CAPITOLO 2

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Il salone di rappresentanza era un atrio enorme, in marmo bianco screziato di grigio, con candelieri alti quanto Suncer, con bracci di spesso argento sbalzato e candele di cera nobile, sistemati alle pareti. La scalinata che portava al piano superiore si diramava davanti a loro in due rampe laterali, era anch'essa di marmo, con colonnine intarsiate e due enormi aquile scolpite alla base, velluto rosso sui gradini. Pomposo a dir poco, ma d'effetto, non c'era che dire.

I Sacerdoti camminarono verso la scala e Suncer li seguì.

Imboccarono un corridoio anch'esso illuminato da numerosi candelieri, i finestroni con vetro istoriato non lasciavano intravedere l'esterno, le porte dal lato opposto erano sbarrate, sotto alcune di esse filtrava una luce giallastra.

Incrociarono alcuni uomini, dalle livree bianche e grigie Suncer dedusse che erano servitori, uno di questi aveva l'aria trafelata e portava con sé un grosso recipiente con acqua rossa.

Si accigliò e il senso di disagio che provava già dalle parole della Sacerdotessa poco prima crebbe. Complicazioni. Suonava ora come un elegante modo di dire: grossi, enormi, fottutissimi problemi! Accelerò il passo e raggiunse la donna che gli faceva strada.

«Sta bene? Shane, sta bene?»

Lei gli rivolse un'occhiata cupa, poi alzò una mano e indicò una porta dischiusa poco più avanti. C'erano un paio di servi che sostavano fuori e sbirciavano oltre la fessura, tenevano tra le braccia brocche e teli e avevano l'aria atterrita. Si sentivano voci, imprecazioni soffocate, mormorii.

Suncer corse, alla faccia dell'etichetta. Nessuno osò protestare o fermarlo.

Quando raggiunse il battente lo aprì del tutto e si bloccò sull'uscio, perché era preparato a molte cose, ma quello che vide gli bloccò il respiro nel petto.

La stanza era ampia, pochi arredi di pregio: delle sedie di legno scuro, una scrivania intarsiata, un grande letto, un pavimento piastrellato di un tenue grigio perlato. Ovunque c'era sangue.

Sulle lenzuola, sui cuscini buttati a terra, sulle belle piastrelle si allungavano strisce semicoagulate, schizzi anche sulle pareti. Il sangue permeava persino l'aria, con il suo aroma denso e dolciastro.

Era uno scenario a dir poco agghiacciante.

C'erano due Sacerdoti, sporchi anche loro, uno dei due si teneva un panno premuto su un braccio, sangue anche lì, il suo probabilmente. Entrambi guardavano in un angolo, in quell'angolo, seduto, seminudo, con i capelli scompigliati e uno sguardo omicida c'era Shane.

«For God's sake...» mormorò Suncer. Shane indossava solo dei pantaloni stracciati, aveva evidenti lacerazioni sulle braccia e una gamba abbandonata in una posizione improbabile, nella mano destra stringeva un pugnale, di quelli lunghi e seghettati usati per spellare la selvaggina, e lo puntava contro i due Sacerdoti. Una belva ferita messa all'angolo. Una belva molto pericolosa.

Alle sue spalle la donna gli si accostò. «È rientrato insieme al Sacerdote che era con lui ferito molto gravemente e incosciente, lo ha portato qui di peso. La dinamica non è molto chiara, ma sembra siano stati travolti da una frana a est di Vaeqa, lungo il Passo degli Anemoni. Ha la gamba maciullata, il cerusico ha detto che deve essere amputata e da quel momento non si fa avvicinare.»

Suncer si girò a guardarla, sconvolto. «Lo avete lasciato così da questa mattina?» La sua voce uscì stridente tra i denti serrati. Avrebbe voluto aggiungere tante di quelle ingiurie, ma non c'era tempo. Raggiunse i sacerdoti e li spinse via, fermandosi a pochi passi dal suo amante.

Si accucciò lentamente, Shane non aveva abbassato il pugnale, lo guardava, ma le pupille traballavano, aveva il viso stravolto e imperlato di sudore.

«Shane, sweetheart, sono io. Abbassa il pugnale, per favore,» parlò piano, tentando di rendere la sua voce più calma possibile.

«Loro vogliono...» Shane si umettò le labbra, sussultò e fece una smorfia. Il pugnale non si mosse. «...tagliare.»

