Se lei è qui, io sono vecchio e tu sei nei guai

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Interludio

VIII

Bernabé la stava aspettando, le braccia incrociate al petto. Camminava avanti e indietro come uno dei suoi amati animali in gabbia e sul suo viso Danha non vide il sorriso beffardo e vittorioso che si aspettava di trovare, ma un'espressione preoccupata, un umore che mai avrebbe pensato di associare a quel volto sardonico e manipolatore.

Che Bernabé stesse ripensando all'orrore a cui l'aveva sottoposta? Ne dubitava. E infatti la preoccupazione sul suo viso durò poco: non appena Bernabé si rese conto dei passi leggeri che si stavano avvicinando, si fermò e puntò lo sguardo su di lei, sorridendo. Probabilmente stava solo pensando a cosa avrebbe fatto se l'avessero beccata e lei avesse spifferato tutto.

«Come ti sen...?», iniziò a chiederle, ma non ebbe il tempo di finire la domanda che un pugno di quelli ben calibrati gli arrivò dritto negli attributi.

Danha lo fissò negli occhi, lo sguardo truce e pieno di ira. «Brutto bastardo, mi hai venduta! Mi hai venduta per... questo?» disse, tirandogli addosso il sacchetto con la Belladonna.

Bernabé la guardò tenendosi con la mano le parti basse doloranti e per un secondo nei suoi occhi passò un'ombra di quella che sembrava vergogna, ma Dahna era ormai sicura che lui non fosse in grado di provare risentimento.

«Sarebbe comunque successo prima o...».

Un secondo pugno, diretto al viso, arrivò all'improvviso, ma Bernabé stavolta era pronto e prese al volo il polso della ragazza, stringendolo con forza.

«Tu sei di mia proprietà adesso, Dahna, così come lo è tuo fratello. Puoi provare a scappare e vederlo morire o puoi lavorare per me senza fare troppe storie. A te la scelta. Quella è la strada, se non te la senti», disse lui, serio.

Danha avrebbe voluto dirgli tante cose, avrebbe voluto urlargli contro e piangere, avrebbe voluto picchiarlo. Quella sera, più di qualsiasi altra, sentì la mancanza della sua mamma.

Invece strattonò il braccio per liberarsi e corse via. Non verso la sua piccola stanza, ma verso il mare calmo, verso le navi attraccate al porto non lontano.

Corse finché non ebbe più fiato nei polmoni, finché le sue guance non divennero del colore del fuoco, finché non ebbe finito le lacrime.

Si ritrovò davanti alla prua di una grande nave, ormeggiata in solitaria lontano da tutte le altre.

Non somigliava ai vascelli o ai galeoni imperiali, non aveva fronzoli o statue allegoriche sul cassero di prua, né tinte bianche lungo le murate laterali, ma era comunque un galeone da corsa imponente, con gli alberi di trinchetto e di mezzana leggermente più bassi rispetto a quello di maestra, tutti in quello che a Danha sembrò pino marittimo di Freelheist.

Era semplice e forse fu quello il motivo per cui se ne innamorò all'istante. La bandiera non era inalberata, ma a Danha sembrò della stessa tonalità di blu zaffiro delle navi che issavano la bandiera imperiale. Le parve strano che quella nave mantenesse l'anonimato nonostante la rappresentanza quasi palese del Sommo Vertice, ma d'altronde era buio, la bandiera poteva benissimo essere nera e la cosa la intrigò non poco.

Si sarebbe messa nei guai? Probabile. L'avrebbe fatto comunque? Ovviamente.

Aveva bisogno di non pensare a niente quella sera e correre le aveva trasmesso nelle vene un'adrenalina che non sentiva da tempo. Dimenticare ciò che era successo sarebbe stato impossibile, ma forse un'avventura su una nave pirata le avrebbe riempito il vuoto che adesso sentiva nel cuore e nella testa.

Si sporse da entrambi i lati della murata per capire se uno scalandrone avesse potuto darle una mano a salire, ma nessuna passerella o ponte si estendeva fino al molo e la nave era comunque troppo distante per poterci salire con un semplice balzo, così scese la scaletta e si immerse nell'acqua gelida e sudicia del porto.

Diefbourg. La città di maschere e bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora