6.

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Ninive

Aprii gli occhi lentamente, li sentivo così pesanti che mi venne voglia di richiuderli.

Ero confusa, sentivo la testa girare incessante su se stessa, mentre i ricordi poco vividi della sera precedente cercavano di riaffiorare.

Sospirai e posai d'istinto le dita sulle tempie, massaggiandole con movimenti rotatori.

Se mia madre avesse scoperto tutto questo non so come avrebbe reagito, durante le telefonate non facevo altro che fingere che andasse tutto bene. Eppure sapevo che lei qualcosa l'aveva intuito.

Fuori era ancora buio e il silenzio regnava sovrano, così guardai l'orologio e lessi l'orario: 1.00 am.

Mi alzai dal letto per recarmi in cucina, avevo la bocca impastata e volevo bere dell'acqua, o qualunque cosa avessi trovato per prima.

Camminavo disinvolta finché, in un lasso di tempo breve come un lampo, andai a sbattere contro un corpo muscoloso e profumato.

«Oddio!» un gridolino acuto uscì dalle mie labbra, poi mi allontanai da quella sagoma che prendeva forma davanti ai miei occhi stanchi.

Collin Davis.

«Dove pensi di andare, guerriera?» la sua voce rauca mi avvolse, era divertito e preoccupato.

Lo si notava dal suo sguardo fisso su di me, osservava i miei movimenti e aveva le mani nelle tasche del pantalone, come per provare a contenere il nervosismo del momento.

«Che ci fai a casa mia?» chiesi confusa, incrociando le braccia al petto. Ero tesa, e in quel momento era l'ultima persona che avrei voluto vedere, sopratutto se volevo calmarmi.

«Matt non c'è, quindi sono costretto a fare il babysitter non retribuito» mi sorrise sfacciato, prima che il silenzio scese di nuovo tra noi.

«Fammi indovinare, è con Damon?» parlai con tono sarcastico, prima di oltrepassarlo a spintoni.

«Non dovresti chiederlo a me»

Non ci voleva un genio per comprendere che lui sapeva più di quanto gli spettava conoscere della mia vita. Questo, inevitabilmente, mi provocò un fastidio difficile da reprimere.

«Se sono ridotta in questo stato è solo colpa vostra... Voi e i vostri stupidi segreti!» alzai il tono della voce, e con esso il cuore riprese ad accelerare più del dovuto.

Gli diedi le spalle e aprii il frigo, guardai al suo interno e presi il cartone del latte. Mi sedetti e iniziai a bere, per un secondo mi parve il sapore più buono che avessi mai assaggiato, poi tornai a dare attenzione al batterista.
Era in piedi davanti a me, aveva le braccia incrociate e uno sguardo cupo.

«Vuoi parlare? Bene, parliamo!» poggiò in modo aggressivo le mani sul tavolo, che si trovavano a poca distanza da me, e mi spaventai per quel gesto cruento e inaspettato.

«Cosa sai di me?» chiesi alzandomi dalla sedia.

«Quanto basta»

«Era Damon, ieri sera, vero?» chiesi nuovamente, più a me stessa che al ragazzo che mi guardava sicuro.

«Vuoi davvero affrontare questo discorso con me?» sbuffò infastidito.
«Preferisci parlare di tuo padre, allora?» chiesi provocandolo.

Alzò le sopracciglia sorpreso, poi si leccò le labbra secche. Senza chiedere il permesso si avvicinò a me più del dovuto, che ero inchiodata al pavimento. Prese il mio polso con la mano e sorrise divertito.
Pensava di intimorirmi?

Con gli stessi occhi Where stories live. Discover now