Suncer si arrischiò a guardare meglio. Le ferite di Shane non erano lievi, ma con un'adeguata medicazione sarebbero guarite. La gamba invece presentava un taglio profondo da cui si vedeva l'osso scheggiato. Avvertì del movimento alle spalle e alzò repentino una mano per fermare chiunque volesse muoversi. Fece un respiro profondo e si rivolse di nuovo a Shane. «Ascoltami bene, my love, stai perdendo molto sangue.» Si sforzò di sorridergli. «E non hai un bell'aspetto, sembri uno spettro, dobbiamo fermare l'emorragia.»

«Non voglio che...»

«No!» Si affrettò ad aggiungere Suncer. «Non gli permetterò di tagliarti, ma adesso fermiamo l'uscita di sangue e medichiamo le altre ferite, sei d'accordo?»

Shane esitò, ma il braccio teso contro di lui iniziò finalmente ad abbassarsi. «Prometti che...» bisbigliò, con voce spezzata.

Suncer credette che gli sarebbe scoppiato il cuore in petto. Non aveva mai visto Shane in quelle condizioni, e non pensava che sarebbe stato così doloroso. Avrebbe volentieri preso il suo posto se fosse stato possibile. «Prometto che non gli farò amputare la gamba.» Poteva davvero fare quella promessa?

Il coltello piombò a terra con un suono stridulo che echeggiò nel silenzio teso della stanza. Prima che chiunque si muovesse fu Suncer a raggiungere il suo uomo e a prenderlo con delicatezza tra le braccia. «Disinfettante, bende!» gridò. Portandolo sul letto e togliendosi la cintura, per stringerla immediatamente sopra lo squarcio della gamba. Quando tirò con forza per bloccare la fuoriuscita di sangue Shane si inarcò e gridò. Suncer imprecò, ma non si fermò, bloccando infine la striscia di cuoio e afferrando poi i panni che i servi gli porgevano per asciugare il sangue.

Il Sacerdote con il braccio ferito lo affiancò, mentre gli altri avevano ripreso a borbottare alle loro spalle.

«Chi siete voi?»

«Il suo amante ufficiale,» rispose asciutto, passando le dita tra i capelli di Shane, fradici di sudore. «Il mio nome è Suncer.»

«Siete un...»

«No, non sono un cazzo di Sacerdote!» Fu costretto a tenere sotto controllo l'impeto di rabbia. «Voi chi siete invece?»

«Mi chiamo Elaij, sono il cerusico.»

«Ah!» Suncer lo fulminò con lo sguardo e indicò la ferita. «Ecco perché.»

«Se non amputiamo non riusciremo a salvarlo. Anche se per il momento l'emorragia è bloccata e ammesso che riuscissimo a sistemare l'osso, non c'è modo per rinsaldare i tessuti. Guardate!» L'uomo aveva un'espressione seria, una lieve smorfia di dolore, eppure rimase saldo sotto lo sguardo accusatore di Suncer. «Il muscolo e i nervi sono sfilacciati, tentare di ricostruirli richiederebbe troppo tempo e lui nel frattempo morirebbe.»

Suncer serrò le mani in pugni, conficcando le unghie nei palmi. Aveva promesso a Shane che non gli avrebbe fatto tagliare la gamba, ma non era disposto ad accettare quel prezzo. «Ci deve pur essere un modo,» bisbigliò disperato.

«I Sacerdoti della Telecinesi, loro potrebbero farcela utilizzando la loro Arte.» La donna che lo aveva accompagnato si avvicinò, guardando Shane con una strana espressione.

Un palpito di speranza. « Bene, allora cosa state aspettando?»

«Non c'è tempo!» continuò Elaij, spazientito. «Dovremmo fare formale richiesta, aspettare che prendano in esame il caso, accettare di aiutarci e infine intervenire. Ci vorrebbero giorni.»

«Andrò io, entro un paio d'ore sarò qui con un Sacerdote della Telecinesi, datemi solo un buon cavallo.» Lanciò un'ultima occhiata a Shane, ormai incosciente. Avrebbe voluto restare lì, tenergli la mano, parlargli, fargli sapere che sarebbe rimasto al suo fianco e si sarebbe preso cura di lui, ma si fece strada a forza tra i presenti verso l'uscita. «Tenetelo in vita e, vi prego, non tagliategli la gamba, porterò qui il Sacerdote della Telecinesi, lo giuro!»

La Festa di Inizio InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora