me, selezionato, scritto dagli altri. Perché poi la maestra diceva sempre "la classe... presenta", ma io non conoscevo manco il testo intero, come fa ad essere di classe, se la classe in primis non partecipa? Okay, magari eravamo piccoli, ma negli ultimi anni neanche tanto... Eravamo piccoli e non grandi abbastanza per essere definiti grandi. Anche adesso mi sento piccola, non fisicamente però. E' sempre stato un "non sei abbastanza grande" e adesso è anche "non sei una bambina, cresci."

Auschwitz dietro le quinteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora