7.

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Collin

Sarebbe bastato solamente un secondo, un dannato secondo in mezzo all'oscurità.

Avevo fatto delle cose orribili, mi ero trasformato in un mostro solo per non avere più paura.

La voce di mio padre risuonava nella mia testa, un ricordo vivido che annebbiava quel poco di buono che mi rimaneva.

"Sei il mio unico rimpianto".

"Pensi che qualcuno ti amerà?".

"Le tue emozioni ti distruggeranno".

"Per farti rispettare devono avere paura di te".

"Sei debole come tua madre, un fallimento".

Sentivo i suoi passi pesanti avvicinarsi sicuri davanti a me fino a torreggiarmi, la sua mano schiantarsi dura contro la mia guancia.
Una smorfia si insinuava sul mio viso, prima di rispondere con un calcio che schivava ogni volta.

Ero un cane rabbioso, la gabbia toracica si muoveva feroce su e giù mentre digrignavo i denti. Le sue mani bloccavano le mie dietro la schiena, e con un gesto improvviso mi fece inginocchiare a terra.

Sentivo il sangue ferroso fluire dal labbro, eppure non sentivo dolore, solo rabbia e umiliazione.

"Sopprimi le tue emozioni del cazzo Collin, con questo carattere non ti farò gestire nemmeno l'un per cento dei miei giri!" urlò mio padre.

Era un dolore che bruciava, che si insinuava sotto la carne infuocandola. Avrei voluto urlargli contro quanto lo odiassi, e poi sferrargli un pugno sul naso.
Poi un'altro ancora, e ancora, e ancora.

Volevo sentire il suo cuore fermarsi, i suoi occhi chiudersi e le sue viscide mani non avere più il potere di distruggermi.

Un dolore al petto mi fece tornare alla realtà, bloccando quei gelidi ricordi nell'oscurità dei secondi ormai perduti.

Spostai disinvolto l'attenzione su Ninive, guardava fuori dal finestrino della macchina con serenità, la stessa che avevo perso da tempo.

«Quanto manca?» la sua voce scacciò l'angoscia che mi stava torturando.

Sapevo di piacerle, i suoi occhi tradivano le sue parole ogni volta, forse non capaci di mentire.
Era proprio quello che mi incuriosiva di lei, il suo primo nemico era se stessa e ci faceva la guerra ogni giorno. Quando una parte di lei voleva avvicinarsi a me, mentre l'altra la obbligava a starmi alla larga.

I suoi capelli le contornavano il viso ovale, così lunghi da arrivarle oltre il seno sodo. Schiuse le labbra imbarazzata, quando notò i miei occhi indugiare poco delicati su di lei.

«Dovresti guardare la strada, non credi?»  intonò sulla difensiva. Come se, con un semplice sguardo, l'avessi messa spalle al muro.

Sorrisi per quella reazione, tutt'altro che indifferente alla piccole attenzioni che le stavo dedicando.

Era dannatamente bella e femminile.

Sapevo di non essere la persona giusta per lei.
Eppure lo desideravo così tanto, da grande egoista volevo che fosse mia e di nessun altro.

Forse lo volevo perché quegli occhi potevano capirmi senza che parlassi, e perché io facevo lo stesso con i suoi.

«Credo che tu sia più interessante» esordii con voce calma e controllata, accennando un sorriso compiaciuto.

Con gli stessi occhi Where stories live. Discover now